DI WALTER GALASSO
Nicolò centellina succo di frutta, solo soletto, nel dehors d’un gettonato bar, che a tarda ora è tempio di quella movida -‘baccanale’ sold out- in cui egli non ha mai avuto il coraggio di tuffarsi. È una frana. Ha seguito un algoritmo per imparare savoir-faire, scaricato dal blog d’una sciura che dà ai suoi follower bei consigli, come una Ninfa Egeria, ma imbranato era e imbranato è. Zavorrato da inibizioni, complessato per vari motivi, non avrebbe, in quel dionisiaco tourbillon, nella febbre del sabato sera, la dovuta souplesse, sarebbe un pesce fuor d’acqua, umiliato da squali che rimorchiano benone negli abissi della lussuria. E poi quei protagonisti sono per lo più verdi guaglioni, mentre lui è entrato negli anta. Quarantuno. Porta bene l’età, ma non basta.
Ai tempi in cui Berta filava, studente secchione di Giurisprudenza, con l’hobby dell’ambientalismo -ogni tanto inviava a un giornale una lettera pro animali-, è diventato dott., ma poi ha bruciato la laurea. Anni d’ufficiale disoccupazione mista a lavoretti in nero, stressante tunnel in cui s’è esaltata la sua fantasia nel tentativo di mascherare l’emarginazione. Poi l’anticamera, aumm aumm, d’un notabile che, bravo a ciurlare nel manico, l’ha illuso e non ha raccolto il suo SOS. Finalmente un’assunzione con tutti i crismi, ma come vigilante. Si sentiva carente di prestigio, e poi era teso, preoccupato dal rischio di finire nel mirino della pistola più veloce del West. Un gagne-pain ammorbato dunque da tossica adrenalina -Nico ha confidato solo a un suo ‘Diario’, caratterizzato da una pletora di nevrotiche correzioni, questa larvata codardia-. Fingeva di essere un duro e stare ai materassi, pronto a sfidare un eventuale rapinatore, in certi bla bla trattava questo ipotetico nemico come una tigre di carta, ma mentiva, innanzitutto a sé: aveva paura d’essere colpito dai proiettili di un’arma. Unica consolazione: la vicinanza di Lia, bancaria nell’istituto di credito che questo guardiano aveva il compito di proteggere dalla mala. Dagli oggi dagli domani, attaccando frequentemente bottone, ne è diventato un mezzo amico. Sotto sotto s’era invaghito: la superiorità sociale della donna e il fatto che sia molto più giovane lo hanno dissuaso dal provarci. Ha scritto una lunga lettera d’amore, intensa epistola dove ha concentrato il meglio del suo italiano: non inviata, rimasta nel cassetto, come tanti altri suoi velleitari sogni.
Quando ha trovato un job migliore -impiegato in un ufficio-, s’è prefisso, dopo averla salutata, di mantenere i contatti. Alla lunga li ha persi e, pioggia sul bagnato, nel presunto salto di qualità non tutto il già scarso oro riluceva. Ha dovuto ammettere a se stesso che pure un colletto bianco non è un vip nel leviatano, ha maledetto il letterato inventore del termine ‘travet’, e poi l’acme della sua frustrazione: l’arrivo, nell’azienda, di un boss stronzo.
Adesso, nel locale glamour, si sta leccando ferite cagionate ore fa da quel bastardo. È reduce da un ennesimo atto di mobbing da parte del capo, il quale a muso duro, irritato da una sua leggera polemica, gli ha sferrato “Qui dentro con te o senza di te è lo stesso, ricordatelo”. Quel maschio alfa lo ha bullizzato, gli ha dato della schiappa, e quella stanza, mentre lui subiva, s’è trasformata in una parziale geenna travestita da bureau. Per un attimo, lo sguardo fisso nel bicchiere, è lì lì per piangere. A un tratto un flashback: Lia che, rientrando in banca dopo un break, gli disse “la tua presenza mi rassicura”. Fu carina, lo fece sentire importante, tant’è che poco dopo egli iniziò ad avere sia l’orgoglio d’un Rambo che una vera simpatia per ogni cliente della filiale: due effetti, diversi e uguali, del complimento.
