DA UNA VENERE STUPENDA ALL’ INVASIONE DELL’ ULTRARTE   [Da articolo a racconto  / Comune:  Genova  / 2  VIDEO]

DI WALTER GALASSO

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[…INSPIRATION FROM:  la Repubblica; L’ invasione dell’ UltrArte in centro storico; di Erica Manna;  22 Aprile 2024  alle 18:49]

UNA BELLISSIMA CELEBRAZIONE DEL PRIMO MAGGIO

Genova, Primo Maggio: suonano le sirene delle navi / YouTube – Local Team – 1 mag 2020

Trallalero “No te lagnà” i Raccogeiti di Piazza Luccoli / YouTube – Trallalerogenova – 22 feb 2012

   Il mio ricordo di quell’incontro ligure è nitido come un’attuale percezione. Ero negli ‘enti’, guaglione pischello, green più dei Verdi in politica, in un tour, nel Nord del Bel Paese, con la mia automobile di allora. Mi trovavo a Genova, a notte fonda, ore piccole piccole. La vidi all’improvviso -la L sarebbe maiuscola anche in un’altra posizione-, e ne restai soavemente folgorato. La contemplavo e l’ammiravo così tanto che rispetto alla mia eccitazione un satiro sembra un tipo frigido. Un muliebre capolavoro. Una luce che illuminava a giorno la notte emanava da quella venere -era in compagnia di un’amica-, una bomba sexy, wow!, un’irresistibile calamita e meta d’un desiderio in ebollizione. Per lei, se ne avessi avuto il potere culturale, avrei proposto alle autorità competenti, fra cui l’Accademia della Crusca, la creazione, nella gerarchia degli aggettivi, di un livello superiore a Sua Eccellenza, il superlativo assoluto. Bellissima? Di più. Una pin-up da urlo, che provocò in me, in un torrido e focoso coup de foudre, una tempesta ormonale paragonabile a un maelstrom tutto piacere e zero terrore. Terrore no, ma paura -di provarci, di tentare d’abbordarla- sì. Un po’ perfezionista nelle questioni d’amore e di sesso, in quel frangente, mentre rischiavo di perdere la trebisonda nell’overdose di libido, commisi l’errore di pensare a come poter fare il più possibile colpo, invece di uscire precipitevolissimevolmente dall’auto e fare la prima avance che mi fosse venuta in mente. Forse poteva bastare inchinarmi, arrivare con la bocca a pochi centimetri dai suoi piedi e, guatando la dea dal basso in alto, in segno di acquiescente dedizione al supremo potere della sua venustà, dirle che per lei avrei fatto a botte con la gang ‘Ercole + Maciste + Sansone’, uno versus tre, tanto eroico quanto di lei perdutamente innamorato. Invece, mannaggia!, nell’abitacolo, in irre orre imperdonabili, l’ho tirata per le lunghe. Devo dire grazie a quella fata per l’ironica soddisfazione che ho avuto qualche anno più tardi, io insignito dell’onorificenza di ‘Gran Blagueur dell’Ordine di Malta’. Quella notte, infatti, ho iniziato ad allenare la mia fantasia di contaballe, nel chiedermi con quale trionfale bugia avrei potuto fare un figurone con la signorina. Mentre io mi ponevo questo problema, in tot secondi equivalenti a secoli di ritardo, arrivò un sardanapalo, alla guida d’una sfarzosa fuoriserie, lunga, rispetto al mio veicolo, il doppio più nove centimetri, e undici volte più lussuosa, e lei, probabilmente la sua girlfriend, salì a bordo -insieme all’amica, forse avevano in programma un erotico e disinibito threesome-, girandosi solo un quarto di un istante verso di me, e lanciandomi un’occhiata, veloce come la luce e per me struggente come un raggio di buio che punga invisibile l’anima. Da quei meravigliosi occhi ebbi l’impressione che fosse partito il messaggio ‘la prossima volta cogli l’attimo fuggente’. E la prossima volta, se mai ci sarà, lo coglierò eccome! Lui -mister Attimo- fuggirà? Io correrò più veloce di lui, come un ghepardo, anzi come un falco pellegrino in volo rasoterra, e lo acciufferò, cioè