UN GRAFFITO PRO GIRASOLI. SUI VAGONI DELLA METRO? NO, SU UN BALCONE… [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo 5]

DI WALTER GALASSO

Il viandante prosegue il suo tour, con un’aria da soggetto blasé, disincantato, che non parla di politica, ‘tanto rubano tutti’, ma è solo un equivoco, ché in realtà questo atteggiamento distratto denota solo una sua voglia di rilassarsi in una giornata di pausa lavorativa e impegnarsi solo con qualche leggera meditazione, per pianificare come potrà far fruttare meglio la sua fatica quando ridiventerà attuale. Percorsi circa trecento metri a partire dall’auto della signora -per la cronaca: i gettiti dall’alto hanno lasciato intatte tutte le macchie che alteravano il cromatismo della carrozzeria-, vede, su un altro balcone, una seconda stranezza, questa volta statica e senza protagonisti o deuteragonisti: sulle pareti ai lati d’una finestra hanno composto un murale. Questa poi!
L’uomo rischia quasi di buscarsi un torcicollo per guardare in alto e non perdersi nemmeno un dettaglio di quella composizione pittorica. Mentre il suo sguardo si sta indirizzando verso quel primo piano, capta su un bordo dell’asfalto un bottone molto grande, che gli ricorda per una frazione di secondo un biribissi che si costruì artigianalmente molti anni fa, mettendo un magro pezzo di legno dentro un bottone caduto da un suo cappotto: questo flashback dura pochissimo, non ha il potere di aggiogare molta durata della sua attività cerebrale, proprio perché la sua psiche è così attirata da quel graffito che vuole, fortemente vuole contemplarlo per saperne di più. In esso è possibile osservare un esteso campo di girasoli -quanto giallo!!- e, nei suoi paraggi, un uomo che allarga felicemente le braccia e pare esclamare ‘Ah, era ora!’, quasi a voler manifestare la gioia di aver trovato qualcosa che, dopo tanti fastidi, lo sta finalmente allietando.
Punto primo: ma che stravagante questo cittadino, che su alcune pareti esterne della sua maison ha composto un’opera che tu in genere ti aspetti su spazi pubblici della città. Punto secondo: ma come gli è venuto in mente di dipingere questa scena! Non è che sia la rappresentazione icastica di chissà quale narrazione, però, nel suo piccolo, la storia non è affatto da buttare via: quell’uomo, così positivamente colpito da quel giardino yellow, può voler dire tante cose. Magari vuole protestare contro l’indifferenza che molta gente ha verso la Natura, esagerando la sua gratificazione per mettere l’accento sul dovere di reagire con gaiezza a spettacoli floreali. Oppure vuole estrinsecare un successo ottenuto, nientepopodimeno, non con qualche vincita pazzesca a una lotteria, o mediante una vittoria -su un epico teatro di battaglia- contro un battaglione di agguerriti nemici, ma solo nella fortuna -relativa e mignon- di imbattersi in una distesa di fiori.
Ernesto, incuriosito da questo eccezionale spettacolo urbano, si ferma a guardarlo per alcuni minuti. Sembra che sotto le sue scarpe ci sia colla, tanto indugia in questa contemplazione dal basso in alto. Questa esperienza è inedita. E infatti la sua mente, durante l’apprezzamento di quei colori e quel racconto -cristallizzato in quella scena come in un fermo immagine-, è saltuariamente attraversata da perplessità circa l’autrice o l’autore di quel murale. Egli, cioè, mentre l’ammira, prova contestualmente sensazioni di garbato disappunto, pensando che la persona dalle cui mani è scaturito quel quadro parietale abbia commesso, con questa composizione, una sorta di infrazione. A un cittadino normale non verrebbe mai in mente il progetto di imbrattare un balcone della propria casa con un affresco di questo tipo. E allora perché non montare su un bovindo una tenda da campeggio, o far portare da qualcuno una cuccia per una foca e lasciarla in semilibertà su quello spazio privato, intenta -quando non sia dentro la sua tana- a fare numeri da circo con un pallone da football. Oppure perché non installare, sulla stessa terrazza, un complesso sistema di luci psichedeliche, così, quando giù qualcuno transita, in auto o a piedi, vede il tripudio di fari colorati e non si raccapezza.
