DI WALTER GALASSO
[…INSPIRATION FROM: The Guardian; Inside the last of New York’s original artists’ lofts – in pictures; Sarah Gilbert; Mon 3 Jun 2024 04.05 EDT / “Loft Law”. The Last of New York City’s Original Artist Lofts; Joshua Charow]
Joshua è un ragazzo vivace, sveglio, in gamba, e soprattutto ricco di curiosità. Ex pestifero bebè, monello noto per le sue reiterate e seriali marachelle, nel graduale passaggio dall’infanzia all’adolescenza ha viepiù avvertito, nell’ideale perimetro di uno Stato soprannominato ‘The Garden State’, cioè il New Jersey, un entusiasmante e quasi morboso desiderio di espandere se stesso, verso un vicinissimo altrove, per così dire, ben simboleggiato dal meraviglioso skyline di New York, nitidamente visibile per una distanza fortunatamente esigua. La sua più grande passione, la fotografia, nasce da uno scatto fatto a quello spettacolo wonderful. All’inizio un gioco, legato alla sua epica ammirazione per quei giganti famosi in tutto il mondo, grattacieli ch’egli ha sempre sentito, sin dai primi anni della sua esistenza, come Valori con una maiuscola equivalente alla loro titanica altezza. Nell’hobby di questi clic quelle straordinarie costruzioni hanno avuto il potere di potenziare e migliorare, nel dinamico guaglione, il suo rapporto con la macchina fotografica: prima concepita solo come un mezzo per catturare l’immagine di essi, i Fini nel suo slancio psicologico, dagli oggi e dagli domani la camera è diventata pure essa una Meta. Il teen-ager ha finito con l’amarla, con il non poterne fare a meno. Nella sua tecnologia ha sentito la presenza di uno strumento per conservare i frutti della suddetta curiosità. Prima di diventare maggiorenne, in un suo memorabile genetliaco, Jo ha pure voluto regalare alla sua comitiva, riunita a casa sua per festeggiarlo, una gag spassosa: s’è sposato con la Fotografia! Elegantissimo, in abito da cerimonia, ha chiesto al leader del gruppo, Paul, la cortesia di officiare questi strani imenei. E il compagno, stando benissimo allo scherzo, è riuscito a chiedergli, seriamente, senza sbellicarsi dalle risate, “Vuoi tu prendere in moglie…”. Il doppio protagonista della festa, re del compleanno e novello marito dell’affascinante arte visiva, ha scherzato ma non troppo. Davvero il suo sbarazzino Io, assetato di immagini, voglioso di spiare il mondo per acchiapparne il più possibile dettagli degni di entrare a far parte di un album, ha voluto trasformare l’hobby in un lavoro.
Un’occupazione strana, ma solo perché nel suo animo nemmeno per un istante ha implicato certi tipici inconvenienti di tanti mestieri, come fatica, scocciatura, noia, stanchezza. Ma quale stanchezza d’Egitto! Questo paparazzo non si è mai ritrovato immerso nella dicotomia ‘giorni feriali [uff!] – weekend [ah!]’. Lui sempre se la spassa con la sua ‘consorte’ in senso lato, pure in un’abbuffata pantagruelica nel pranzo di Ferragosto, nella movida inerente alla febbre del sabato sera, eccetera. Ciò precisato, giova mettere in rilievo un’altra info del tutto assiomatica: quando ha iniziato a esercitare sul serio questa professione, avvertendo l’esigenza, appunto, di ampliare, anche geograficamente, il suo orizzonte esistenziale, non ha avuto alcun dubbio in merito al primo posto, al di fuori del territorio natio, dove andare: la Grande Mela, va da sé, con le sue infinite mirabilia, a partire da quei palazzi che fanno il solletico al cielo. Che Mito megagalattico! Joshua ha fatto il primo viaggio professionale quand’era ancora, tutto sommato, un pischello. Pochi chilometri -lui, per la vicinanza con una città così importante e bella, s’è sempre sentito un americano nato con la camicia-, ma il giovanotto ha avuto la sensazione di recarsi in una Galassia lontanissima, un altrove sexy, impregnato di ghiotto senso, capace, nel suo caleidoscopico melting pot, di calamitare la meglio gioventù, e non solo, come un magnete di un altro pianeta. Il fantasioso, e spesso surreale, eroe ha bissato l’umoristica performance delle nozze con le foto, entrando in un negozio della metropoli e chiedendo, a un allibito esercente, delle preziose info su come poter diventare tale e quale a Spider-Man, per poter volare fino agli ultimi piani dei fantastici skyscrapers. Il solito burlone. Scherzi a parte, ha iniziato a esplorare quelle meraviglie, sia pur senza l’effetto speciale di saper volare, con una passione che, in abbinamento con il suo palese talento, gli ha consentito di affermarsi in tempi record.
