NEO:  GIACINTO 7   [RACCONTO   (1 ARTISTA;  7 OPERE)]

DI WALTER GALASSO

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[…INSPIRATION FROM:   ‘Capanna del pescatore’;  ‘Composizione fantastica’;  ‘Jacuzzi’;  ‘Baia del tappeto erboso’;  ‘Isola deserta’;  ‘Arcipelag’;  ‘Tsunami’   (opere by Yacek Yerka)]

   Gli occorrono molti giorni prima di arrivare, e il moto migratorio si complica quando, a un certo punto, si accorge che non solo quel posto -su Google Maps è segnato come ‘W’- è insulare, ma, problema nel problema, esso ha intorno a sé una grande quantità di mare. Un segmento dell’itinerario è una mezza crociera su natante. Egli è una specie di profugo -fugge dalla banalità, in aurea mediocritas, di chi si accontenta della Norma e la celebra, anche se in essa il meglio dell’anima dorma-, e riesce ad andare dalla terraferma all’island grazie al provvidenziale ausilio datogli da uno schivo pescatore. Un signore barbuto come Marx, con un maglione, di lana grezza, a dolcevita, una pipa elettronica in bocca e ghiotto di ambrosia -la beve in una pinta costruita dalle sapienti mani di un demiurgico artigiano-. Il giovane non deve neppure fare toc toc su un serramento della sua residenza, la ‘Capanna del pescatore’, con le fondamenta in un enorme pesce, in cui allignano pure due grandi alberi: la porta della maison è spalancata.

Capanna del pescatore’  (‘Chatka Rybaka’)  –  Yacek Yerka

   Quando il ragazzo nota questa antitesi all’ermetismo pensa: ‘Un meraviglioso schiaffo morale a quei palloni gonfiati che, magari dimenticandosi del periodo in cui hanno leccato il culo a qualcuno che li ha lanciati, mettono fra sé e chi possa volergli chiedere un aiuto 49 porte blindate, 34 anticamere e 61 ‘filtri’, più stronzi di loro. Bravo, Mar Marx!, anzi Marmarx, così fugo ogni equivoco, ché io sono un voyager apolitico e apartitico’. Munifico, Mare Marx, cioè Marmarx, non vuole nulla in cambio, lo aiuta fuor di do ut des, però è vagamente antipatico nel suo introverso mutismo, forse perché, a furia di lavorare catturando pesci, vuole che si pensi ch’egli è muto come loro. Gli dà un passaggio su una stranissima barca, ‘Composizione fantastica’.

‘Composizione fantastica’  (‘Kompozycja Fantastyczna’) –  Yacek Yerka

   Che viaggio! È il caso di dire ‘un ricercare che è di per sé un trovare’. Caratteristica, agrodolce, number one: Marmarx, capitano ciurma e motore al tempo stesso. Il passeggero, sin dall’abbrivo, conferma il giudizio suddetto: brav’uomo, ma che caratteraccio! Non solo tende a zittire, ma, nelle uniche due parentesi di eloquio, gli risponde a monosillabi e peggiora la sua antipatia con occhiate che da un lato sono a loro modo simpatiche, dall’altro… Il fuoco della faccenda è presto detto: Gia, ogniqualvolta veda un ameno isolotto, spera che sia quello della Wave e Mare Marx gli fa capire, con un gelido diniego, ‘Scordatelo, pirla, dovrai pedalare se vorrai la tua magical bici’.
   Primo abbaglio: costeggiano l’Isola ‘Jacuzzi’ (nome omen…). “Capitano, è quella?”. “No”.

‘Jacuzzi’  –  Yacek Yerka

   Povero giovanotto! Già immaginava, in un sogno a occhi apertissimi, rilassanti bagni à gogo nella vasca idromassaggio con vista sull’oceano. E poi ‘il comandante è davvero una canaglia, m’ha guardato come un bischero’. Non sa che non è tutto buio quel che non luccica. La sua guida, infatti, gli fa una cortesia senza dirgli nulla, perché è un tipo che dona favori senza voler diventare creditore. Altera leggermente la rotta per passare nella ‘Magnifica baia del tappeto erboso’.

‘Baia del tappeto erboso’  (‘Perlowa Zatoka’)  –  Yacek Yerka

   L’ospite resta a bocca aperta, davvero. Meno male che in zona non c’è nessuna ‘Aeronautica di mosche’, altrimenti una potrebbe, in un dirottamento del suo volo a causa di vento, entrare nella sua bocca e confondere il palato con il cielo.
   Secondo abbaglio: costeggiano ‘Wyspa Bezludna’, alias ‘Isola deserta’. “Capitano, è quella?”. “No”.

