IL TERZO FIORE DEL COLORE: IL LEADER DI UN CONDOMINIO ECCELLE IN BARBECUE GRAZIE AD AIUOLE   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo 7]

DI WALTER GALASSO

   Lui non lo sa ancora, ma si è già imbattuto, nella presente passeggiata, in una tale fonte di consigli: quando ha visto la cascata di acqua, che da un tubo flessibile, al primo piano, scendeva sull’auto sottostante, e la signora rea della pioggia gli ha detto che il suo élan era dovuto ai suoi fiori; e quando ha interpretato, con ermeneutico brio, la scena raffigurata nel murale. In entrambe le esperienze è entrato nel suo cervello il messaggio di un’equazione tra fiori e successo in qualcosa, e questa suggestione è stata una specie di semina: ora si deve solo aspettare il raccolto, cioè il momento in cui questi enzimi si sviluppino in una meditazione piena e cosciente. Questo avviene qualche minuto dopo, quando un terzo evento del genere funge da ulteriore seme (piantato nella sua sensibilità di barista che vuole migliorare) e, nel contempo, da inizio della conseguente e definitiva maturazione dei portati.
   Questo parente alla lontana di un astronauta (sta viaggiando in un quartiere invece che nello Spazio, ma fra le due avventure vi è più di qualcosa in comune) è quasi arrivato alla fermata dell’autobus che lo porterà al suo bar. Ormai può ritenersi appagato a livello sportivo, si è sgranchito le gambe, ha evitato di fare il poltrone, sprofondato in un comodo sofà, e ha fatto quattro passi salubri. Sembra che per oggi le sorprese possano bastare, e invece all’improvviso si materializza, nell’ambito di un condominio, una situazione assai significativa. Davanti a lui si squaderna l’immagine di un palazzo popolare, con tanto di nome proprio -‘Sofia’-. Lo stabile, alto una decina di piani, dispone, al pianterreno, di un vasto giardino, a disposizione di tutti coloro che abitano in quelle case.
   In questo casermone tira un’aria speciale. Periferia? Proletariato? Disagio sociale? Meglio tenere lontani questi punti interrogativi dalle orecchie di chi lì abita, ché non se ne possono fregare di meno. Essi sono se stessi, punto. Fieri, intraprendenti, immuni da complessi di inferiorità. Non vogliono essere compatiti, respingono al mittente pietose offerte di attenzione solidale. Si vocifera che in un paio di occasioni dai balconi dei primi piani abbiano lanciato, con una specie di catapulta, robaccia: quando è arrivato un esattore delle tasse, per riscuotere soldi da uno di loro, e nel momento in cui è giunta una troupe televisiva, a caccia d’uno scoop. Per carità, quei giornalisti volevano parlare bene di loro, far vedere al proprio bacino di utenza che questi cittadini abbisognano di un miglioramento del loro tenore di vita, che non tutti i loro diritti vengono rispettati al cento per cento. Queste persone, però, si sono comunque infastidite, sospettando che i professionisti avessero qualcosa da guadagnare nell’esercizio di quella filantropia. Pensano, evidentemente, che il miglior modo per emanciparsi da un gap di prestigio, da un visibile o invisibile handicap di reputazione, sia non attribuire validità al sistema in cui si parla di vincitori e vinti. Vinti un corno, loro sono gagliardi, nel loro animo non si sentono paria, e guai a colui che vada a trattarli come tali, sia pur per fornirgli assistenza.
