DI WALTER GALASSO
Il signor Ugo Restio, impiegato né uti né puti, ma non frustrato come un travet, fa zapping davanti alla tivvù. Pigia e pigia il pulsante, forse leggermente affetto da larvate turbe nevrotiche, e non riesce proprio a trovare un programma di suo gradimento.
Finalmente scorge, in un talk show reputato il pezzo forte nei palinsesti di una nota emittente, un vip suo beniamino. Un imprenditore che è pure un istrione del proscenio, poliedrico nel suo talento mediatico, eccellendo in varie branche dello spettacolo. Questo fuoriclasse si chiama Lino Sivo, sta concionando con erudizione e brio, e Ugo, un laico fedele di questa divinità sociale, ne viene calamitato, non vuole perdersi una virgola del suo show. Forse, fra i tanti concetti ch’egli sciorina e perora, il più bello, un assioma inconcusso e indefettibile, è un’idea raffinata, agli antipodi della mentalità di molte mezzeseghe immerse in una banale aurea mediocritas: è d’uopo, ogniqualvolta si voglia ragionare come si deve, a tenore di altissimi dettami gnoseologici, restare sempre al di sopra delle parti, in un’adamantina onestà intellettuale, senza mai parteggiare con faziosità per qualche parrocchia ideologica. Dopo questa enunciazione generale, preludio a una precisazione utile a far capire meglio, con chiarezza divulgativa, l’idea al largo pubblico, ‘sta primadonna entra nei dettagli e tiene a mettere un accento sul fatto che si stia riferendo innanzitutto al dovere, per un intellettuale come si deve, di restare alla larga da simpatie per qualsivoglia partito. Abbasso la Destra e idem la Sinistra!, mai sia concorrere all’apoteosi di qualche leader politico, la Cultura non può scendere così in basso, un regista engagé o un’attrice pasionaria, soggetti molto impegnati nel sociale, devono, noblesse oblige, rimanere per l’eternità dei soggetti super partes.
Ma che belle parole! Perdindirindina, questo oratore è un campione di finezza, fa lo splendido e merita un mirallegro, magari fossero così tutti i suoi colleghi e i professionisti del palcoscenico, il rutilante mondo dello spettacolo assurgerebbe a meriti da Guinnes dei Primati. Il presentatore del bla bla bla mediatico, Beppe Manzoni -non è un parente, nemmeno alla lontana, del grande letterato, lo ha già ripetuto un milione di volte-, si complimenta con l’ospite -che, lo scriviamo parenteticamente, è pure un magnate, risultando uno dei paperoni più ricchi di questa città-, inizia a incensarlo con un peana forse un filo eccessivo, ma ci sta, transeat, in fondo non capita tutti i giorni di avere in studio un uomo capace d’insegnare in modo così edificante la virtù (tre punto zero) denominata ‘imparzialità’.
Peccato che, nel bel mezzo di questa sviolinata, si alzi un trinariciuto spettatore, con un balzo paragonabile al salto d’una cavalletta, e inizi a inveire, in modo scandalosamente inconsulto, con una prosa sguaiata e politicamente scorrettissima, contro il dottor Sivo. “Ma che cazzo dici, intellettualoide da quattro soldi! Ma stai zitto e muto! Lo sanno pure le pietre che sei culo e camicia con quel poco di buono che occupa la principale poltrona del Comune, quel feudatario dei giorni nostri. Tu, amico del sole, predichi bene e razzoli malissimo. Tu obiettivo? Ah ah!, mi piscio addosso per le omeriche risate che suscita in me ‘sta ciclopica balla. Tu, aumm aumm, porti dalla mattina alla sera acqua al mulino del Partito che comanda attualmente in questa sventurata città. E…”.
Arrivano di gran carriera tre marcantoni, facenti parte dell’équipe di vigilantes preposti alla sicurezza. Sembrano Maciste, Ercole e Sansone, gli è stato comandato, dal regista della trasmissione, Amleto Quieto, di allontanare immediatamente dallo studio questo facinoroso, secondo lui un matto che dovrebbe essere segregato in un manicomio, e pure un delinquente che lo Stato avrebbe dovuto rinchiudere in una casa circondariale. E invece, pensa il director, grazie alla bonaria gentilezza di quella caotica e acefala fata chiamata ‘Democrazia’, ha avuto la possibilità di venire qui e, abusando dell’ospitalità, dare in escandescenze, eruttando offese, sputando triviali parolacce.
