DI WALTER GALASSO
[…INSPIRATION FROM: MICROSOFT BING WALLPAPERS; HOMEPAGE 26 OTTOBRE 2023; Le acque della leggenda. Il vecchio ponte di Sligachan, Isola di Skye, Scozia (© Aliaume Chapelle/Tandem Stills + Motion)]
Isle of Skye, perla e pezzo forte nel variegato arcipelago delle Ebridi interne. Nel Regno Unito la Scozia se ne vanta. Decima Musa, romanzieri, il pianeta delle sette note, penne del Parnaso e altri ancora le vogliono bene, l’ammirano, la celebrano, per molti motivi, fra cui un suggestivo paesaggio e, in esso, Lui, il ponte fico e mitico, Sligachan Old Bridge.
Ha un fratello, maggiore a livello di palese ingenza e minore su un piano anagrafico, una costruzione che collega l’isola alla Scozia: lo hanno chiamato come l’intero luogo, Skye, tanto esso è importante nel Potere, e lui se la tira, fa il ganassa, ma Sligachan se ne frega. Vale mille volte più del monumentale brother, in un eventuale match, se fossero parenti serpenti e volessero duellare in glamour, non ci sarebbe partita: la tenzone, praticamente un walk-over, finirebbe con l’apoteosi dell’outsider, capace di fare cappotto. Ovviamente non manca qualche detrattore, pronto, magari Cicero pro domo sua, a sostenere la superiorità dell’avversario, suo aficionado perché nel farne un peana ha qualche tornaconto. Questo dato, va da sé, fa un baffo a Sli, che nemmeno sotto minaccia d’una picconata o d’una querela metterebbe una firma per stare al posto dell’altro.
Lui è felice di essere se stesso, a maggior ragione da quando ha avuto il grande onore di assurgere a Wallpaper in una Homepage di Microsoft Bing. Quando gliel’hanno detto è diventato il primo ponte, nella Storia dell’umanità, a toccare il cielo con un mattone e a sentirsi in brodo di giuggiole. Se lo merita, è davvero un capolavoro, al centro, fra l’altro, di tante collaterali virtù. Meravigliosamente inserito in un’incantevole scenery, davvero beautiful, è degno di ‘Chapeau!’ anche per l’eccezionale qualità del fiume che ne scorre sotto. Narra la leggenda -ma anche il popolo, in bla bla e pissi pissi e boatos e passaparola e tante altre forme di comunicazione- che questa H2O sia nientepopodimeno che uno show fluido e magico, dotato di poteri miracolosi. Qualcuno potrebbe obiettare: ammesso e non concesso che ‘sta diceria sia vera, che c’entra il ponte? C’entra, c’entra: lui e il corso d’acqua sono più affiatati d’una chiave e un materozzolo. Chi loda l’uno osanna l’altro, chi calunnia l’altro fa incazzare l’uno. Fra loro ci sono affinità elettive, idem sentire, amore reciproco, e anche un mutuo debito, nel senso che le res gesta di una delle due polarità devono dire grazie, per una rosa di motivi, all’altra. Sligachan può dunque intestarsi il cinquanta per cento d’ogni miracolo fatto dall’amico liquido, che è ben lieto, da un augusto passato remoto, di condividere con lui gli applausi. Non a caso, del resto, hanno lo stesso nome, tant’è che, per dirimere ogni confusione quando parlano fra loro o quando qualche abitante chiacchiera con entrambi, il primo usa il soprannome ‘Sli’, il secondo ‘Gachan’. Idilliaca l’atmosfera in cui sono immersi, espressione di sublime e quasi metafisica bellezza naturalistica.
Peccato che, in un déjà-vu nella diacronica storia della civiltà, tutta questa poesia, anche bucolica, venga turbata da un violento antagonismo fra due clan, parimenti acquartierati nei paraggi. ‘Sti burini e selvaggi trogloditi, ottusamente ancorati a una preistorica forma mentis, si odiano, non riescono proprio ad andare d’accordo, in un’irriducibile e vicendevole idiosincrasia, e pensano che sia un valore la capacità di darle di santa ragione al nemico. Invece di aborrire con virtuoso fiele la violenza, intuendo che la tentazione di usarla deve sempre annegare in un savio mare di bontà, sia in una gang che nell’altra tutti i guerrieri sognano di umiliare ferocemente ogni avversario mediante cazzotti, calci, mosse di arti marziali, uso di armi bianche, bang bang di qualche colt per niente colta -per fotografare con un gioco di parole il pessimo livello di questi facinorosi-. Ad oggi, essi essendo di coccio, affetti da un’arretratezza che pare incorreggibile e sempre prigioniera d’una escalation, non hanno ancora imparato il meraviglioso Valore della Pace.