   La facciata del palazzo è una delle più scalcinate del toponimo urbanistico in cui queste case sono inserite. Però la percentuale di condòmini favorevoli a una ristrutturazione non è mai riuscita, almeno fino a questo momento, a diventare maggioranza che comanda, perché molti, sparpagliati per diversi piani, pensano che gli involontari e casuali disegni originati da quegli effetti di incuria siano belli e anche in qualche modo significativi. Un arrotino, residente al terzo piano della scala B, è convinto che, a ben vedere, una striscia di macchie, localizzata più o meno a una ventina di metri dal suolo, somigli a otto numeri 8, il che, lui lo giura, è segno di forte fortuna. Qualcuno può pensare che la sfrenata fantasia di questo lavoratore sia prossima alla mitomania, intanto Alfredo è riuscito a fare proseliti, soprattutto fra gli abitanti della scala A, e comunque se i più non gli credono, evidentemente nelle riunioni di condominio votano non tenendo conto di questo intimo scetticismo verso il loro amico, visto che puntualmente si dichiarano contrari al rifacimento del prospetto e in genere citano Alf per dimostrare che addirittura qualcuno è contento di quello stato di cose. E una volta Fiona -scala C, piano sesto- ha tirato espressamente in ballo la storia della figura ‘88888888’: “Ve l’ha detto, no, Alfredo, che si legge quel numero che porta bene. Volete cancellarlo? Volete chiamare una ditta per far passare una mano di vernice su tutta la facciata? Fate pure, poi non vi lamentate se le cose iniziano ad andare male”. Per l’arrotino, presente alla scena, si è trattato di un momento memorabile: si è sentito un genio finalmente riconosciuto in tutta la sua importanza, uno che quando parla viene ascoltato e valorizzato, mica ignorato come un cretino.
   Quanti panni, freschi di bucato, svolazzano dai balconi! Questo garrire di improprie bandiere ogni tanto cagiona ruggini e dissapori, dato che qualche massaia, nel vedere dentro un proprio vano una certa penombra, talvolta in procinto di diventare buio, si avvicina alla finestra della veranda, ne ravvisa la causa nelle lenzuola di quella di sopra, appese per intero, e si incazza come una tigre a cui qualcuno tiri la coda. Però non si fraintenda: spesso gli attriti sfociano in momenti di comicità, quantunque non si finisca mai a tarallucci e vino. Un paio di mesi fa Florinda -scala A, piano quinto-, aiutata da una cugina sarta, ha voluto fare uno scherzo alla rompiballe del piano sottostante: hanno cucito due lenzuola matrimoniali, fino a farle diventare una distesa di venti metri quadri, e poi hanno appeso tutta questa roba, che ovviamente, data la sua lunghezza, è arrivata a coprire interamente le finestre della vicina del piano di sotto. Apriti cielo! Quella si è messa a urlare come un ossesso, ma Florinda, che intanto si stava sbellicando dalle risate insieme alla complice parente, si è affrettata a dire a Giovanna -l’inferocita sindacalista-: “A Giovà, e datte ‘na calmata! T’ho fatto ‘no scherzo, ma mica volevo prennerti per il culo. Dai, stai bona, mo le levo”. E il tutto è finito con un principio di ‘Ah, Ah’ orchestrale.
   In questa cittadella mancano personaggi di spicco, salvo uno che somiglia moltissimo a un attore di una fiction, e perciò, godendo di una surreale luce riflessa, è diventato un mezzo personaggio, etichettato come ‘l’attore’ in qualche dialogo. E poi vi è un travet che porta un cognome identico a quello di un importante politico. Spesso gli hanno chiesto ‘Ma che, sei per caso parente di…?’, e lui, ogni volta, ha sapientemente glissato, per alimentare con furbizia l’equivoco: ‘Lasciamo stare, va, ma non è il caso di parlarne’. Si comprende come questa risposta non neghi, in teoria, che i due siano davvero parenti, sia pure alla lontana, così come può far pensare che la voglia di non parlarne scaturisca dal suo desiderio di non essere scocciato con richieste di raccomandazione. Il quiproquò, insomma, tiene, ci sta che l’evasiva reazione a quelle domande possa andare d’accordo con la risposta ‘Sì’, e dunque costui è diventato leggermente ‘in’, rispettato più di quanto si faccia in genere con chi abiti da queste parti.
   Spesso si ode una musica ad altissimo livello, proveniente da qualche interno, e l’ascolto è ancora più intenso, ovviamente, quando il clima consenta di tenere spalancati i serramenti. Talvolta qualcuno accompagna le note in uscita dagli altoparlanti con un proprio canto a squarciagola, e capita che da qualche veranda arrivino slogan come ‘San-re-mo! San-re-mo!’, oppure ‘Ma che fai qui con noi!, vai all’Auditorium, firma autografi’, e celie di questo genere.