L’uomo, finendo di bere, si calma, e/ma ritorna in lui il rimpianto di non averle mai detto quel che provava per lei. L’inquietudine non passa, cambia solo motivo e tipologia, diventando paradossalmente positiva. Prima era freno, quasi foratura, fregatura d’una eccessiva sensibilità, ora è motore, pedale per azionare un’urgente accelerazione.
Si alza, paga il conto e rincasa. Ha un progetto, già coltivato in passato, e sempre abortito. In questo tempo libero, però, deve -imperativo categorico- condurlo in porto. Si tappa nel suo guscio, cambia look e va nello studio. Inizia a vergare la brutta copia d’una lettera, che poi spedirà in forma di e-mail a Lia, la bionda di cui s’innamorò senza mai pescare in sé il coraggio di dichiararsi. Giura che si supererà, promessa che è pure, in certo senso, una minaccia. Quando scrive con penna, non su una tastiera QWERTY, ha l’abitudine di fabbricare molte minute prima di arrivare alla bella: è un perfezionista, non si accontenta mai, così arrecando un ‘guidalesco’ solo a sé, quindi nessuno può biasimarlo per questi irre orre. Somiglia a certi scrittori che, quando fabbricano qualche opera riempiono la pattumiera di pagine stropicciate, secondo l’iconografia del genio tormentato che, magari fumando una sigaretta, alle 3 a.m. ancora permeato di verve poietica, nel bel mezzo di qualche performance in fieri s’arrabbia, come una fiera chic, di fronte a un foglio che lui reputi riempito d’un contenuto migliorabile. E allora lo appallottola nervosamente, lo umilia stringendolo con violenza in un pugno -pegno a se stesso di ‘ad maiora’-, con la forza di un karateka e quella di un boxeur messe insieme, e butta nell’inferno di quel cestino la composizione.
Nico, recidivo in un errore già commesso tante volte, per esempio nel Diario di cui sopra, prescinde dal fatto che non insegue gloria artistica -né ora né mai in passato, e del resto non ha il physique du rȏle per fare il romanziere, avendo un aspetto che sembra piuttosto quello di un aspirante CEO-. Egli deve soltanto spedire sul computer un messaggio all’amica -tale purtroppo è sempre rimasta, ma meglio di niente- con cui i rapporti si sono diradati, e lui si prefigge, grazie a un’articolata missiva, di ricucirli. Nondimeno, pur non essendo le sue sudate carte finalizzate all’alloro, il writer dilettante è comunque autocritico in maniera quasi maniacale. Nell’attuale corvé epistolare ammonta a un paio di pagine la redazione recenziore, cioè il ‘lifting’ più aggiornato nella politura del manoscritto. Lo emenderà ancora -mantra: l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!- e, strada facendo, i KB dell’e-book aumenteranno in escalation, come i chili d’un goloso non a dieta.
Su un ripiano di un’étagère si staglia la figura d’una lignea scultura: un caimano dagli occhiali, l’animale, sui generis, che la Natura ha dotato di un rilievo osseo sugli occhi, trait d’union fra le orbite. I glasses scolpiti dal suo demiurgo somigliano, più di quanto accada in genere, a un numero 8 in orizzontale, anche grazie al fatto che l’animale non ha un naso umano, ergo i cerchi possono toccarsi senza ponte e naselli. Se ‘sto rettile quattrocchi indossi una montatura firmata oppure si accontenti di modelli acquistati a pochi euro in un negozio di souvenir, questo non è dato di sapere: così celia talvolta l’impiegato con qualche ospite che si metta a fissare quel ‘coso’. Aggiunge che ha trovato il manufatto sulla bancarella d’un vu cumprà, un certo Jerry, quasi sempre omettendo che il simpatico esercente, nel tentativo pubblicitario di spronarlo all’acquisto dell’oggetto -ma non ne aveva bisogno, Nicolò fu subito ammaliato dalla rara chicca-, disse “compralo, porta fortuna!”, forse per l’8. Quella specie di coccodrillo ristretto in lavatrice, vagamente simile a una figura istoriata su coltelli che il dottore usa da sei anni, capace d’inserire nel suo menu i famigerati piranha, a qualcuno ricorda un film di Nanni Moretti, ma il padrone provvede subito a intessere una disambiguazione -‘il caimano animale è un conto, quell’opera un altro…’-, nella quale tiene a sottolineare che quella pellicola, intrisa di risonanze politiche, nulla c’entra con questo peregrino soprammobile, da lui importato nei suoi averi dopo un ‘colpo di fulmine’, in senso artistico, per la sua forma hors ligne.