Mentre i tre guardiani, spruzzando un narcotico spray, per rincoglionirlo in men che non si dica, lo afferrano e lo trascinano in uno sgabuzzino dove le telecamere non arrivano, in attesa che vengano gli agenti e se lo portino via, il boss, mister Manzoni, prima scaglia, contro il laido guastatore di feste, un violento j’accuse, e poi consola il povero bersaglio delle sue maleducate e reiterate calunnie. Pesanti come pietre di due chili, brutte e puzzolenti come merda, assolutamente destituite di fondamento, vomitate dal satanico cervello di un perverso bastian contrario. Un fallito che, perdente pure al gioco dell’oca, buono a nulla, reietto ai margini del sistema, reagisce al proprio insuccesso con la diffamazione di un eroe. Per sfogare la sua patologica frustrazione, per vendicarsi delle seriali figuracce che la sua dignità fa nella società, fabbrica offensive fregnacce contro un uomo che ha fatto, fa e sempre farà faville in tanti settori sociali. Il presentatore spiega così, con questa sbrigativa chiave di lettura, rivolgendosi direttamente al pubblico a casa, il perché e il percome della buffonata a cui quello stronzo ha voluto indulgere.
Il telespettatore Ugo è quasi sotto choc. Mai, fino a questo momento, nella sua diuturna storia di utente del piccolo schermo, aveva assistito a un così traumatico fuoriprogramma. Che lo turba a maggior ragione perché a farne le spese è stato un suo idolo. Un asso, un maschio abituato a essere lodato, incensato senza se e senza ma. ‘Perdindirindina, che giaculatoria!’, esclama nei suoi pensieri il fan. Ha sbagliato termine, avrebbe dovuto usare filippica o intemerata o catilinaria, ma fa lo stesso, il suo cervello ha errato a livello di lingua italiana, ma su un piano psichico ha provato, sbagliando la scelta lessicale, le stesse pulsioni che avrebbe avuto impiegando un nome esatto.
Adesso, mentre nella Tv l’ammuina di quel tizio è ormai acqua passata, e il timoniere della kermesse sta chiedendo a un altro ospite, un comico spassoso, di raccontare una delle sue irresistibili barzellette, il signor Restio, disturbato psicologicamente dalla gragnola d’irriverenti critiche piovute addosso al suo mito, avverte l’esigenza di spegnere l’elettrodomestico. Gli ha dato fastidio qualche nuance dell’incidente, forse la volgarità, alquanto trash, dell’accusatore, che può aver fatto affidamento su un linguaggio da osteria per mettersi meglio in evidenza nella sfera mediatica. Oppure, ipotesi più grave, gli è dispiaciuto che il signor Sivo non abbia risposto per le rime a quel bastardo, lasciando al padrone di casa il compito di dirne di ogni. Per Ugo ha sbagliato decidendo di restare muto, con la bocca cucita, perché qualcuno può aver pensato che quel silenzio fosse sintomatico d’una coda di paglia. L’aficionado, in un mumble mumble parzialmente involontario, si chiede se per caso il divo, in una vita privata impermeabile ai flash dei paparazzi, davvero sia in ottimi rapporti con il vertice del potere esecutivo in questa town, o con un facente funzione.
Un dubbio che tramonta in un amen. L’uomo, infatti, acchiappato dalla barzelletta, dalla sua travolgente recitazione in divenire, mentre di fatto cambia idea e non pigia più il pulsante ‘Off’, fa quasi subito palinodia della sua incipiente critica al mito, essendone di nuovo un fan doc, senza caveat, e provando addirittura un senso di colpa per aver dubitato, sia pur solo per un nanosecondo, della rettitudine di quel personaggio. Manzoni Beppe ha colpito ancora, ha centrato, con l’escamotage della barzelletta scacciapensieri, l’obiettivo di neutralizzare ogni possibile danno arrecato, da quel petulante rompiballe, all’immagine del dottor Sivo, grande amico del padrone della Rete, nonché finanziatore di alcune sue iniziative economiche.
Walter Galasso
Che finale amaro nella sua verità! E sempre complimenti all’autore che sa pennellare ritratti di personaggi indimenticabili!