   Al popolo della zona non manca il tipo audace e che non bada a spese. Si chiama Flavio, è capace di indebitarsi pur di celebrare fatti da lui intesi come eventi, in una maniera che lui reputa la festa giusta. Il suo show preferito è qualche spettacolo pirotecnico. Nell’ultimo anno ne ha commissionati due.
   Si sono visti mirabolanti fuochi di artificio -ma nessuno ha capito dove con esattezza siano stati prodotti- innanzitutto quando la figlia ha conseguito un diploma in un corso per parrucchiera. Flavio era raggiante, e non si è peritato di tenere un party nel suo salone -frutto dell’abbattimento di una parete interna, sì da fondere due normali vani- e di commissionare quello sfarzoso spettacolo, invitando tutti gli ospiti, cinque minuti prima che esso iniziasse, a uscire sui balconi, “quello che state per vedere -questo l’incipit della sua telecronaca in diretta- è un piccolo omaggio alla mia campionessa”. E, al termine di tutto lo show, in mezzo agli applausi degli invitati -e dopo un commento: “e chiamalo piccolo!”-, si è lasciato scappare “ti auguro, figlia mia, di diventare la coiffeuse  [che emozione pronunciare ‘sta parola!]  delle principali dive di Hollywood”, e giù lacrime di commozione, mentre la festeggiata rassicurava il fidanzato, “non ti preoccupare, amò, ti porto con me se spicco il volo in America”.
   Seconda kermesse: in una dimensione ben diversa, ha voluto esprimere con l’ubriaca euforia di questi sgargianti fasci luminosi, variopinti gemelli della sua voce quando grida ‘Goal!’, la sua gioia per la vittoria della propria squadra nel derby cittadino. I botti si susseguivano con un ritmo musicale, l’aria del quartiere era attraversata da simpatici e ottimistici scoppi, che emanavano nell’ambiente isteriche traiettorie di colori, e fra questi ultimi prevalevano le tinte che rappresentano le tonalità cromatiche ufficiali della bandiera e della maglia del club per cui tifa. Un ultrà davvero degno di qualche citazione su giornali sportivi, per la scientificità con cui cura questi suoi tributi all’adorata società calcistica.
   Qualcuno si potrà chiedere come mai non abbia festeggiato la figlia o la propria squadra nel giardino che Ernesto sta guardando in questo momento. Semplice: per una inderogabile etica di gruppo, questo luogo, che per loro è una sorta di fiore all’occhiello, è riservato a eventi che riguardino tutti indistintamente, e non può essere appannaggio, sia pur solo per poche ore, di qualcuno in particolare. Questo spazio condominiale è e deve rimanere della comunità nella sua interezza, aperto a ogni tipo di esperienza purché la globale cittadinanza del pianeta ‘Sofia’ sia coinvolta in pari maniera. Per questo motivo, siccome in genere è difficile che tutti questi romani, dal primo all’ultimo, abbiano qualcosa da festeggiare in maniera collettiva, il giardino ospita per lo più il loro stare insieme, magari per chiacchierare, o mangiare alla stessa tavola. Due esempi non casuali, visto che in questo momento i soggetti ivi riuniti intendono appunto conversare e preparare un banchetto serale in compagnia.
   Ci sono nove persone, appollaiate su sedie di plastica, sotto il manto di un albero rigoglioso, e poi, un po’ distante, vi è un uomo che sembra il capo della comitiva. Costui sta preparando per la serata un barbecue: siccome il clima lo permette, vogliono cenare insieme en plein air, e l’esperto cuoco, bravo ad arrostire bistecche, sta decidendo, con largo anticipo, dove sistemare la sua graticola, piena di carboni di legna, per cucinare fra qualche ora delle gustose fiorentine. A due signore che, non limitandosi a osservare il maestro, gli suggeriscono di posizionare quell’oggetto più a destra, ribatte che, se loro non hanno nulla in contrario, preferisce metterlo più a ovest, e spiega anche perché: ci sono delle aiuole a occidente, molto belle, e lui, quando le vede, si dedica meglio, con più letizia, alla sua arte culinaria.

Walter Galasso