DI WALTER GALASSO
Una fulgida Ferrari, wow!, un modello che vale un perù, è parcheggiata, in una strada di Roma, davanti a una libreria, ‘Liberi in Libri’, esercizio inclusivo, nel retrobottega, d’una tipografia non più operativa, quasi un ambiente di archeologia industriale. La banca su quattro ruote, un gagliardo status symbol, è grigia, evidentemente il proprietario ha voluto distinguersi da tanti colleghi paperoni e ha scartato il bellissimo ma banale colore rosso.
Un passante, Vito Euteri, un travet che fino a poco fa è stato a contemplare, come uno sfigato umarell, i lavori (di ristrutturazione) in corso nella villa di un noto ortopedico, s’accorge di ‘sto bolide. Innamorandosi a prima vista -in un estasiato coup de foudre- del Lusso di cui è una specie d’ipostasi, per un nanosecondo ha la tentazione di estrarre dalla tasca ladra del suo giaccone -acquistato ai saldi in un bazar di esercenti cinesi- il suo smartphone, una fetecchia ricondizionata, e scattargli qualche fotografia. Evita, rinuncia al progetto, perché si rende conto che, qualora il suo fortunatissimo possessore sia nei paraggi, egli rischia, se da lui notato mentre fa clic, di dargli troppa soddisfazione. Il signor Euteri vorrebbe tanto stare nei panni di quel creso, avere tutti i suoi nummi, e lo invidia fino a contrarre odio, nella somma ‘sigh! + grrr!’.
In un flashback, velocissimo, gli balugina l’immagine di un campione di golf che ieri l’altro ha guidato, in un noto circuito di Formula 1 del Bel Paese, una vettura simile, stessa marca. Dopo l’amatoriale performance, quando è uscito dal veicolo diversi giornalisti gli si sono avvicinati per chiedergli cosa avesse provato durante quei tre giri di pista. La star ha dichiarato, in brodo di giuggiole per il dionisiaco piacere, che chiunque possieda un simile gioiello e con il mitico logo del cavallino in bella evidenza -campione di automobilismo o privato pilota, collezionista magari pure senza patente o delinquente che abbia rubato la macchina a un tycoon e si accontenti di tenerla in un box senza ostentarla per paura d’essere arrestato- è un uomo nato con la camicia, baciato dalla dea bendata.
Vito, del tutto d’accordo con quell’asso di putters, è stato ed è assai colpito dal fatto che finanche un divo dello sport magnifichi e osanni la categoria dei ferraristi, fra cui conta pure il boss del modello che qui ed ora ha davanti agli occhi. A maggior ragione detesta il padrone di questa meraviglia, e con meschinità si augura che la sua donna gli metta ogni giorno un sacco di corna, magari pure con il suo migliore amico. E poi che ‘sto stronzo finisca entro la fine dell’anno in galera, non importa per quale motivo, l’essenziale è che il prossimo gennaio marcisca nella cella di un penitenziario, coartato a vedere il Sole a scacchi. Mentre il suo Io va a ruota libera in queste perfide maledizioni, i suoi occhi continuano a guatare, in visibilio, il fenomenale mostro, più performante di una navicella spaziale, più sublime dell’Everest, wonderful, rara avis.
Non riesce proprio a ignorarlo, e continua a non volerlo paparazzare, mentre un gruppo di teddy boys, ognuno con un look da punkabbestia, non se ne frega niente. ‘Sti guaglioni, fra cui il maschio alfa Piero, leader di fatto, evidentemente non si sono ancora buscati l’ideologica patologia chiamata ‘bile sociale’. Da un lato sono affetti da molti difetti, lasciano a desiderare da tanti punti di vista, sono ignoranti, arroganti, spesso bullizzano coetanei, si sbronzano in malfamati locali pubblici e orinano en plein air durante fasi di malamovida, e indulgono a tante altre malefatte, sia veniali ragazzate che venali blitz notturni per cannibalizzare qualche auto. Dall’altro non innalzano un simbolo di pecuniaria potenza a oggetto da ‘odiare con feticismo’ nell’invidia.
Piè si limita a gettare uno sguardo en passant sulla vettura da paura, mentre sorseggia, bevendo a garganella, una Snake Venom, Brewmeister. Con poche gocce di questa Eisbock forse un elefante comincia a caracollare, gli zamponi facendo giacomo giacomo: Pierino ingolla la miscela come acqua.
Arriva, a bordo d’uno scooterone truccato, un caro amico di Piero, Manlio, detto ‘Manetta’. La madama non c’entra con questo soprannome -anche se nel Curriculum Vitae del giovinastro non mancano onorevoli precedenti penali nel gabbio-, dovuto al modo in cui guida le moto: come un tarantolato e aspirante santo inseguito da un’intensissima tentazione del demonio.
La sua bocca non fa in tempo a dire “Ciao, Piè”: i suoi occhi s’accorgono della Ferrari, ed è subito il mezzogiorno di un’estasi piena d’abbagliante Sole. Il tamarro sgomma, arresta la due ruote, scende dal trono che i vocabolari si ostinano a presentare come una mera sella, e, con occhi spalancati, comincia a far l’amore percettivamente -pure questo in fondo è eros- con il capolavoro. “Anvedi… Tozzissimo!, uh, quanti bajocchi!, chissà che tajo annà a tutto gas. Cià più cavalli che Capannelle”. Estrae da una tasca il suo smartphone e, del tutto alieno da livore, scatta una foto. Pier, sorridendo, dissente, facendo finta di criticarlo: “A fratè, stai manzo, aripijate, a me m’arimbarza. Certo, chissà che fregna galattica la ciumachella del riccastro”.
La classifica, alla fine di questo brevissimo torneo etico, è: fanalino di coda Vito, grande rosicone, gli rode er chiccherone; più su Piero -secondo o penultimo, dipende dai punti di vista-, autore della medietas chiamata ‘Indifferenza’ -ciumachella bona a parte-, un freddo che non ama e non odia; ladies and gentlemen, the winner is ‘Er Manetta’, capace di dare al Cesare ferrarista quel che è di Cesare.
Walter Galasso