DI WALTER GALASSO
[…INSPIRATION FROM: ‘SUBCONSCIOUS TOWER’ (‘WIEZA PODSWIADOMOSCI’), BY YACEK YERKA]
È necessario, affinché egli possa navigare, che l’uso del suo dispositivo -ha solo uno smartphone, nell’emigrazione non ha avuto la possibilità di portare seco un laptop- avvenga all’ultimo piano della ‘Tower’. Sia al primo che al secondo, infatti, non c’è campo, eccetto qualche saltuario momento, in cui si vede, per brevissimo tempo, a malapena una tacca sul display. Giacinto sale, fiducioso, ricco d’entusiasmo. Ha fede in Internet, da molti punti di vista. Stima pure culturalmente questo grande, fulgido approdo del progresso, un simbolo e baluardo di avanguardia gnoseologica e democrazia scria scria, e sa che sui motori di ricerca è possibile trovare risposte anche a domande complicatissime. Arriva al terzo piano, più basso rispetto ai primi due, come spesso succede nell’architettura d’una mansarda. Questo vano, tra l’altro, è caratterizzato da affascinanti finestre blu, adesso ermeticamente chiuse.
Si sistema su un divano, con la testa su un bracciolo e i piedi sull’altro, e dà il la al suo lavoro di internauta a caccia di informazioni decisamente peregrine. Domanda a due motori dove, nel mondo, e possibilmente nel continente in cui attualmente si trova, è data la chance di trovare o produrre un’onda privata. Lui stesso, quando scrive la richiesta, si rende conto che se qualcuno lo stesse spiando, per qualsivoglia motivo, potrebbe, in un equivoco grande quanto l’Everest, pensare che sia matto, svitato, o talmente affetto da volontà di potenza da smarrire, nei suoi mostruosi desiderata, il senso della realtà. E anche nel suo rapporto interiore con il browser avverte, sia pur appena appena, un condizionamento psicologico in cui quasi teme che sullo smartphone esca un sardonico sfottò da parte di qualche concreta persona che in esso, nel suo backstage, lavora senza che sia vista dagli utenti. Questo suo stato d’animo, tuttavia, non significa assolutamente che ‘sto ragazzo si vergogni di quel che sta facendo e paventi dei brutti giudizi altrui nella misura in cui abbia una lunga coda di paglia. Cinto è arciconvinto di essere nel giusto, anche perché, soggetto di seria e sana cultura, sa bene che il Progresso avanza grazie a stupefacenti cambi di paradigmi. Un genio, tanto bravo quanto coraggioso nell’alzare l’asticella, è spesso ‘incompreso’ proprio perché, anticipando i tempi, essendo antesignano di svolte avveniristiche, in questo suo essere avanti può risultare, agli occhi di un loffio pinco pallino coevo, talmente sui generis da apparire folle. Lui, quindi, coniuga, nel suo corrente stato d’animo, autostima, la sostanza della Stimmung, e consapevolezza di poter essere frainteso, l’inessenziale periferia. Comunque sa pure che nella sfera on line, apertissima e modernissima, questo tipo di rischio è ridotto ai minimi termini. E infatti non solo nessuno, dopo il suo surreale input, lo prende per i fondelli, non solo non si busca alcun persiflage, ma, sia pur dopo un paio d’ore di serrate e scientifiche ricerche, l’utente ottiene quel che stava cercando con un entusiasmo ai bordi di una romantica, prometeica esaltazione.
Riesce a sapere che esiste sul globo terracqueo un posto dove un ardimentoso voyager e globe-trotter possa avere una wave separata dal suo oceano o mare e tutta sua; che questo sito è una piccola isola; che essa non è lontanissima dal posto in cui ora egli sta -prima di questa esplorazione ha attivato sul suo dispositivo la geolocalizzazione-. Wow! Tre risultati in uno, una notizia più bella dell’altra -anche il fatto che tale eldorado sia insulare viene infatti interpretato dalla sua psiche come un dato fortunato, favorevole, a lui propizio, perché se, puta caso, si fosse trovato nella sezione apicale del K2, o anche a cinquecento metri dalla sua cima, lui avrebbe dovuto rinunziare alla Meta, non essendo un alpinista in grado di abbarbicarsi fin lassù-.
Ovviamente questa vendemmia di portati è solo un primo, preliminare passo. La Rete gli ha detto che il luogo c’è, e gli ha precisato latitudine e longitudine: adesso bisogna arrivarvi, e lì, chissà se fra mille difficoltà, sarà il momento, per questo temerario Archimede, di verificare se alberghi in lui il know-how atto a padroneggiare ‘sta benedetta onda. Si esorta, per conseguenza, a rimanere con i piedi per terra, a non indulgere al buffo, ingenuo vizio di farla troppo facile, pensando che qui ed ora ha il dovere di vedere il bicchiere mezzo pieno, né vuoto né stracolmo. Si gusti il buon risultato, e sia conscio, in una savia medietas dell’umore e della mentalità, del fatto che è già tanta roba l’informazione attinta via web, ma non è così positiva da autorizzarlo a credere di aver già vinto questo poetico match. Mentre si disconnette avverte l’esigenza, per certi versi meritevole di suscitare tenerezza, di dare un bacio al display del suo amato strumento e amico.