dirò a lei che… Intanto allora ella se ne andò insieme al fortunato personaggio. Brrr, che brivido serpeggiò in me!, nel fior fiore di quell’avventuroso choc. Avrei voluto urlare a squarciagola, contro il lunotto di quel macchinone, dichiarare urbi et orbi che la ricchezza interiore vale molto di più del denaro, e meno male che non lo feci, altrimenti sarebbero uscite risate dalla marmitta. Augurai a quel bastardo di fare cilecca in preda alla cosiddetta ansia da prestazione… No, sto scherzando, mi limitai a invidiarlo, beato lui!, ma, pur senza meschine cadute di stile, incassai il colpo.
   Tuttavia, indomo visionario, prefigurai una seconda chance, non mi diedi per vinto. Mi feci, lo ammetto, una predica, guidando per le strade di Genova al chiaro di luna e in preda a un incipiente -eppur già stagionato- rimpianto. Mi rimproverai per quel breve, ma fatale, tentennamento, mi esortai a non rifarlo mai più, nondimeno volli, pur nella mezza voglia di recitare il mea culpa, pensare positivo. Decisi di prolungare il mio soggiorno nella bella e importante città, per far lievitare gli atout di rivederla. Magari, dea saldamente radicata nel tessuto urbano della gloriosa repubblica marinara, di casa dentro La petrarchesca Superba, avrei potuto rincontrarla già l’indomani, e già alle prime luci dell’alba. Magari! Non l’ho rivista, né in quei giorni né in tutto il periodo compreso dalla prima percezione ad oggi. Però non ho mai perso la speranza, e quella splendida donna è stata uno dei motivi che mi ha spinto, anni dopo, quando ho deciso di emigrare, a scegliere, come destinazione, proprio quel Comune. Chissà, forse prima o poi sarò nuovamente al cospetto di quella diva, e mi giocherò meglio l’occasione. Ambedue cambiati, lei ovviamente migliorata, perché ogni donna migliora sempre, io peggiorato, ma con la capacità d’accontentarmi, un punto di forza che quella notte non avevo, e che adesso, genovese d’adozione, possiedo nella misura in cui questa città m’ha insegnato, fra l’altro, che ‘chi veu stâ ben piggie o mondo comme ven’ -perciò se mi buscherò un due di picche non ne farò un dramma, saprò metabolizzare la waterloo prendendola con filosofia-.
   Per la verità ho impiegato anni prima di assimilare al cento per cento il suddetto, proverbiale mantra. Forse perché sono venuto in cerca di fortuna, non con un buon posto già assicurato, durante il mio trasferimento ero teso, irrequieto, addirittura non del tutto convinto -fino alla vigilia della partenza- del passo che mi accingevo a compiere. Avevo in mente di aprire un negozio, e una parte di me si chiedeva se fosse davvero necessario, per esercitare questo lavoro, spostarmi in un’altra Regione. L’anonima venere, o.k., il mio amore per il mare, e Genova ha un pelago wonderful, la mia voglia d’abitare nel centro storico più grande d’Europa, e, last but not least, quel porto così importante. Quando, il Primo Maggio del 2020, trovandomi nei paraggi dello scalo, ho ascoltato minuti d’un meraviglioso concerto di sirene, in onore della Festa del Lavoro, ho provato una stupenda emozione, per tanti motivi. Ho chiesto all’editore di questo racconto, Walter -felice di pubblicarlo sul suo sito Internet- la cortesia di premettere al testo il video di quello spettacolo: da brividi, confesso che quando lo vedo e rivedo mi viene la pelle d’oca, sono a un passo dal versare qualche lacrima, credo che rappresenti uno dei più bei modi di celebrare la ricorrenza. Il GOA per me è un mito, così il mio cuore e la mia mente lo hanno percepito sempre, già prima dell’emigrazione. Nella mia ottica i suoi camalli sono lavoratori per antonomasia, gagliardi operai, duri e puri nel resiliente stacanovismo