A livello metodologico una delle caratteristiche del suo know-how è l’attitudine -un connubio tra voglia e capacità- di coniugare l’aspetto meramente tecnico di una fotografia con l’enucleazione di significati altamente culturali. Una cifra stilistica che condivide con i tanti colleghi che esercitano la professione in modo poetico e talvolta anche filosofico. Jo vuole prendere con una fava uno stormo di piccioni, per così dire. È in questo background che allignano le radici di un suo affascinante progetto, ch’egli vuole intitolare “Loft Law. The Last of New York City’s Original Artist Lofts”.
La sua superdotata curiosità, sempre lei!, è un vento che spinge la sua raffinata navigazione verso quegli artisti che si sono sistemati in qualche suggestivo loft, tanto vasto quanto spartano, sotto l’egida d’una Legge del 1982, appunto la ‘Loft Law’, promulgata a tutela della liceità di queste soluzioni abitative sui generis. Il sensibile e colto documentarista è affascinato da questi animi alternativi, geniali, anticonformisti, protetti, nella loro fulgida e stravagante eccellenza, da una metropoli all’avanguardia. Jo inizia il suo tour, palazzo per palazzo.
Oggi, mentre sale le scale d’un edificio maestoso, sogna a occhi aperti e immagina che il suo libro, in fieri, di fotogiornalismo diventi il maggior best seller su Amazon. Pigia il campanello di Michael Sullivan, una ‘fabbrica umana’ d’oggetti di scena, destinati sia alla Decima Musa che a spot Above The Line.
Agli occhi di un basito Jo si squaderna uno spettacolo incredibile: un casino pazzesco, davvero un simbolo di sregolatezza cristallizzata in una vivacissima fricassea. L’abitante è qui nientepopodimeno che dal Sessantotto. Quando l’ospite, dopo tanti clic e una cordiale chiacchierata, ne esce, pensa che in altre latitudini e longitudini un tipo così potrebbe essere definito un accumulatore seriale. Benedice New York, che dà amorevolmente asilo anche a questo tipo d’originalità.
Scende precipitevolissimevolmente le scale, esce dal building, entra in un altro palazzo, si abbarbica fino a un alto piano, salendo lemme lemme una miriade di steps, e ‘drin drin!’. Nessuna risposta. Suona di nuovo il campanello: idem. Solo dopo un paio di minuti si apre la porta: meno male che il giovane ha aspettato. Davanti a lui una donna, Kimiko Fujimura, celebre pittrice, con gli occhi arrossati.
