UNA STRANA CASCATA METROPOLITANA: UNA SIGNORA, ISPIRATA DA GERANI, INNAFFIA LA SUA AUTO DAL PRIMO PIANO [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo 4]

DI WALTER GALASSO

In una domenica, giorno che debella ruggine meglio della Coca-Cola, l’imprenditore commerciale, vagamente ‘borderline’, ai confini d’un surrealismo terra terra, si sta recando nel suo pubblico esercizio. Forse quando Joseph Addison, nel remoto 9 luglio del 1711, ha pubblicato, sul quotidiano ‘The Spectator’, la celebre idea “Sunday clears away the rust of the whole week”, ha escluso a priori la possibilità d’una persona come questo personaggio. O forse no, se nello stesso articolo l’autore, nell’addurre un argomento alla sua tesi, sottolinea che Sunday “puts both the sexes upon appearing in their most agreable forms”. E un figurone può essere fatto non solo con l’abito buono, della Domenica, della festa, ma anche, se non soprattutto, con un atteggiamento in qualche modo originale e positivo. Quest’uomo oggi non è azzimato, non ha abiti dernier cri, ma vuole darci dentro, viaggia con il cavallo di San Francesco dalla residenza al bar, qual bravo ragazzo tutto casa e bottega. Con la metà di questo anticonformismo si è in grado di épater le bourgeois. Non vuole, è bene precisarlo, lavorare a testa bassa, fino a farsi venire i calli alle mani, né intende erogare energia dal nord di sé, dove, sotto i capelli, risiede ufficialmente l’intelligenza, magari prendendo appunti su un taccuino Moleskine o decidendo quale sia, fra quelli in commercio, il miglior algoritmo per raggiungere la ricchezza. Vuole solo essere lì, sul e nel teatro delle sue chances, punto e basta. L’insuccesso non è riuscito ad ‘abolire’ la sua buona, carina volontà. Gli andava di fare una capatina -invece di poltrire in una siesta sterile quasi come la paura- e ha colto l’attimo. S’è lasciato alle spalle giorni comme ci comme ça, non una settimana no, ma neppure Sì, e adesso smania di far qualcosa, come la meglio gioventù, che non sta quasi mai ferma. Questo mezzo élan è sincero, senza trucco e senza inganno. La rivoluzione ch’egli, dopo aver inaugurato la sua creatura, ha tentato di porre in essere, per accelerare nel business come un dragster, per il momento è un’Incompiuta -più vicina a un infruttuoso casino che a una decisiva palingenesi-, meglio contrarre il tic di rimboccarsi le maniche e portare al mulino-bar acqua, sia pur 0,5 ml usciti da una pipetta contagocce dopo dieci pressioni.
E allora avanti tutta!, è giunta l’ora di purificare la soggettività dalle scorie dei giorni scorsi. Ma esattamente che cosa significa spazzar via ruggine metaforica? Forse il fatto che ‘lavorare stanca’, e staccando la spina si ricaricano le pile, ci si rigenera, in un bagno di spare time. Forse, essendo l’Io meno attanagliato dal routiniero trantran insito in un mestiere, la possibilità di curare meglio la propria immagine, mettersi in tiro per apparire agli altri un fico cool e trendy. Oppure … Oppure quel che qui ed ora sta facendo quest’uomo, che si abbandona con nutriente serenità al costruttivo piacere, a costo zero, di meditare facendo quattro passi. Ah, meno male che non bisogna pagare le tasse per la produzione di pensieri! Questo soggetto, mentre si guarda intorno con involontaria curiosità, gioca a far mente locale sul décalage fra ciò che è e il superman che vorrebbe tanto diventare. Aspira a fare una carriera superiore a quella d’un bruco che, larvato non protagonista, prima è promosso a pupa crisalide e poi diventa adulta farfalla. L’uomo ora come ora è un essere intermedio fra colomba e gabbiano, diciamo un ‘piccione scelto’. Non proprio l’ultima ruota del carro: la penultima. Orbene, se è tautologicamente vero che si chiama come si chiama egli conta di fare, non in un amen ma nemmeno dopo il periodo cronologico denominato ‘secolo’, un doppio salto, meglio di un Double Under con la corda, e divenire un Falco, id est un sardanapalo, un Paperon de’ Paperoni che nuoti in un mare di monete e banconote. E tutti, pure quelli che adesso non se lo filano proprio, a impetrare un selfie insieme, ‘zio, zio, non mi dire di no!’