Gli sovviene, in un ricordo lampo, un video, scorto tempo addietro fra i Reels d’un noto social network. In un ascensore ci sono una squinzia, orientale, e il suo boyfriend, connazionale. La cabina arriva a destinazione, si aprono i due battenti, e la coppia di piccioncini si accinge a uscirne, andando sul pianerottolo. Lei, incautamente, sta smanettando su un iPhone, si deconcentra nel suo moto di brevissima emigrazione, incredibilmente il gioiello le scappa di mano, come una saponetta viscida, e, ancora più incredibilmente, finisce proprio nella fessura tra lift e muratura, precipitando giù. Lui, poco reattivo, con la testa fra le nuvole, e soprattutto alquanto egoista e menefreghista, vede la caduta del cellulare e il suo progressivo avvicinamento, mentre è già sul suolo, a quel pozzo, ma non si adopera per impedire ch’esso ne venga drammaticamente risucchiato. La girl ha invece una reazione in due tempi. Di primo acchito contempla il patatrac, e si china, spiando nell’interstizio, forse auspicando che il suo formidabile oggetto, che vale un perù e che è pieno di preziosi dati, si sia incastrato. Quando realizza che cosa è successo, ossia che quel bene Apple è andato precipitevolissimevolmente giù giù, in un sud agli antipodi della possibilità che le sue mani lo riprendano, scoppia a piangere. Curva, penosamente prostrata, singhiozza in un modo che commuove quasi tutti. Quasi perché, è d’uopo precisare in una comica parentesi di questa drammatica narrazione, il suo fidanzato, con una solidarietà prossima allo zero, se ne frega. La ragazza si dispera, in ripetuti e struggenti lamenti, e lui, tamarro doc, leggermente stronzo, continua a divertirsi con il suo smartphone, forse pensando, nella segretissima e sconcia privacy della sua meschina interiorità, ‘il mio cellulare, che bello!, è qui, tra le mie mani!’. Giacinto comunque, nel presente flashback, non pensa proprio, nemmeno in una doverosa stigmatizzazione, a ‘sto deuteragonista: mette un accento solo sulla povera giapponese. E lo mette capendo appieno il curioso duolo della protagonista. Alzi la mano, fra tutti coloro che possiedono uno di quei piccoli computer -sia giovani della Gen Z che persone più adulte-, chi se la senta di dire che non s’è affezionato al proprio iPhone o smartphone, a tutti i vantaggi che ne derivano.
Nella Torre del Subconscio fervono i preparativi, è già iniziato, in un’ideale clessidra, il conto alla rovescia, l’eroe non vede l’ora, in un’ulteriore puntata di questa sua rocambolesca avventura, di mettersi in viaggio verso l’altrove, oltremodo esotico, dove si cimenterà nell’impresa di scoprire o addirittura inventare un’onda privata, tanto accattivante quanto assurda. Un fine forse più grande di lui, fuori portata, ma provarci non costa nulla. Poco importa che in tutta probabilità il suo conato farà cilecca. Anche in tale challenge, come in ogni sfida sportiva, l’essenziale è partecipare, mentre l’ipotesi della vittoria, ciliegina sulla torta, se non la corona -il ‘la’ è riferito a ogni tipologia di torta, anche a una wedding cake in imenei festeggiati con strepitosa caciara trash- non rappresenta un gran problema. Lui stravede per la Sacher, e quando ne chiede una, nella sua pasticceria preferita, precisa sempre a Lisa, una dipendente di cui s’è un po’ innamorato, che gradisce una cerasa al centro. Una volta la pin-up, meravigliosamente ammantata d’una chiara blusa che le stava a pennello, s’è dimenticata di ricordare al cuoco, operativo nel backstage, l’ossessiva preferenza del cliente scocciatore, il quale però, successivamente, quando si è accorto della lacuna -ci ha fatto caso solo al rientro nel suo appartamento-, non ne ha risentito minimamente: pacchia edonistica al momento dell’estatica degustazione. Ergo, ritornando a bomba, come in quella situazione così quando il viaggiatore sarà sull’isola e tenterà l’exploit della Wave: se la Mission abortirà la sua sostanza, cioè il provarci, sarà comunque deliziosa, un gusto da leccarsi i baffi. E poi, data l’alta, anzi altissima posta in palio, vada come vada ne vale la pena, il suo ambizioso Io ha tutto da guadagnare, perché se fallisce non incapperà in una figura di cacca, in quanto chiunque penserà che non poteva che andar così l’impari tenzone, un fiasco assolutamente giustificabile e per nulla lesivo della sua reputazione di macho geniale, mentre se, puta caso,…
Il giovane interrompe il suo soliloquio arrivato a questo punto, non se la sente, per medievale scaramanzia, di dire nel suo pensiero ‘riuscirò a possedere un’onda privata’. ‘Sss! -intima a se stesso-, immagina di averla, di possedere una tale chicca stratosferica, che mi proietterebbe nel gotha dei grandi uomini, ma non pronunciare nessuna parola che si riferisca precisamente al lieto evento’.