Il commerciante è diviso fra lode e disappunto nel mirare quel dipinto, a un angolo del suo animo sembra che esso abbia infranto un tabù, abbia derogato a una regola cardinale, abbia denotato una sbarazzina quanto selvaggia voglia, da parte di chi l’ha creato, di mettere a soqquadro una placida e condivisa forma di ordine sociale. Evidentemente Ern, quantunque soggetto maturo, ancora non ha deciso cosa voglia fare da ‘grande’: il bravo cittadino, ligio ai doveri della cheta educazione nel suo stile operativo, oppure l’aspirante bohémien, a cui piacciano questi colpi di testa, queste originalità da mezzo matto, questo sentirsi totalmente liberi, emancipati ed esonerati dai condizionamenti del Super-Io, fino a infischiarsene se l’istinto faccia compiere un’azione irregolare e qualcuno intorno storca il naso. Questo barista all’avventura deve decidere, entro e non oltre un paio di minuti, se quell’opera dell’ingegno e di una bomboletta spray sia un principio di follia, o comunque di teppismo domestico e urbano, oppure esprima bei valori, tempra da artista tirocinante, estro di psiche fantasiosa e anticonformista.
Ebbene, alla fine, dopo una fase di brilla oscillazione fra un ‘vergogna!, esaltato’ e un ‘caspita, bravo!’ -tende quindi a ipotizzare che sia un uomo l’artefice di quel disegno-, si risolve a un apprezzamento senza se e senza ma, proprio in virtù del soggetto della composizione. C’è poco da fare: quel tizio che allarga le braccia davanti ai mirasoli, in segno di soddisfazione, di liberazione con tanto di sospiro, di giubilo incontenibile, conquista il suo giudizio di critico d’arte. Gli piace il girasole in cattedra, il successo che l’elianto sortisce in quello spettatore, nella reazione percettiva che rivolgono a quella gialla distesa gli occhi e i pensieri di quel protagonista. A proposito: ma, in ultima analisi, in quel graffito fino a che punto può dirsi tale quell’essere umano? Non è che, per caso, al centro della scena ci sono i fiori, ancorché appartenenti alla categoria -di serie C- che sul pianeta viene definita ‘flora’? Quale che sia l’esatta interpretazione da dare a quell’immagine, comunque essa rivela un’apoteosi, un tripudio di effetti positivi, la soddisfazione di un uomo che, dopo aver incontrato sul suo cammino tutti quei petali, sente in cuor suo che da adesso in poi nulla sarà come prima perché un evento imprevisto e altamente positivo lo sta rendendo felice. Vada, dunque, per la promozione a pieni voti di quell’artista.
Riprende il suo cammino, e nel frattempo ha deciso, in un rapidissimo cambio di programma, che eviterà di andare in tabaccheria e si recherà direttamente alla fermata dell’autobus deputato a trasportarlo fino ai paraggi del suo bar. Il suo animo è quasi turbato dagli spettacoli a cui dianzi ha assistito. Due eventi relativamente eccezionali in una camminata durante una domenica pomeriggio qualunque: la sua voglia di stupore non si può lamentare, il bottino è ragguardevole. La prossima volta farà bene a uscire di casa opportunamente equipaggiato, magari con una videocamera e una fotocamera professionali, così cattura con precisione scientifica enti ed eventi degni di nota e di ricordo e poi, tendendo a privilegiare le foto, allestisce un album di mirabilia, chiamandolo ‘<<Oh!>> quando non te l’aspetti’.
Forse un po’ troppo lungo come titolo d’una collezione di scatti del genere, ma non importa. Ammettiamo pure che un domani realizzi un tale portfolio: tutto è possibile, magari davvero in futuro si metterà a fare clic con una camera quando veda signore che lavano l’auto in modo geniale perché le aiuole sul loro balcone le ispirano, o graffiti non su un vagone della metro ma sul balcone privato di un cittadino. Ebbene, dopo aver funto da amatoriale paparazzo a caccia di queste stramberie, e aver poi racchiuso questa collezione di immagini in un’antologia miniata, lascerebbe quest’ultima nella condizione di opera -esoterica e acroamatica- destinata a se stesso e a pochi discepoli. Potrebbe, dunque, intitolarla anche con trecento parole, metterle una tag estesa come un treno di vocaboli, nessuno potrebbe fustigarne la prolissità e le gravi carenze di sintesi. Tutto è lecito nel regno del privato, e la critica deve fare un passo indietro, abbuonando all’autore anche eventuali sprazzi di larvato narcisismo.