Era in preda a un patologico pianto, e Joshua, che inizia a dialogare intensamente con l’artista, ne viene a sapere ben presto il perché. Lui ha suonato alla stessa ora in cui, tanti anni fa, la signora ha vissuto un tremendo trauma. Nel suo londinese loft divampò un terribile incendio, falò che divorò più di cento quadri. Un dolore struggente per lei. Mentre quelle infernali lingue incenerivano preziose opere del suo ingegno, la pittrice provò un’immensa voglia di un’acqua che osteggiasse il drago e le salvasse. A posteriori, dopo anni di psicanalisi, ha provato a superare questo trauma partorendo il dipinto “Wave blue line”. Le è servito, ma non l’ha guarita al cento per cento. Spesso, quando scocca l’ora di quel nefasto e nichilistico incidente, non riesce a trattenere le lacrime, e si sente in balia di una strana angoscia. L’ospite, che ha pure, fra le sue tante virtù, un gran cuore, si commuove, ma cerca di dissimulare la sua empatica pietas, temendo che possa fare più male che bene a questa sfortunata eroina -ammira moltissimo la resilienza in cui lei s’è rimboccata le maniche e ha ripreso la sua attività artistica-. “Posso permettermi di fotografare la sua Wave?”, le chiede con umile rispetto, e non dimenticherà il sorriso che accompagna il suo dolce assenso. L’uomo ha un piano. Non è certo un Freud, ma nel suo piccolo spesso dimostra di possedere una squisita sagacia psicologica.
Il fotografo, grazie alla sua bella carriera, conosce molte persone importanti. Sa che al dottor Peter Marino e a un altro prestigioso architetto, Jun Aoki, lo stato maggiore della Maison ‘Louis Vuitton’ ha demandato l’incarico d’un restyling del quartier generale ubicato a Ginza, in quel di Tokyo. Jun è solo un suo conoscente, mentre con Peter ha una confidenza quasi amicale. Gli telefona, gli chiede un rendez-vous e, quando s’incontrano, dopo amene chiacchiere arriva al dunque. “So che volete fare un ‘make-up’ -correggimi se ho detto una fesseria- a quello store. Sicuramente avete un milione di idee sul design, io comunque voglio darti questa -ed estrae da una borsa la fotografia dell’Onda-, è un’opera di Kimiko Fujimura, forse con il vostro genio…”. Fra sé e sé, mentre il Maestro guata con grande attenzione l’immagine, pensa e spera ‘Se son rose fioriranno’. Fortunatamente fioriscono.
I due architetti, dopo un’intensa meditazione, decidono d’informare proprio a ‘Wave blue line’ l’esterno del grattacielo nipponico. La signora, rispettosamente informata, aspetta l’esito finale con affettuosa trepidazione e, quando finalmente si reca in Giappone per ammirarlo de visu, albeggia in lei una svolta. Quell’opera, una sorta di sorella del suo quadro, ne perfeziona anche la capacità di alleviare il suo tormento per i quadri distrutti da quel maledetto incendio. Il lusso del restaurato ‘monumento’ ospita anche, in una sibaritica catarsi, il potere di liberare la donna da quel macigno sull’animo. Quando Joshua ritorna, nell’amata New York, a farle visita nel suo loft, e apposta vi si reca alla stessa ora, stavolta la padrona di casa apre dopo qualche secondo. L’architettonica acqua Louis Vuitton, meravigliosamente complementare rispetto al suo dipinto, ha alienato dalla sua psiche ogni residuo d’angoscia per quelle fiamme. Possiamo attribuirle un altro titolo: ‘L’ONDA CHE DONA CATARSI A QUADRI ARSI’.
Il libro di Jo è davvero diventato il più venduto su Amazon, e lui ne è fiero, ma il calore con cui la donna, venuta a conoscenza del suo beau geste, lo abbraccia, e il suo sorriso quando si siede e iniziano a conversare, gli regalano una gioia mille volte superiore.
Walter Galasso
Che racconto meraviglioso scritto in una lingua così musicale che accarezza il cuore!GRAZIE!
L’acqua come archetipo di vita e fonte di purificazione e guarigione. Grazie per questo intenso racconto che mi ha fatto conoscere un grande fotografo e uno splendido edificio in cui il motivo dell’onda mi riporta all’eterno fluire tempo .