. E Giorgio, forse stempiato e con la pancia da commendatore -la ‘rich man’s paunch’, oh yeah!-, che si fa rivedere, e gli dà il cinque e poi gli getta le braccia al collo. E riemerge dagli abissi pure Lei, Federica, la ex a cui il suo cuore e il suo cervello, uniti in una lega coesa, ripensano più spesso. L’allora signorina lo scaricò per emigrare, a livello sentimentale ed erotico, fra le braccia di un facoltoso personaggio, un certo Giovanni…. Fino a prova contraria la povera Fede se ne innamorò perdutamente, ma Ern l’ha sempre pensata diversamente: la fellona è diventata la signora di quello lì perché il grande bastardo l’ha comprata offrendo tanta pappa alla sua fame di comfort. Quel siluramento amoroso ancora gli brucia, per onore ferito ma pure perché le vuole ancora bene. Se i venti cambieranno ella, venendo a conoscenza della sua apoteosi, da quella pappa passerà a Pappalardo, nel senso che riapparirà, con un abbigliamento molto sexy, bella come sempre, e gli canterà ‘Ricominciamo’. Ma lui farà il prezioso, non le dirà subito ‘Sì’, la terrà sulla corda, le darà un bacio, ma solo dopo moltissimo tempo: quattro secondi, proprio a voler abbondare. E poi la porterà nella sua prima villa, una reggia da mille e una notte, con una faraonica pièce de résistance, fra i suoi tanti effetti speciali: una piscina più profonda della mitica Y-40 The Deep Joy, by Emanuele Boaretto, in quel di Montegrotto Terme. Ai bordi di questa specie di oceano privato la ritrovata dulcinea bisbiglierà, in un suo orecchio, che non ha mai smesso di pensarlo, che l’avventura -lei e Giò hanno già celebrato le nozze d’argento, ma nella fantasia talvolta impazzano fanfaluche à gogo- con l’altro è stata solo un errore di gioventù, e alzi una mano chi non ha mai errato. Infatti lui non alzerà, in quel soave momento, né la destra né la sinistra, anche perché entrambe saranno impegnate ad abbracciare quei meravigliosi fianchi, finalmente di nuovo sotto il proprio tatto… La sua prole, dopo un primo momento di comprensibile e guardinga diffidenza, inizierà a chiamarlo ‘zio’ -stavolta Scrooge McDuck non c’entra, il breve nome è usato in un senso molto più carino-. Ma non è tutto: almeno una figlia o un figlio, persona con tanta elasticità postmoderna, a un tratto vorrà appellarlo ‘papà!’, e lui da un lato sarà felice poeticamente, dall’altro avrà l’aggressiva sensazione di dare una lezione a mister Gianni, vendicandosi al cento per cento…
E dire che questo sognatore, smentendo Baudelaire, secondo cui il vino rende le domeniche felici, oggi a tavola non ne ha bevuto neanche un goccio, ma adesso, in questo parziale delirio della sua immaginazione, sembra quasi in preda a una dionisiaca ebbrezza. Che però gli passa tutt’a un tratto, come spesso gli capita quando lascia provvisoriamente ogni sobria forma di razionalità e si abbandona a una rêverie tanto intensa quanto effimera. La sua mente, allorché sogna a occhi aperti, mescolando, in un incoerente pot-pourri, speranze e rimpianti, ama partorire cazzate solo per poco tempo. Se questo gioco dura troppo, infatti, lui ne ‘sente’ la parte ridicola, sfigata, e ripudia tutto il pacchetto. Meglio stoppare al momento giusto ogni slancio sognatore, così si ottiene un risultato psichico intermedio -‘5′- che rimane, mentre se si vuole ’10’ l’animo s’incazza e getta alle ortiche tutta l’overdose di fasulla soddisfazione. Il dosaggio di durata del daydream, e dunque della quantità di scapataggine ch’esso include nel suo tourbillon di fesserie, è in certo senso una strategia autodifensiva a livello psicologico.