‘Isola deserta’  (‘Wyspa Bezludna’)  –  Yacek Yerka

   E sono due. Due larvate prese in giro, via pupille, dell’illuso boy. È un puledro, la sua speranza di fare grandi cose nella comodità ci sta, è umanissima, e l’esperto capo lo sa. Simula d’essere burbero, tace in un’assenza di parole che sembra silenzio cattivo ma è solo la voluta discrezione, a fin di bene, di un severo professore. Che in fondo prova ormai un pizzico d’affetto per lui. E infatti, esattamente con la stessa gentilezza di cui sopra, devia una seconda volta la rotta e gli fa un secondo cadeau: gli fa vedere ‘Arcipelag’. Della serie: ‘Il mezzo bastone e la doppia carota’.

‘Arcipelag’  –  Yacek Yerka

   Cinto guata, fissa, ammira. Come prima. E come prima non ringrazia psicologicamente il boss, continuando a interpretare la sua scena muta una spia di pessimo carattere. A un certo punto, però, accade in lui una svolta. La navigazione incontra uno dei peggiori incubi di un natante: uno Tsunami.

‘Tsunami’  –  Yacek Yerka

   Il pischello è terrorizzato, ma assiste a una sorta di miracolo professionale. Mare Marx si supera, affronta il maelstrom con una maestria superlativa, la ‘Composizione fantastica’ attraversa indenne quell’inferno di acqua. Il ragazzo in poco tempo cresce, moltissimo. In lui albeggia, nel giudizio che il suo animo regala al mitico captain, un’idea importantissima, che lui stesso esprime nei suoi pensieri, guardando quell’uomo con riverenza. ‘Sei un grande. E io, anche se non sopporto il tuo caratteraccio, devo onorare il tuo valore. Un uomo che non riconosca il talento di un’altra persona solo perché gli è antipatica vale meno d’una polpetta di merda. Complimenti, Ulisse 2’.
   E Ulisse 2, dopo un po’, finalmente attracca all’isola giusta. “La saluto, Capitano”, mentre si stringono la mano. Questa volta l’uomo parla. Poche parole, ma pesanti e pregnanti. “Figliolo, per realizzare un’impresa spesso bisogna fare grandi sacrifici. Tu falli, non mollare mai”. Brevissima pausa. “Non fa niente se nessuno, tranne te, li vedrà: l’Universo vede e ricorda tutto quel che accade dentro di lui. Buona fortuna”. Giacinto, saggiamente frastornato, commosso e positivamente turbato come un mare mosso è insicuro ma bello, dice solo “Grazie, Maestro”, e lo contempla, mentre con la sua originalissima nave se ne va.
   Sull’isola si respira un’atmosfera speciale. Giacinto, dopo aver salutato e ringraziato con gli occhi il pescatore, inizia a guardarsi intorno con l’attenzione potenziata dalla suspense, e subito si rende conto che si trova su un suolo non comune. Nel suo ‘milieu’ sono insiti tanti elementi senza pari, a differenza di certe località che, con tutto il rispetto che si deve a ogni spicchio di mondo, senza nulla togliere al loro dignitoso fascino, sono, come dire?, un déjà-vu. Tu le vedi e rivedi, le esplori dalla a alla zeta, ne spii ogni angolo, e hai la sensazione che come minimo altri duecento posti sul globo terracqueo siano tali e quali, idem. Qui, al contrario, aleggia un non so che di raro. L’esploratore, mentre inizia un tour, rigorosamente casuale, sui suoi chilometri quadrati, si sente un novello Cristoforo Colombo. Se non avesse trovato questo altrove -dove gli piacerebbe tanto erigere un buen retiro- su Google Maps -che meraviglia la Rete!, arriva dove nessuno è mai arrivato dalla notte dei tempi-, adesso potrebbe davvero, con non poca esaltazione, sperare di trovarsi nel bel mezzo della scoperta d’un territorio inesplorato, vergine, ancora sconosciuto -a parte gli indigeni, fra cui egli include il suo traghettatore- al resto dell’umanità. Non è così ovviamente, e lui, un po’ ganassa ma non a tal punto da eruttare balle forsennate, ne è ben consapevole. Resta però il fatto che non è da tutti poter dire in giro d’aver visto, almeno una volta, un isolotto così peregrino.
   L’intellettuale turista, qui non per mero divertissement ma per tentare di trovare o scoprire un miracolo scientifico della Natura, nel camminare con esuberante energia medita pure su una domanda: quale possa essere la sua identità politica. Non c’è alcun segno di appartenenza territoriale a una precisa Nazione. La sua mente ipotizza, attesi tanti dettagli che lo spingono in questa direzione ideale, che questa apparente terra di nessuno sia un’enclave. Forse le acque che la circondano sono di qualche potenza o superpotenza, mentre essa fa eccezione ed è uno staterello autonomo, con leggi proprie, tanto piccolo quanto gagliardo nella sua romantica libertà. Gli viene l’uzzolo, esattamente com’è successo nel Capanno della Ribellione, di rinominare l’ambiente.
