DI WALTER GALASSO
[…INSPIRATION FROM: ‘SUBCONSCIOUS TOWER’ (‘WIEZA PODSWIADOMOSCI’), BY YACEK YERKA]
Giacinto si è calato nella ‘Subconsciuos Tower’ solo qualche volta, da bambino, quando gli piaceva recarsi in quella bucolica e amena campagna per giocare in libertà. In quelle rare immersioni non gli è sembrato strano il fatto che giù, intorno alla torre, vi sia altro spazio. In pratica quella proprietà è bilivelli. Quello superiore è il migliore, con un verdissimo prato, tanti alberi, oltre a quelli suindicati, un’arietta fresca, un’atmosfera ilare, soleggiata. Il piano meridionale, invece, è brullo, contrassegnato da vegetali senza il verde delle foglie. La flora consiste in rami, squallidi, anche se, giova precisare, possono piacere a qualcuno, per esempio a un pittore impressionista. Il denominatore comune fra il piano ‘0’ e quello ‘-1’ -una dicotomia che ricorda un impianto di box- è proprio la ‘Tower’. Giacinto in questo mentre sta pensando proprio a siffatta costruzione. Un immobile sotterraneo, atto, dunque, a tutelarlo dai naturali radar del drago. Roba da pazzi!: possedeva, tra i suoi averi, la soluzione e non ne era cosciente! Meno male che se n’è ricordato in tempo utile. Il giovane si alza di scatto e si mette in cammino, di gran carriera, verso quel posto. La Torre sarà il suo nuovo quartier generale, non lussuoso ma più che sufficiente, sicuro e, tanto di guadagnato, a costo zero. Ah, che meraviglia! La sola idea di non dover versare ogni mese, nelle tasche di qualche esoso proprietario, tanti schei a fondo perduto lo risolleva nel morale, gli dà la gradevole e allegorica sensazione di essere più leggero, non in balia di una ‘dittatura delle uscite’.
Impiega non poco tempo per raggiungere il fazzoletto di terra, ma nel suo orologio interiore quella durata pare brevissima, poiché ha camminato volentieri, sentendosi benone. È uno di quei casi in cui si può dire ‘il tempo è volato, non me ne sono nemmeno accorto’. All’arrivo una sorpresa, negativa, rischia di rovinargli la festa. Il giovanotto si accorge che nella parte centrale, quella sul terrazzo della ‘Tower’, s’è formato un laghetto, forse dopo abbondanti precipitazioni. ‘Poco male, non è la fine del mondo, io sono un asso di resilienza’, pensa nella sua interiorità, mentre contestualmente già elabora un piano per prosciugare quella copiosa pozzanghera. Prima, con un metodo all’antica, toglie una parte dell’acqua con un grande secchio. Poi, rendendosi conto che di questo passo finirà il lavoro tra qualche mese, estrae dalla tasca ladra della sua giacca uno smartphone, telefona a un suo caro amico e, dopo una chiacchierata in cui parlano del più e del meno, arriva al dunque e gli chiede di prestargli la sua idrovora, possibilmente facendogli la cortesia di portargliela. Gli giura sui propri sogni che gli pagherà la benzina.
L’amico respinge al mittente, con un beau geste da compagnone, la proposta di un do ut des, facendo finta d’incavolarsi. “La benzina? Oggi sei proprio sciroccato. Non mi permetterei mai di spillarti soldi in cambio di un favore”, e, ricevendo calorosi ringraziamenti, chiede l’indirizzo. Dopo aver capito, non senza difficoltà, dove si trova quella benedetta torre -su Google Maps non ha trovato indicazioni-, carica a bordo l’idrovora e la porta a Giacinto. Il quale lo invita invano a restare. Piero declina l’offerta, adducendo a motivazione del ‘No, grazie’ una scusa, inventando che va di fretta. Meno male che non gli si allunga un naso di Pinocchio. Ha detto una doppia bugia, non restando innanzitutto per non aiutare il giovane -in una corvé da esaurimento nervoso- a togliere tutta quell’acqua; poi perché questo posto gli risulta vagamente inquietante. Comunque, contento Cinto contenti tutti: questo, grosso modo, il nocciolo del pensiero che gli balugina quando riparte, sgommando, dopo aver detto al beneficiario del prestito che può usare con calma l’attrezzo, può restituirlo anche alle calende greche. E il pioniere, grazie allo strumento, riesce, dopo una fatica atlantica, ad annientare il laghetto, sentendosi, stanchissimo man at work, come uno che abbia ripulito le stalle di Augia. “Ah, finalmente! È vero che mi sono fatto un … [omissis da parte dell’Autore] così, però ne valeva la pena”. Si rende conto di essersi rivolto ai sette alberi disposti in semicerchio vicino al tetto, e se ne pente, cominciando a sospettare che nella concitazione di tutta questa surreale avventura stia vagamente rincoglionendo, però in men che non si dica abiura l’apostasia, si pente del pentimento, dicendo a se stesso che nella sublime bellezza dell’Universo anche il parlare a vegetali può essere, soprattutto nell’alveo di una sensibilissima poesia, un bel tipo di impegno mentale.