dei loro bicipiti. Ma, come ben si comprende, tutto questo, da un uomo che voglia solo varare un pubblico esercizio, può essere percepito come un insieme di ragioni (per cambiare latitudine e longitudine) non strettamente necessarie. La sera prima della partenza saltai in braccio a Morfeo in preda a un pizzico di scrupolo, temevo di buttare soldi al vento per un capriccio. La notte ebbi una stranissima esperienza onirica: mi venne in sogno un motore di ricerca. Sì, ho scritto bene e non ho alzato il gomito: sognai il browser Yahoo, che mi diceva “Paolo, stai facendo la cosa giusta. Emigra, non tornare sui tuoi passi, Genova ti sta aspettando”. Quando mi svegliai, e subito venne a galla questa esperienza, sorrisi, affascinato come sempre dall’oceano, tanto misterioso quanto prezioso, chiamato ‘Inconscio’. Un mare assai poco pacifico, allineato, in fila indiana, con gli altri tre, così anarchico che per l’Io tentare di capirci qualcosa è una tremenda fatica atlantica. Partii, non potevo fare dietrofront, ma ero nervoso. Mi lasciavo alle spalle tante delusioni professionali, odiavo, con una vis polemica pesante più del piombo, tanti miei nemici, l’idea di dovermi accontentare, dopo innumerevoli sogni di gloria, di un negozio, sia pur di libri, non sfagiolava alla mia narcisistica grandeur. E, già sul suolo della Liguria, dentro il suo suggestivo capoluogo, nel fare i conti con la dura realtà dovetti abbassare la cresta, accantonare il progetto, allora velleitario, della libreria, e accontentarmi d’una ferramenta. Non proprio l’occupazione che avevo sperato. Anni duri, epoca di frustrazione e incazzati lamenti, da solo, sbottonandomi in sfoghi con amici, o confessando la mia amarezza a mia moglie -spero che non legga questo racconto, non le ho mai rivelato la mia passione per la misteriosa miss di quella notte, men che meno la mia speranza, ormai in sordina e stand-by, di rivederla in futuro-. Sono stato, insomma, uno dei tanti esseri umani che non si sentono appieno realizzati. Sono stato… finché è accaduta una svolta che, per certi versi, appare più eteroclita e surreale del dream con Yahoo.
   In questa città ha una grande importanza il cosiddetto ‘Trallalero’, un polifonico canto a cappella, spesso vernacolare, bellamente folk, eseguito da una vivace ‘squadra’, un’équipe inclusiva di distinti ruoli. Io, all’oscuro di questa sentita tradizione, l’ho scoperta quando, per mero caso, ero in piazza Luccoli e si sono materializzati i Raccogeiti, producendosi in una performance magica, capace di cambiare la mia mentalità a centottanta gradi. Hanno cantato, in una strabiliante esecuzione, il Trallalero ‘No te lagnà’, con una bravura in cui di questo tipo di opera sono venuti particolarmente a galla i suoi tanti e positivi attributi, fra cui una caratteristica anche letteraria, legata a uno dei principali meriti culturali del linguaggio teatrale: il senso complessivo albeggia e fiorisce anche a prescindere dalle parole, scaturendo semplicemente da una drammaturgica, eloquente intonazione e dal contrasto ritmico tra voci armonicamente tarantolate. Anche grazie a questo ‘lievito’, un intrigante je-ne-sais-quoi, ciò che hanno gorgheggiato ha avuto su di me un forte, positivo effetto. ‘No te lagnà’: una svolta nella mia mentalità. Alla fine dello show un entusiasta e circostante pubblico, l’uditorio in cui m’ero intruppato, ha tributato alla brava band un caloroso applauso. Ho avvertito l’esigenza di avvicinarmi a uno di questi campioni, un signore con il ruolo di Contraetu. Volevo dirgli che il loro canto mi aveva dato la carica, esortandomi a un baldanzoso e gioviale ottimismo, a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Quindi a rallegrarmi di più della mia libreria nel cuore di Genova, un negozio culturale dopo una ferramenta, parimenti dignitosa ma per me meno esaltante, gestita per anni.