   Forse questa attitudine affonda le radici in un ambito di causalità legato al suo stretto rapporto con l’informatica. Nei panni di utente di un computer o di un dispositivo di telefonia mobile, infatti, prova una gustosa sensazione se decida, certo per un motivo valido e opportuno, di cambiare il nome di un file. A prescindere dalla logica ragione per cui attui un tale ritocco, ogni volta cercando, se possibile, di non farlo, quando ha da trasformare l’etichetta di un documento concilia l’utile e il dilettevole, il diletto consistendo nel divertimento che sotto sotto prova per un tale restyling. Ne ricava un senso di potenza e di creatività, si sente a maggior ragione il signore e padrone della cartella o del documento di scrittura. E poi gli sembra di aggiungere senso e significato, all’insegna di un work in progress nel quale il soggetto, non vincolato a un modello inalterabile nei secoli dei secoli, può vivacizzare un pezzo di PC o di smartphone con la semplicissima operazione di una denominazione bis.
   Nel caso in questione, in cui al posto di una cartella v’è un’entità ben più ingente, il sapore è anche maggiore, perché l’atto di ribattezzare una ‘Shed’ o addirittura un intero territorio implica l’alterazione di una condizione nettamente preesistente. La rimessa di quello strano e non esoso proprietario e questo ‘fratello’ povero di Montecarlo sono realtà del tutto indipendenti da lui, povero inquilino e visitatore, hanno un loro nome e Cinto, nel trasformarlo ad libitum, seguendo in tutto e per tutto il suo libero arbitrio, osa. È, in piccolo, un ribelle rivoluzionario. E se, in precedenza, nel definire la catapecchia ‘Box della Ribellione’ è stato solo un riformista, dato che essa si chiamava ‘Shed of Rebellion’ e lui ha apportato una limitata variazione, adesso vuole volare più in alto.
   Qui ed ora si prefigge nientepopodimeno che di creare di sana pianta un nickname che non abbia nulla in comune con il passato di questa località. Lo intriga e alletta un’ipotesi, quantunque certe sue sfumature possano in teoria osteggiare la sua preferenza: ‘Neo’. Non male, pensa tra sé e sé, ottimo come minimo per tre motivi. Si confà, nella similitudine fantasiosa, al fatto che questo territorio non solo sia insulare ma abbia vastissime, quasi oceaniche distese di acqua intorno e, se visto dall’alto, per esempio da un satellite, somiglia appunto a un neo. È un termine brevissimo, e Cinto ama questa caratteristica, secondo lui vale oro in tanti ambiti, fra cui la geografia. Tre: profuma d’innovazione. Solo un contro: nel vocabolario questo lemma ha pure un significato negativo, un suo sinonimo è ‘difetto’. Però non è il caso di cercare il pelo nell’uovo, anche perché lui apprezza questo deserto avendo ovviamente ben notato la sua patente imperfezione. Pensando ch’esso sia suggestivo non la vuole certo disconoscere, rimuoverla per far quadrare -in modo surrettizio, omettendo un dato rilevante- i conti nel giudizio che gli talenta. Lo sa, lo sa che è pieno di difetti, e ci mancherebbe altro! Fa paura solo a vederlo, altri al suo posto avrebbero detto al pescatore, dopo lo sbarco su questa brulla luna in Terra, ‘per favore, non te la prendere, fammi una cortesia, riportami indietro, io qui non resto nemmeno un minuto’. Non solo ne ha chiaramente presente l’esotica bruttezza, ma abbiamo fondati motivi per pensare che essa, paradossalmente, invece che ostare alla sua simpatia ne sia un coefficiente. E allora a maggior ragione evviva la papabile ipotesi di cui sopra!, vada per ‘Neo’.
   Da adesso in poi, nella Storia della Civiltà’, questo atomo di Via Lattea è l’isola di Neo. Porzione più dell’anecumene che dell’ecumene, ma Giacinto, pioneer pure in questo, con le sue ricerche, soprattutto se saranno capaci di vendemmiare risultati egregi, saprà regalarle un tocco di gradevolezza umanistica. Quando, se troverà la benedetta Onda, a posteriori la pubblicizzerà, al rientro in patria, Neo salirà in men che non si dica nel gotha delle località planetarie più gettonate dai turisti.
   Mentre la sua psiche fantastica su questo eventuale avvenire -e la possibilità di donare punti in più allo ‘score’ turistico di Neo inietta in lui la vanagloriosa sensazione di essere un benefattore-, le sue gambe accelerano. Mentalmente pigia il tasto ‘On’ sulla parte -delle sue sensoriali antenne- che vuole ispezionare ogni angolo alla ricerca dell’assurda Wave. Di essa, per il momento, nemmeno l’ombra.

Walter Galasso