E così il viandante abbassa il livello di pensieri in smodata libertà e osserva con più attenzione lo scenario circostante. La velocità delle sue gambe è blanda, oggi non va di fretta, può assaporare, in una percezione al ralenti, ogni dettaglio che gli compaia in questo tragitto. Una donna, su una terrazza al primo piano, dopo aver afferrato un tubo flessibile, in silicone, come prolunga collegata a un aperto rubinetto, e aver cominciato a innaffiare una cinquantina di fiori -la sua veranda sembra un vivaio non profit- ha un’idea balenga: si sporge da una balaustra e con quella pompa, da cui sta uscendo una grande quantità di acqua sprint, lava la sua automobile, parcheggiata proprio sotto la sua abitazione.
Quel gettito somiglia a una liquida parabola, scende come una cascata strettissima, colpisce la vettura come un bacio lanciato a distanza, oppure [eppure] somiglia a un colpo scagliato da una guerriera dell’igiene con una mira infallibile e mediante una metaforica catapulta. Gli scettici non temano nocumento sulla carrozzeria della macchina: è vero, si sente un leggero rumore al contatto fra le copiose gocce e il tettuccio apribile -ora chiuso!- o il cofano, però questo urto è innocuo, questo è poco ma sicuro: mica è fessa la proprietaria, se avesse anche il minimo sentore d’un rischio di ammaccatura certo non ricorrerebbe a questo metodo e farebbe il bagno alla sua berlina in un’altra maniera. Lei, anzi, appare come una che non ha dormito diverse notti per studiare questa alternativa all’autolavaggio, una che sa il fatto suo.
E lo spettacolo in corso comunica, in effetti, un’idea assai positiva, anche in senso lato: fusione tra l’alto e il basso, autosufficienza -la donna può fare marameo a un gruppo di giovani che, dietro l’angolo, hanno aperto ‘Auto come nuova’ e promettono splendore alle cars di fiduciosi clienti-, compagine fra un balcone e una vettura, catartica acqua che purifica un costoso e motorizzato oggetto partendo da una diversa altitudine. Quel mezzo di fulgore -H2O votata a rendere smagliante la superficie di polverosi e macchiati oggetti, che essa netta in un effervescente tempismo- rampolla da un primo piano che somiglia, rispetto alla pianura del manto stradale su cui quei pneumatici stanno riposando, a un loggione di teatro da cui partano, invece che applausi, gettiti idrici verso una pièce ambientata nel deserto. Arriva una finezza del genere proprio dal settore dove i posti costano meno, ‘piccionaia’ da cui schifiltosi esperti di drammaturgia si aspettano o volgari fischi, simili a quelli che un pastore indirizza al suo gregge per pilotarne gli spostamenti, oppure dozzinale caciara d’un facile battimani, tipo il goliardico applauso che in una camerata di soldati si levi di notte all’indirizzo di un caporale che abbia detto una velenosa barzelletta contro il capitano. Questi spettatori, invece, stupendo il mondo, buttano salubre acqua sul proscenio -dove si sta recitando un’opera drammaticamente situata nell’aridità di un Quarto Vuoto- per aiutare i fatti in scena, per liberarli dalla loro siccità, per dimostrare di volergli bene.