Tiene così tanto a questo Obiettivo che sta attraversando una fase di regressione all’epoca, infantile, in cui indulgeva a minchiate come evitare accuratamente di passare in quella specie di ‘A’ che è una scala aperta. Anche in seguito, agli albori dell’adolescenza, ha continuato, recidivo, a credere in fatui riti scaramantici, soprattutto nel suo fideistico hobby di tifoso d’una squadra di calcio. Se una domenica, seguendo una partita in diretta in una radio portatile, in quanto impegnato in una passeggiata fuori casa, il club ch’egli adorava e adora vinceva, in almeno cento gare successive si sentiva in dovere di continuare a usare, nel seguire varie fasi del campionato, lo stesso strumento di high-tech. ‘Squadra che vince non si cambia’: questo il suo mantra. La suddetta radio aveva portato fortuna e dunque egli doveva continuare ad adoperare sempre lei e solo lei, altrimenti -in un timore d’una becera e stolida parte della sua psiche- v’era il rischio d’una goleada dell’undici avversario, poniamo una ‘manita’, e lui non si sarebbe perdonato la colpa di averla indirettamente cagionata con il tradimento dello stereo-talismano.
Poi, ormai ometto in procinto di conseguire il diploma, s’è lasciato alle spalle questa ridicola forma mentis. Neomaggiorenne, anzi, s’è atteggiato, nella sua comitiva, ad atleta di razionalità illuministica, soprattutto quando voleva fare colpo su Loredana, una fata che se il Fato gli dicesse ‘Vuoi mettere la firma in calce a un documento in cui ti prometto che te la faccio sposare?’, lui vergherebbe il suo autografo con tale celerità e foga da correre il pericolo di strappare il foglio. Gli piace, uhm…, la ama, sarebbe disposto a subirne reiterati adulteri, in una coppia aperta solo da un lato, pur di esserne il (cornuto) principe azzurro. Al cospetto di questa dea di beltà, sua donna ideale, per apparirle nel miglior modo possibile, e dunque aumentare le chances delle sue avances, dal proprio Es recepiva il consiglio di accentuare il suo amore per la Ragione. Ma, attenzione, l’inconscio era binario e parzialmente falso in quel suggerimento, nel senso che glielo dava, dalla sua parte orientale, perché nel principio di realtà fa fino, quando si interagisce con persone di un certo livello -e Lory ne fa parte-, ostentare lumi e scientificità, ma nella sua regione occidentale ospitava, esattamente come nella puerizia, convinzioni di segno contrario. Idee in (bacata e marcia) salsa di retrograda superstizione. Credenze che, al netto della sempiterna opportunità di rispettare qualsivoglia ‘belief’ soggettivistica, sono fanfaluche di serie D, sciocchezze che lasciano il tempo che trovano.
Adesso, nella misura in cui la sua soggettività è in libidico subbuglio per la direzione che il suo sperimentale viaggio sta prendendo, una parte di esse viene vagamente a galla. Nulla di grave. Con o senza questi retaggi dei tempi andati, queste pulsioni che rimontano, come primigenia genesi, ai primi anni della sua esistenza, Giacinto è comunque positivo e all’avanguardia. Discorso analogo va fatto per il tasso di coraggio nell’imo della sua interiorità. Lui, memore dell’orco chiamato Moloch, un mostruoso nemico che in qualsiasi momento può riapparire nel suo raggio d’azione, e in stressata apprensione per eventuali e drammatici pericoli che lo possono aspettare al varco, su quell’isola avviluppata in un inquietante mistero, ha paura. Urca che paura! È un uomo, senza ‘super’ davanti, dunque ‘sta fifa è normalissima, e forse egli dovrebbe preoccuparsi se non l’avesse. Nondimeno in questo preciso momento abbandona questo spazio ‘subconscious’, uscendone come un uomo che, dopo tot giorni in immersione sotto il pelo dell’acqua, in un’esercitazione della Marina, si congedi, ah!, dal claustrofobico ambiente di un sommergibile statale.
Cinto se la fa sotto, ma va, e questo è ciò che più conta. Se la sente, altri al suo posto preferirebbero darci un taglio, stoppare una tale pioneristica favola, nella quale si sa poco quel che si lascia e nulla in merito a ogni tappa avvenire. Questo ragazzo, invece, tipico esempio della meglio gioventù, non molla. Insiste. Nel suo piccolo è un grande. E si avvia verso l’indirizzo della sua prossima sfida, esclamando, in segno di gioiosa riconoscenza, “Internet, sei meravigliosa!”.
Walter Galasso