Da ottimi altoparlanti, 100 watt di potenza, escono note di musica calypso, un mix afroamericano di allegria carnascialesca e drammatica protesta. È risaputo che questo genere ebbe origine fra gli schiavi delle piantagioni, e nel suo stile è palese la libertaria eco d’una gran voglia di ribellione, l’anelito all’emancipazione. L’uomo, a furia di sentire brani di tale filone, si è fatto l’idea che sin dai suoi albori questa armonia abbia espresso una forte carica, dolente e rivoluzionaria, mediante atmosfere seriamente ilari, e gli piace questo ossimoro, questa capacità di veicolare messaggi impegnati con sonorità frizzanti, come quelle che sta ascoltando adesso. I diffusori effondono positività, amplificano un’istanza di buonumore, e insufflano nel suo Io l’uzzolo di ballare, di scatenarsi al ritmo del disco. Se non fosse congenitamente negato per la danza, avrebbe già da un pezzo imparato a piroettare sentendo ‘sta specie di rumba. Ode, e intanto gli sembra che l’8 della statua lo osservi.
Pensa molto, con teso romanticismo, alla Meta. Si astiene, perciò, da un vezzo: scrivere, in rough copy, su contenitori di derrate. Spesso, infatti, lo intriga il contrasto fra l’indole ‘alta’ della scrittura e superfici ‘basse’, non elitarie. L’incipit della sua più bella missiva a un newspaper vide la luce su una confezione di Cipster -ma allora non teneva certo a una risposta del Direttore come adesso sta anelando a fare colpo su Lia, poteva dunque permettersi di giocare in quel ludo-. In questo civettuolo passatempo, di cui va fiero, si limita, è ovvio, a qualche nota: più che sufficiente per sentirsi originale. Se un autore di réclame nella Tv, fricchettone e molto fico, lo venisse a sapere, potrebbe imitare la peculiarità in uno spot, in cui Dante, sbranando biscotti [della marca che il pubblicitario osanna in cambio di schei], a un tratto, forse grazie alle caratteristiche organolettiche di quelle leccornie, ha una fantastica ispirazione e segna sublimi terzine incatenate sul pacco da cui le sta estraendo. Nico, mezzamanica rosicona, piena d’invidia per supermen come gli affermati creativi, ne sarebbe così lusingato che eviterebbe di sporgere denuncia per plagio. Questa digressione è utile a evidenziare, visto che adesso non gli passa neanche per l’anticamera del cervello la tentazione di praticare ‘sto gioco, quanto in questo momento sia seriamente assorto in un compito che gli sta molto a cuore.
Ha davanti un foglio, immacolato, d’un pingue tomo, appartenente alla sezione finale del volume: è privo di un numero cardinale che segnali a quale pagina corrisponda, essendo invece contrassegnato dalla scritta ‘APPUNTI’. Nicolò prima pensa ‘Ma se ci dipingo qualche nota, la devo considerare parte integrante della pubblicazione?… Magari!’. Poi, smessi i panni del comico, si chiede: ‘Ma proprio qui, con tutta la cancelleria di cui dispongo, dovrei annotare qualche parola? Meglio lasciare pulito questo bianco’. È nervoso, perciò si abbandona a osservazioni leggermente curiose. Non riesce a elaborare delle proposizioni da inviare a lei, la sua vena intellettuale pare essersi illanguidita, e la sua mano sinistra tortura una biro. Lui non è mancino, e la penna fra quelle dita poco disinvolte è a significare che essa per il momento non lavora e scherza, distesa sopra un anulare e un dito medio e sotto un indice e un mignolo: abbassandosi alternativamente fan sì che essa oscilli, astrusamente pilotata da diciannove muscoli. La mano destra è pronta, non appena il cervello escogiti qualche bella frase per la donna, a intervenire con autorità, ghermendo lo strumento di calligrafia e iniziando a redigere qualche sviolinata su una superficie atta a ospitarla.