Così può apparire la signora che, munita della sua attrezzatura idraulica, sta innaffiando la sua Ford: la emancipa dalle porcherie che ne fanno soffrire l’inanimata dignità, le regala attenzioni delicate senza limitarsi a guardare dall’alto il manto di sporcizia che riveste quei colori metallizzati. Il fatto che la mondi a distanza potenzia il senso di benevolenza che dimostra di riservare a quel suo oggetto. Quell’equoreo lancio dal primo piano estrinseca impazienza di cure, voglia irrefrenabile di provvedere quanto prima a sconfiggere il contrario dell’adamantino splendore. Lei vuole, agogna, brama ardentemente che essa luccichi, che riprenda l’aspetto che aveva quando ancora era esposta nella concessionaria, e chi la voleva vendere la additava ai potenziali acquirenti come un gioiello della casa produttrice.
La proprietaria non poteva scendere, con un secchio e una spugna, per togliere quegli aloni, non solo perché non avrebbe potuto avvalersi della ‘protesi’, decisamente più efficace come strumento di pulizia, ma anche per l’incompatibilità fra la relativa lentezza di una tale procedura e la sua volontà di dimostrare al mondo che lei ama la sua auto. Così, irrorandola dal suo terrazzo, ostenta amore, desiderio di alterare positivamente il normale accumulo di brutture su quella carrozzeria. Le vuole regalare il bello, lo vuole fare presto, anzi prestissimo, e così provare alla città intera che quell’auto, quando le è stata venduta in quel negozio, è entrata a far parte degli oggetti fortunati.
Ern è esterrefatto e in un picosecondo pendola, nel valutare questa situazione, fra l’encomio e l’insulto. Di primo acchito, nel vedere questa cittadina che bagna allegramente una porzione di pubblica città con quel privatissimo gettito, oscilla tra il criticarne l’incivile anarchia e un pensiero involontario in cui gli sovviene l’immagine della polizia che carica, con un aggressivo idrante, una falange di black bloc. Ha visto questa scena un paio di anni fa, in televisione, pensando ‘bolscevichi!’ quando ha scorto quei ribelli in preda a una viscerale forma di odio verso boiardi di Enti pubblici e metodi bipartisan di lotta politica. Inneggiavano alla cacciata di quei grand commis dai loro privilegiati ruoli aziendali e se la prendevano con quei partiti di sinistra che, invece di esecrare, in un muro contro muro, i rivali del centrodestra, stringono alleanze sottobanco e fanno inciuci stomachevoli.
Forse anche per questa analogia fra la signora -che inzuppa uno spicchio di metropoli per lavare uno dei suoi averi, detergendolo da una postazione distante cinque metri- e le forze dell’ordine che arginano quei facinorosi -e le loro intemperanze di guerriglia urbana- a botta di pressioni idriche, prova una certa simpatia verso quella scena, mettendo da parte la tentazione di reputarla cafona e poco elegante.
Addirittura si spinge, quando arriva nelle adiacenze di quel balcone, a lodare la lady con una sviolinata ad alta voce: “Complimenti, signora, davvero un’idea creativa!”. Quella, sorpresa da e contenta per queste parole -anche se in un angolo del suo animo ha il sospetto che questo tizio sia un moscone intento a farle la corte-, gli risponde: “Sa, quando irroro i miei adorati gerani tutto il mio cervello diventa più geniale, e così mi è venuta questa idea”. L’uomo le sorride, mordendosi la lingua per non rilanciare con un altro complimento, che ingoia come se fosse una caramella così sciolta, e così ridottasi a una mica di dolcezza, che la puoi ingollare, tanto questo atomo di giulebbe è piccolo e si digerisce in modo meraviglioso.
Ha avuto la tentazione di dirle che ha un animo poetico, che il suo pollice verde fa fiorire anche un centimetro di deserto -bugia: molti di quei fiori gli sono apparsi abbastanza mosci-, e apologie del genere, ma ha temuto che uscisse il marito e che fosse un energumeno, pronto a spaccare la faccia a un cicisbeo della sua consorte. Meglio essere prudenti, non si sa mai.

Walter Galasso