L’ora X scocca, pur senza alcun gong -in questa aperta campagna regna una silente serenità, l’atmosfera è permeata d’un vuoto acustico, appena scalfito dal lene rumore delle lancette inerenti a un orologio posto sulla fronte della ‘Tower’-. Il voyager può aprire la grande botola, una pittoresca porta orizzontale, e calarsi in questa strana proprietà, uno spazio tanto ‘subconscious’ -parolone che può, nella mente di qualche interprete prevenuto, suggerire un non so che di difficile e caliginoso- quanto simpatico a questo ‘palombaro’. Il quale, forse, lo apprezza nella misura in cui è suo. Ha tanti limiti, però è gratis: hai detto niente! E poi, essendo nelle viscere del podere, come un bunker, consente all’esploratore di tutelarsi dal drago. In questo rifugio quel brigante non lo sentirà, né con il fiuto né con l’udito, e men che meno potrà percepirlo con i suoi tremendi occhi -paiono quelli di un catoblepa-. Mentre riprende una relativa, parziale dimestichezza con questo immobile -non vi metteva piede da tempo immemore-, l’ultrà del marchio ‘Apple’ si chiede come, qui, possa inseguire il suo sogno. Nel ‘Box della Ribellione’ aveva, per così dire, trovato la pappa pronta, essendoci un pentolone finalizzato all’estrosa e gagliarda produzione di luce illegale. Poi, nel successivo ufficio, egli ha potuto, meravigliosamente circondato da un sacco di libri, attendere a uno studio classico, ha provato a rivoluzionare il sistema scientifico mettendosi sulle tradizionali spalle dei Maestri giganti del passato. E adesso? Il Nemico ha sabotato entrambi i domicili, e Cinto, privo e di pentola e di capolavori, hic et nunc, in questa torre scabra e piena di oscuri vuoti, probabilmente deve mutare atteggiamento culturale. Sì, è proprio così, l’avverbio va cambiato, al suo posto bisogna impiegare ‘sicuramente’: il protagonista non ha dubbi, e mentre fa uno starnuto fragoroso, “etcì!!”, forse dovuto a tutta l’umidità assorbita durante il prosciugamento del bacino d’acqua, si prefigge, ufficialmente e solennemente, di imboccare, come itinerario che possa condurlo a originare qualche scoperta con il botto, un percorso teoretico a base di sfrenata creatività. Magari riuscendo, in regime di ferace pensiero laterale, a forgiare un’idea così alternativa che di più non si possa.
Si guarda intorno, deambula girovagando scombussolato, rivede cose che già conosce, ma stavolta le sente in modo diverso. Fissa un quadro: dentro l’artista ha vergato con il suo pennello ‘CONOSCI TE STESSO’, in mezzo a una selva di geroglifici, scarabocchi, segni stranissimi. Non riesce a distogliere lo sguardo da quella scritta, ne è ipnotizzato, il suo fascino sta mozzando, ovviamente in modo parentetico, il suo fiero libero arbitrio. Con molta difficoltà riesce, dopo un sofferto braccio di ferro a livello psicologico, a guardare altrove, ma nel frattempo quell’insegnamento ha fatto proseliti fra le sue pulsioni. Il giovane essere umano, sapendo finalmente di non sapere, è, diventa consapevole di essere stato, fino a un attimo fa, un palloncino gonfiato, supponendo di padroneggiare il continente denominato ‘se stesso’, e invece avendo tanto tanto tanto da imparare.