Il viaggiatore, ripensando al suo passato molto prossimo, prova una soddisfazione superiore, nella sua intensità, ai motivi che l’hanno causata, come se uno si metta a esultare in maniera sfrenata dopo aver vinto pochi spiccioli a baccarà. Queste scoperte ne hanno vivacizzato il viaggio, che doveva essere una passeggiata come tante, tranquilla e ordinaria, e invece, grazie a queste occasioni di frizzante meraviglia, si è già trasformato in un capitolo di crescita interiore, di affrancamento da una sterile pigrizia dei sensi. L’esercente sta capendo, forse per la prima volta da quando la sua razionalità è diventata adulta, come anche nel più secondario dei dettagli si possano annidare un deposito di senso, un motore e una molla di evoluzione, una spinta a maggiorare il proprio tasso di cultura. In questi minuti afosi e festivi, sentendosi talvolta un mezzo picaro a spasso nell’universo bonsai del proprio quartiere, Ern ha la sensazione che un suo strano e prezioso flusso empirico abbia preso l’abbrivo. Si sente più consapevole, meno distratto, fortificato in un apparato sensoriale che in passato più volte ha lasciato a desiderare, e che invece oggi sta addirittura facendo gli straordinari.
Magari altre persone, come lui di passaggio da queste parti, nemmeno hanno fatto caso alla signora che ha lanciato acqua sulla sua automobile dal primo piano, o alla fantasmagoria di quei colori nel disegno parietale: lui no, non ha peccato di insensibilità, i suoi radar hanno captato tutto il significato racchiuso in questi eventi.
In ogni momento si disputano, in certo senso, involontarie gare fra cittadini: in uno stesso contesto, cinque, dieci, cento persone reagiscono diversamente alle medesime sollecitazioni, e così facendo si mostrano, rispetto a tutte le altre, più o meno brave in rapporto a qualche criterio di valutazione.
Poniamo che uno stormo di uccelli volteggi nei cieli di una città, proprio sopra una piazza: piroette acrobatiche, istintivo coordinamento di tutti i singoli voli, sì da apparire un unico volatile gigante, stridula e poetica somma di cinguettii che arrivano all’udito della gente come una sinfonia di fauna, voglia di non allontanarsi -come se in questa città, e segnatamente sopra questa piazza, vi siano sette validissimi motivi per permanere almeno tre ore-, e tante altre caratteristiche, fra cui periodica cacca. Sì, questi uccelli la fanno dall’alto, e chi sta sotto deve fare attenzione, perché, quando meno se lo aspetta, si ritrova sopra un costoso abito -acquistato non ai saldi- escrementi di pennuti maleducati.
Il turista Roger, intuito il pericolo, si scansa in extremis, e per un pelo riesce a non ritrovarsi sulla sua giacca di pelle una di queste ‘deiezioni’: caspita, che riflessi, questo inglese ha dimostrato di essere un mezzo atleta, uno che fa salti analoghi a quelli di una locusta, un tipo in gamba, sempre pronto a reagire con lesta tempestività a perturbazioni ambientali. Accanto a lui un altro turista inglese, Paul, zavorrato da chili di adiposa pancia, uno che se qualcuno gli ordini di fare flessioni non arriva a tre piegamenti, resta invece dov’è quando porcheria proveniente da quegli animali atterra sul suo gilet.
Appare incontrovertibile che fra i due anglosassoni si è disputato implicitamente un match di bravura. Loro, i diretti interessati, nemmeno ne sono al corrente; nessun arbitro, con fischietti autoritari e il carisma di un insindacabile giudizio, ne ha valutato il rispettivo merito; assoluta assenza di mass media sportivi, pronti a dedicare pagine su pagine alla partita di riflessi; i due si sono fronteggiati senza nemmeno un tizio a fungere da pubblico sugli spalti: eppure Roger e Paul, nella giungla della società, si sono mostrati uno più svelto di riflessi -e più saggio nel paventare a priori il rischio relativo a quei voli-, e l’altro meno bravo, lento, poco perspicace.
A questo esempio si potrebbe affiancare una miriade di casi analoghi, come appunto la diversa reattività che più cittadini mostrino rispetto a uno show di tipo artistico qual è un murale su un balcone. Ernesto, con la sua curiosità, la sua prontezza di riflessi interpretativi, la ricchezza di una mente che non abbandona le opportunità di crescita che la realtà le offre, ha dimostrato di essere più meritevole rispetto a quel tizio, un tipo sulla quarantina, forse di nome Ugo, che sta, a cento metri da qui, caricando il portabagagli della sua station wagon e che non ha notato il graffito. L’esperienza è zeppa di partite del genere, e bisogna auspicare la fondazione di un altro tipo di giornali sportivi: pubblicazioni che si occupino delle gare invisibili, larvate, potenziali, implicite, eppur reali, di cui la realtà gronda.

Walter Galasso