E se le comunichi, per colpirla, qualche idea che quasi nessuno abbia sul pianeta? Pensare qualcosa in contraddizione con quello che la maggioranza della maggioranza asserisce, per esempio che il possesso di molti soldi costituisca una figuraccia, è follia o libertà? Si pone davvero questa domanda, sia pur per pochi secondi, ma poi molla la presa, pista sbagliata, Lia lo manda a quel paese se lui tenti di riconquistarne l’attenzione in questo modo. Forse ha un capolavoro sulla punta della lingua, ma le si è attaccato con un adesivo super e non ne vuole sapere di diventare filosofia chiara e distinta, vocaboli nitidi e convincenti. Forse giace in sé, latente e acquattato, un ragionamento che, se partecipato alla sua venere, potrebbe farle provare sensazioni stupende, ma, se esiste davvero laggiù, enuclearlo e portarlo a galla è più improbabile che vincere alla lotteria dell’Epifania. Che fare? L’estro di questo soggetto ha le gomme a terra e non solo non fila, ma non riesce nemmeno a marciare a 2 km/h. Distante dal traguardo come una tartaruga che, in viaggio sull’Autostrada del Sole, lemme lemme, con le zampine che sotto il carapace fanno giacomo giacomo, si permetta pure il lusso di fermarsi in autogrill per un caffè.
La soluzione gli arriva quando non se l’aspetta, in serendipità, e il suo baluginare lo coglie così di sorpresa che Nico stoppa la riluttanza a ‘violare’ con inchiostro gli spazi di ‘APPUNTI’ di quel testo -prima interpretati come quaderno troppo pregiato per essere usato-: eterna proprio su quei centimetri quadrati il motivo dell’interiezione ‘eureka!’, esclamata nel pensiero. Il Nostro ha intuito qualcosa da dire traendo spunto dal ‘totem’ caimano, trasformandolo da elemento passivo del suo ambiente a fonte d’ispirazione. “Cara Lia, tante volte, vicino a te, ho fatto lo scemo e detto fesserie per reagire, qual schiavo in calypso, a una cattività: essere timido e non riuscire a dirti la tua importanza nella mia vita. Sembravo a carnevale, dietro una maschera e tutto intento a fare il buffone o il banale, ma volevo solo cantare, con agrodolce allegria, il mio bisogno di te. Avrei potuto, come fanno tanti, proporti di salire in camera mia per farti vedere una collezione di francobolli o di farfalle, anzi avrei potuto stupirti anche di più, perché già allora avevo in una mia stanza la statua di un caimano dagli occhiali, simili a un 8, e, senza nulla togliere alle vanesse o alla filatelia, esso è il non plus ultra dell’originalità. Avrei potuto proporti di venirlo a vedere, per poi, una volta qui accanto a me, confessarti che sei la donna più bella che io abbia mai conosciuto. Un’irrazionale paura mi ha preso in ostaggio, però oggi sono riuscito a slegarmi, a liberarmi da blocchi e tabù, e a trovare la forza di dirti che il caimano è ancora lì, ora sembra che mi stia guardando con i suoi 4 occhi. Sento che sto per recidere del tutto i nodi dei carcerieri: sì, mi sono affrancato dalla mia imbranata fifa blu, e allora ti chiedo umilmente, con una decina di anni di ritardo, se mi possa permettere di invitarti ad ammirare questo scultoreo e intellettuale coccodrillo…”.
Ventidue mesi dopo: sta per nascere un bebè, figlio di Nicolò e Lia. L’e-mail arrivò, da cosa nacque cosa e… Forse Jerry aveva ragione, l’8 del caimano porta bene, o forse le rose sarebbero comunque fiorite, anche se il dottore nell’e-mail non lo avesse citato. Il nome del bimbo? Ça va sans dire: Otto.
Walter Galasso
Because the admin of this web site is working, noo uncertainty very quickly it will
bee famous, due to its feature contents.
Look into my blog post – Lona