Istintivamente si sdraia sul pavimento, in una postura che coniuga riposo e ansia, relax e stress. Ha la sensazione che in fila tot paturnie e mezze nevrosi escano dalla propria interiorità, ma solo per poco, giusto il tempo necessario affinché lui se ne accorga. E lui comprende, nel vederle lassù, come mongolfiere lillipuziane, vicine al tetto, che è aggiogato dal loro potere mentre il suo Io si dà da fare per metterne la polvere sotto un tappeto di rimozione. Il ferito eroe ammette d’essere, quando si atteggia a superuomo, un guappo di cartone. Con la schiena su un suolo quasi freddo, le braccia spalancate, un piede, quello destro, che si diverte a imitare un metronomo, mentre il sinistro pare guardarlo con perplessità, si esorta a lasciarsi andare. Libertà è anche questo: la soggettività senza redini troppo razionali, affrancata da un timone che la guida e limita al tempo stesso. Cinto ripensa al passato, anche se a tratti sembra che il passato vada dal suo pensiero. Un ritorno in cui si stravolgono alcuni valori. Atti che parvero quisquilie ora splendono come momenti oltremodo rilevanti, anche perché un gesto capace di abbonarsi per l’eternità a un posto a sedere nella tribuna della memoria non può che meritare l’etichetta di ‘mirabilia’, anche se sia consistito, con scarna semplicità, nel contemplare, durante una villeggiatura, una fontana in aperta campagna. Giacinto sta perdendo chili in questo viaggio ideale, si sente come un astronauta che, facendo marameo alla forza di gravità, in uno Shuttle, comunicando con il pianeta Terra mediante la meravigliosa tecnologia, sia sospeso nel vuoto. Una specie di magia, esattamente come quella ch’egli gustava, quand’era un bambino, nel vedere che, dopo aver piantato nella terra di un vaso casalingo i semi di qualche vegetale, a un certo punto dalle zollette usciva qualcosa, e lui restava a bocca aperta. Gli sovviene l’immagine di amici del passato, spariti nel nulla, persone con cui, per uno stupido orgoglio, per il megalomane ricatto di futili motivi -che gli dicevano ‘se non t’incazzi fai una figuraccia’-, ha litigato. E adesso, con il corpo supino e l’animo tapino, ne prova nostalgia. Quei rapporti si travestirono da sfida, ma sotto il camuffamento erano solo una vicenda di semplice affetto. L’Io di Cinto s’è concentrato sull’apparenza, mentre in questo spazio ‘Subconscious’ viene a galla il tiepido nocciolo. La sua spiritualità sta divagando, quaggiù non ci sono un ordine, una road map, le frecce che in uno store Ikea, l’ultima volta ch’egli lo ha visitato, gli hanno indicato il miglior percorso.
Cinto, steso sul pavimento, con gli occhi rivolti verso un tetto che gli pare un cielo privato, si diverte a paragonarsi a un tappeto. Gioca con il proprio serissimo orgoglio, e nel suo Io, durante questo trastullo più solenne d’una conferenza accademica, succede un fatto strano. Partito dal presupposto che l’esperimento -psicologico- di sfottere se stesso potesse costare fatica interiore, nel bel mezzo della recita si sente non peggio ma meglio. Più light, leggiadro, agile come farfalla ed emancipato dalla gravità come la simpatica Samantha Cristoforetti quando viaggia nello spazio. A parte questa detrazione di pesantezza, comunque, l’uomo si rende conto, e in questo aspetto v’è forse il vantaggio maggiore, che abbassando le rigide difese della vanagloria la sua personalità diventa più forte, per tanti motivi. Uno a caso: da sotto, dall’imo di sé, dal poco conosciuto oceano che splende oscuro sotto la superficie razionale, sale fresca, frizzante, libidica energia. Repressa quando su, nei piani alti della mente, un pilota spaccone e arretrato nella sua presunzione d’avanguardia, ieratico e impettito dietro il timone, pretende di imprigionarla in un’overdose di fragile e imperialistica coscienza. L’uomo, con la schiena sulle mattonelle, rilassato come mai prima, con il cervello che evita accuratamente di pontificare e atteggiarsi a ‘Dottor Intelletto’, ode l’arrivo di un’intensa vampata di libido.
Un termine ambiguo, per certi versi depistante. Siccome sostituisci la ‘o’ con una terza ‘i’, aggiungi ‘noso’ e tu, tu generico e ingenuo, immagini un satiro arrapato, esso induce tanti a pensare solo alla sessualità nella libidine. Questo vocabolo ha anche altri significati. Denota, per esempio, la forza interiore in cui consiste la psiche, un insieme di importanti pulsioni, o le radici di credenze assai potenti. Quelle convinzioni che dettano la linea, in un soggetto, quando pensa ai suoi precipui obiettivi; quando, da bambino, risponde in qualche modo alla domanda ‘che cosa vuoi fare da grande?’. Un quesito asintotico e infinito, perché in ogni momento del nostro tempo ognuno di noi domani è più grande, più adulto, più distante dall’identità di bebè, rispetto a oggi. Cinto, mentre fa un civettuolo focus su questa tematica, e cerca di mentovare che cosa egli, da bimbo, dicesse quando gliela ponevano, si alza di scatto -come una cavalletta- quando si ricorda la risposta e si rende conto che la sua semplicità, e anche umiltà, forse è utile per scoprire una complessa legge dell’esistenza sociale. La libido è ora una ‘levatrice’, perché fa (ri)nascere un’antica pulsione, e pure una ‘lavatrice’, perché toglie, nel giovane, quella sporcizia psichica che gl’impediva di ricordarla.
Lui diceva, aggiungendo sempre che non avrebbe mai cambiato idea, che il suo sogno numero uno era quello di diventare un benzinaio. Dunque anelava a un mestiere che, quando si è adulti, raramente, per non dire mai, sale in cima alle gerarchie del prestigio glamour.
Walter Galasso