   Detto fatto. Ci presentiamo. Schietta e vigorosa stretta di mano, “Piacere, Paolo”, e lui “Piacere, Giovanni”. Iniziamo a chiacchierare e mi sembra doveroso dargli del lei. Doveroso? Fa finta d’inquietarsi, “Che fai, mi offendi, t’ho detto che mi chiamo Giovanni”. E ridiamo. Si evince dal mio accento che non sono un ‘indigeno’, ma Giò, superlativo, dopo che gli ho detto “Amo questa città, nel profondo del cuore”, mi dice dolcemente “Allora, caro Paolo, pure tu, come me, sei di Genova”. Un’investitura. Da allora la Lanterna è diventata al mille per cento un altissimo simbolo del mio spirito di cittadinanza. Durante quelle belle parole dell’artista ho avuto la sensazione di sentire il profumo del Mare universale, del pelago che affratella, che sbriciola l’antipatica dicotomia fra autoctono e forestiero. Bla bla cordiale, e poi il contralto mi chiede quale sia il mio lavoro. “Il libraio. È un mestiere carino. Certo, sono uno dei tanti, mica un superman come Cristoforo Colombo”. Non dimenticherò il suo sorriso. Capisce tutto in un battibaleno, capisce che sono abortiti tanti miei sogni di gloria e che, se potessi bisbigliare in un orecchio del genio della lampada un desiderio, Jinn immediatamente trasformerebbe la mia occupazione in… Giovanni, dopo ‘No te lagnà’, mi fa un altro regalo. “Paolo, hai mai sentito parlare di ‘Passo Blu?’. È una rete, molto speciale, di artisti”. “Vagamente”. E mi comunica, dopo avermi rivelato che un pittore di quella pleiade è un suo parente, l’iniziativa ‘L’invasione dell’UltrArte’ proprio in via Luccoli, dov’è ubicato il mio store. Passo Blu International Art Communication, con il Patrocinio di Rai Liguria, in sinergia con Comune, Confesercenti e CIV, Centro Integrato di Via, hanno deciso di portare opere nei negozi della strada, in quelli, ovviamente, che vogliano aderire all’iniziativa d’avanguardia, trasformandoli di fatto in gallerie d’arte. “Paolo, perché non partecipi?”.
   Parteciperò. Mi sono informato meglio, ho trovato la notizia su giornali, soprattutto ‘la Repubblica’, e ho subito ufficializzato l’adesione del mio negozio. Non vedo l’ora. Certo, non divento Michelangelo, ma, da aficionado dell’insegnamento ‘No te lagnà’, mi piace e gratifica molto l’idea che possa dire ‘il mio negozio sa essere pure una galleria d’arte’ a qualcuno, magari a Lei, la venere stupenda, tanto bona, di quella notte. Certe volte ho avuto la tentazione di lanciare un SOS a Genova e supplicare il favore di rimettere quella fata sul mio cammino. M’è venuto in mente -quando ho avuto l’uzzolo di questa strana preghiera a una città personalizzata nell’amore- il cantautore Roberto Vecchioni, il quale, in ‘Luci a San Siro’, chiede a Milano di regalargli il ritorno di ‘una ragazza che tu sai’. Ma mi sono ricordato che aggiunge ‘Milano scusa, stavo scherzando’. Le cazzate sono belle quando durano il giusto, e così non mi sono permesso di disturbare la mia cara Genova. Che però… Lei sa tutto, e se vuole… Magari l’anonima venere riappare proprio nella mia libreria, ‘Pianeta Montale’, per ammirare una delle opere esposte. Mai dire mai, ergo è meglio che dentro il locale io, durante l’esposizione in oggetto, non stia mai vicino a un quadro o a una scultura, perché se quella reginetta di bellezza compaia nel mio regno lavorativo, splendida fonte di eterna mia gioia, posso barcollare in vertiginosi giri di testa e/o svenire, rischiando di rovinare un masterpiece artistico. Ai giovani piace scherzare, anche se sono uomini entrati negli ‘anta’.

Walter Galasso