Ponte e fiume, che quando parlano, cioè sparlano, di questi vicini ne dicono di ogni, non possono farci niente, poveretti. Devono solo sperare che, in un modo o nell’altro, prima o poi questi crudeli villani mettano giudizio. Sli dà per scontato che la loro rivalità non sarà mai in un provvidenziale crepuscolo. Gachan, invece… Lui ci crede, non a caso è un esperto di magici miracoli.
Un giorno succede un colpo di scena che sembra dargli ragione. Nel pittoresco perimetro dell’isola -limitato- e nel Tempo dell’Universo -infinito- corre voce che il Clan 1, detto ‘La banda di Belzebù’, e il Clan 2, la batteria ‘I tizzoni infernali’, siano in procinto di sospendere le ostilità. La svolta, che pareva una pia utopia, si pone finalmente in essere. Certo, non è oro tutto ciò che luccica. Essi, infatti, non arrivano a fumare il calumet della pace, le loro reiterate e annose battaglie non finiscono a tarallucci e vino. Più modestamente, tutti, dall’una e dall’altra parte, capiscono che se ci danno un taglio, e si risolvono a stoppare pestaggi, risse, attentati, imboscate eccetera, sarà meglio per ogni persona facente parte delle due tribù. Un armistizio, insomma: comunque tanta roba. Si può ben dire: meno male.
Quale il mezzo per tradurlo in realtà? Semplice: la donna più bella della banda sposerà l’uomo più affascinante e cool della batteria. Questo l’accordo, siglato, dai rispettivi capi, in una giornata di amena dolcezza del clima. L’indomani, in condizioni climatiche ben diverse, ché scende dal settentrionale cielo un’abbondante pioggia, la venere, Gaia, si mette in viaggio, con un servo e sopra un cavallo, per raggiungere il promesso sposo, Peppe -entrambi i nomi, italiani, sono di fantasia-. Purtroppo accade un brutto incidente: forse a causa dell’acquazzone, che rende scivolosa la pista su cui il quadrupede marcia, o forse per una comprensibile agitazione della ‘fidanzata a tavolino’ -non sa, al netto della bellezza, come sia a livello caratteriale l’uomo-, a un certo punto la viaggiatrice cade dal bucefalo, e il volto, nell’impatto, subisce un notevole nocumento. Già bella, ora, a causa del guidalesco, non lo è più.
E adesso? Al trauma per il sinistro si somma l’angoscia per l’inconsulta reazione che, in tali condizioni, può suscitare nel boss de ‘I tizzoni infernali’. Il fido servo le suggerisce, dopo averle detto che gli dispiace vederla piangere, di andare dal tizio con il volto coperto, mediante uno scialle, e così rimanere finché non vengano celebrate le nozze. Il fondamento dell’accordo fra i capi, messo addirittura nero su bianco in un documento notarile, è un rito in cui gli imenei siano officiati. Quel che accada dopo fa parte di marginalia. Detto fatto: Gaia si presenta con il volto travisato all’adone, che la riceve in pompa magna nel suo castello. Lei inventa una scusa per giustificare quel look, dice che per motivi etici vuole disvelarsi al futuro coniuge solo dopo il matrimonio. Uhm… Peppe per un po’ l’asseconda. Sotto sotto, però, qualcosa non lo convince. Il giorno prima dell’evento non riesce a vincere la tentazione di smascherarla e, quando si accorge della verità, monta su tutte le furie. Comincia a minacciarla, lui affacciato a una finestra della reggia e lei fuori, uscita, singhiozzando, in preda all’affronto.
