DI WALTER GALASSO
Dentro un punto interrogativo
la luce è già nata, Ateneo fu asilo,
il senso del viaggio è pur nell’abbrivo.
Sottile una domanda, quasi un filo,
sfocia in risposte, sorelle maggiori,
come un rio nei chilometri del Nilo,
bisognosa degli esperti sapori
che regnano nei fasti di sapienza,
ma il suo vuoto è pieno di bagliori,
un po’ di Alfa Tauri nella partenza,
il piccolo affluente e il fiume gigante
-tanta linfa all’idea di differenza-
hanno in comune l’acqua elegante.
Già il seme odora di frutto ghiotto,
aroma come stupore frizzante
che da animo vergine emana dotto
quando spia Infinito da un belvedere.
L’apice che piace a chi lo ama sotto
-allettante potenza in alte sfere
o cima che calamita alpinista-,
è solo un dream di aspirante ingegnere,
o imprudenza di stregone apprendista,
senza la posa della prima pietra,
che di tutta l’impresa è apripista.
Dove ignoranza non è assenza tetra
brilla bella l’umiltà intelligente,
ferace freccia in creativa faretra.
Mentre si perde in Via Lattea il saccente
che ha dato disco verde alla chimera
di essere superuomo nella mente.
La spocchia in smargiasso, buia sera,
si taglia a fette come una torta,
ma troppo su fondono ali di cera
in chi d’onniscienza vuole aprir porta:
prende un granchio e non capisce un ette,
non può una coperta troppo corta
vestire ogni dubbio in teorie perfette.
Su un pulpito tenta di dettar legge
-pomposa giurisprudenza in pandette-
di saputelli un clan che corregge
presunti altrui errori con rossa penna,
come archimandrita regge il gregge
o un’Inquisizione vuol reo in geenna.
Ma sbatacchia le ali e vola male
un pavone -il narcisismo s’impenna-
che non sale come aquila reale.
La vanità adultera l’autostima,
ciò che fa credere non sempre vale,
in certame fra menti arriva prima
quella che, colta, sa di non sapere
e nelle speranze gli eccessi lima,
chiari e distinti ‘forse’ è bene avere.
Pur l’audacia che comfort non impetra
permea chi del Progresso è alfiere.
In mare a forza nove non arretra
l’ulisside che aborre serva fifa
in crescendo rossiniano di cetra,
per il proprio onore comunque tifa,
‘vamos adelante!’, scherza in tempesta,
rispetta il Vero e i compromessi schifa,
trova già nel ricercare, alma desta.
Flirt col niente e sabotaggio di mire
è la paura, più sterile di siesta.
La sconfigge il pioniere di avvenire,
veterano, par che abbia seicento anni,
quieto, mai in preda a sciocche ire,
ma fresco, adolescente senza affanni.
Crea, come poetica schiusa di uova
-lungi da avida brama di scanni-,
una scena di pensiero sì nuova
che fa apparir superata anticaglia
-obsoleta roba che a nulla giova,
gemma in parvenza, sostanza di paglia-
mode di ultima generazione,
irradiando una luce che abbaglia.
Lo osteggia un arrogante capoccione,
fa la voce grossa, “mancano crismi!”,
qual tutore di sacra tradizione,
boicottaggi minacce e ostracismi,
o infligge la pena ‘Indifferenza’,
soft tortura, il peggiore dei bullismi.
Col mix fra stoltezza e delinquenza
di chi se il Sole lassù non gli piace,
abbacinato da magnificenza
-disturba il suo lodarsi in santa pace-,
osanna i dieci watt di un lume amico,
fa di lampadina un genio salace,
dice che der bigonzo è er mejo fico!
Ma un Grande vince attriti, schiacciasassi,
pur se è peggio d’un drago il nemico.
Di leone il cuore, enorme nei veri assi,
cento, anzi centouno metri quadrati,
per andare da est a ovest tanti passi,
lunghissima la somma dei suoi lati,
ciclopica icona a tre dimensioni
di prode anelito a valori alati.
Pulsioni di abnegazione a milioni,
è capace per quattrocento mesi
di creare un mare di composizioni
solo per gaiezza di pura teoresi:
primo premio è il piacere della mente,
poi il secondo, il trionfo in tutti i Paesi.
Somiglia a un fan del basket, veramente:
un player, mani su amato pallone,
fuor di gara ufficiale, zero gente,
tanta voglia di mira da campione,
par che giochi in suprema finale,
disinteressata concentrazione,
né punti in palio né premio venale,
riesce a far canestro da un miglio,
pazzo è di gioia, exploit fenomenale,
pur senz’occhi altrui, record è suo figlio.
Un prode scrittore, in penna res gesta,
sprezza autore in balia di esterno appiglio,
schiavo che senza ‘bravo!’ non fa festa.
È allievo del Nolano, un Maestro,
il Pensatore che non china testa
per eccellenza, re di gagliardo estro.
Della Libertà porta il gonfalone,
insegna a rompere ogni capestro.
Centro di Città senza paragone
-della Terra la punta di diamante
se con altri pianeti sia in tenzone-,
domina dall’alto, capo importante,
una Piazza con beltà da manuale,
-successo super, aria edificante-,
rara?, no, unica, tant’è originale,
culla di un vento nuovo, aire profondo,
ombelico di Urbe che è Capitale
non solo dell’Italia e del mondo
ma anche di universale cultura,
nessun altro posto così fecondo,
Gloria passata presente e futura.
Nel voler dare il titolo più caro
ad Accademia -Arte Letteratura
Filosofia Attualità- in varo,
nessun dubbio, ‘Roma Campo de’ Fiori’
-nel luogo del rogo la Statua è faro
che emana raggi di eroici furori-,
dove dal millennio scorso dimoro:
nome ottimo di scritti, e include amori,
Città Piazza e Guida che adoro.
Logo è il Monumento a Giordano Bruno
-la materia è il bronzo, il simbolo è d’oro-,
tra i filosofi eroi il numero uno.
Walter Galasso
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