La ragazza si spaventa per le sue cattive parole e, non avendo un telefono con cui chiamare la sua tribù, si rivolge, per invocare protezione, alle locali forze dell’ordine. La persona con cui parla sottovaluta il suo SOS, le dice che lo terranno presente ma in quel momento la priorità spetta ad altri casi. La poveretta rientra in quel dannato castello, con tanta paura. Il giorno dopo, mentre con inserviente e animale è fuori, rassegnata all’annullamento dello sposalizio, e in procinto di ritornare indietro, viene aggredita da Peppe, che la picchia -pestando anche il servo e il cavallo- per vendicarsi di un travestimento da lui interpretato come un tentativo di prendere in giro il suo onore. Una violenza schifosa, un uomo che fa del male a una donna è un mostro degno di essere fagocitato da una geenna. Assistono all’immonda scena due giovani, due tipi che in genere si atteggiano e fanno i duri. Bulli? Di cartone. Due cacasotto che non muovono un dito per aiutare quella creatura.
La povera Gaia, dopo la vigliacca aggressione, si mette in cammino con uno stato d’animo tremendo. Ormai brutta, e umiliata da quelle percosse, ferita anche nella sua dignità, piange, tanto, e quando si ritrova dove prima, in quel maledetto e sfortunato viaggio, era caduta, proprio vicino a ‘Sligachan Ponte’, si inginocchia, con la testa a pochi centimetri da ‘Sligachan Fiume’, e le lacrime, come un river in piena, diventano un pianto a dirotto. Il suo dolore commuove tutto l’ambiente, e attira l’attenzione della Regina delle Fate, Dike, splendida in tutti i sensi, anche nel suo cuore d’oro. In genere è invisibile, lei può, ma se vuole è capace di materializzarsi. Adesso vuole. Accarezza la ragazza, dopo aver sorriso con aria complice al ponte -che la guarda con trepidazione, per dire: “Ti prego, Dike, o mia grande amica, aiuta questa creatura, tu che hai poteri speciali”-. La sua mano coccola con infinita dolcezza i capelli di Gaia, che non si gira perché si vergogna del suo volto. La fata parla a lei, ma anche al cavallo e all’umile coolie. “Amica e amici, ascoltatemi. Immergete, per circa sette secondi, il vostro volto nel fiume -Gachan, che sa tutto, e che si sta tanto dispiacendo per la loro sofferenza, non vede l’ora-. Datemi retta”. Così fanno, a turno. E accade un altro miracolo di quelle acque. Nella viandante risorge una fantastica bellezza, in loro, i gregari, appare per la prima volta. Non solo: la fata dice a Gaia, che si specchia nel fiume ed è felice come una Pasqua, “amica, sorella, tu sarai così per sempre”.
Questa favola è a lieto fine per la donna, che, di nuovo venere, si sposa con Paolo, l’ex servitore. Implica invece una tremenda condanna per il cattivo. Mentre Gaia è già lontana, infatti, la fata fa sì che su Sligachan Bridge si riuniscano i principali scienziati del mondo, per valutare il reato di Peppe. Dopo qualche ora di profonde discussioni, in un convegno che passerà alla Storia, deliberano, all’unanimità, una rivoluzione nella gerarchia ‘esseri umani; fauna; flora; cose’. Da adesso in poi ogni maschio che usi violenza a una donna perde il diritto di essere considerato una persona. Diventa inferiore non solo alla categoria dell’umanità, ma anche agli animali, e pure alle piante, e pure agli oggetti. Entra a far parte di un nuovo, infimo livello ontologico, retrocedendo a ‘mezzo oggetto’, scevro di dignità, disprezzato pure da una stalla.
La salomonica fata provvede pure a punire i due testimoni che non sono intervenuti per difendere l’inerme vittima della violenza di genere -resteranno senza una compagna, perché qualsiasi donna disprezzerà irreversibilmente la loro pavidità-, e il lavativo ‘bobby’ che ha ignorato la richiesta d’aiuto della donna: interdetto dall’esercizio della sua professione. Gaia, in luna di miele con la sua dolce metà, lo rivede in un telegiornale: il ricordo del suo atteggiamento, pur potendo diventare nella sua interiorità un incubo, non riesce a farle ancora del male. Perché lei ora, grazie alla fata, grazie al fiume, è il simbolo del valore che nell’universo ha ogni donna: bella, per sempre.
Walter Galasso