DI WALTER GALASSO
Uno spicchio di Milano, non lontano dall’IZSLER, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, in Via Celoria. Loreno Più, titolare d’una Concessionaria Multibrand, MiranCar, risponde al telefono. È Giovanni Pitto, suo caro amico. Si trova nella grande square antistante all’ingresso della stazione ferroviaria d’un paese, ha voglia di fare una capatina nel suo salone, per scambiare quattro chiacchiere. Ormai è da due mesi che non si vedono, non è da loro. Può o disturba? Domanda retorica: può alla seconda. E così sale a bordo della sua auto e lo raggiunge.
Giuan per l’esercente è come un fratello meno lo stesso cognome. I due sono come la chiave e il materozzolo -‘uno per due e due per uno!’ un motto del loro connubio amicale-. Un bla bla bla frivolo fin dall’incipit, imperniato su amenità, finche Loreno, con un incoerente volo pindarico, confida al suo interlocutore un suo notevole cruccio. La scorsa settimana ha fatto un mefitico blitz nel suo negozio un bandolero, un avanzo di galera, un tipaccio, scherano al servizio del demone ‘U Toro’, soprannome, nel milieu della mala indigena, di Carlo Magnarese, boss affiliato a un famigerato clan, attualmente primula rossa, dopo essere evaso, con una rocambolesca mossa del cavallo, da un carcere di massima sicurezza. Il suo giannizzero, ambasciatore del gran capo, ha chiesto, preteso con arroganza record, il pagamento di una cospicua somma mensile di danè. È stato chiaro, ‘sto stronzo satanasso, nel suo tremendo aut aut: o scuci quattrini o ti facciamo vedere i sorci verdi.
Il povero signor Più, uno scafato volpone del commercio, asso di cazzimma, fino a quel momento ben lieto del business a gonfie vele del suo lavoro, s’è ritrovato traumaticamente al centro di un incubo. Ricattato dal racket delle estorsioni, messo drammaticamente nel mirino delle loro brame pecuniarie e, secondo l’istintiva interpretazione che il suo Io tende a dare di questo sopruso, abbandonato al proprio destino da molti colleghi, a cui ha invano chiesto di far fronte comune contro questi seriali ricatti. Reno, nel dialogo col caro ospite, si sbottona. Ha voglia di sfogarsi, di vomitare il malloppo che ha sullo stomaco del suo animo. Non è possibile sottrarre ai suoi onesti guadagni cifre così esorbitanti, che si sommano a onerose batoste e pressioni fiscali e lui, in mezze allucinazioni, ha l’impressione che la saracinesca, paventando la condanna a un abbassamento perpetuo, ogni tanto versi qualche lacrima di acqua ragia.
L’uomo mastica amaro. Pur essendo un duro, uno che in genere si fa rispettare, stavolta ha paura. Perché, al netto della sua gagliardia, contro quei briganti può fare ben poco. Sono tanti, feroci, spietati, armati, senza scrupoli. Menano di brutto. Molti pestaggi, da essi perpetrati ai danni di colleghi, ribellatisi alle loro laide pretese, sono assurti agli onori della cronaca nera. Una volta un altro collaboratore del Magnarese ha dato così tante botte a un tabaccaio -Guido Fossembrone, che aveva osato scagliare addosso a quella gang un clamoroso j’accuse, in tivvù- che ha causato alterazioni permanenti del suo volto. Un guidalesco che ha pure ispirato un romanzo, partorito da uno scrittore che da anni pubblica opere B-movie sulla mala.
Giovanni ascolta lo sfogo in rispettoso, solidale silenzio. Poi “amico mio, tu sei un mercante tre punto zero, hai posto in essere uno store invidiato da tanti competitor, raggiungendo, beato te, una bella posizione. Sarebbe un peccato mettere a repentaglio un tale successo per un sia pur encomiabile slancio d’orgoglio”. Il protagonista, intuendo facilmente dove lo sparring partner vada a parare, versa in un ambiguo tentennamento nella scelta di un’acconcia reazione a quelle parole. Vuole bene all’avversario ideologico -il quale, dal suo canto, è per affetto che gli ha consigliato di non fare l’eroe-, ma ne dissente toto corde, anche perché in questa faccenda è in gioco una topica questione di principio.
Quei delinquenti non si devono permettere di fregare schei a un cittadino ammodo. E qualcuno dovrebbe impedire una tale ruberia, inficiandone a priori ogni chance. Se lui abdica al diritto di respingere ai mittenti quell’odioso ukase, se come un cacasotto alza bandiera bianca e paga, oltre a tutti i balzelli professionali, pure una tassa a quella batteria di malviventi, accade un gravissimo vulnus nella Legge. Può pure darsi che se si ribelli perda più soldi di quelli che si volatilizzano nell’erogazione sistematica di un ‘pizzo’, però in una questione del genere conta soprattutto, prima di ogni interesse economico, il Valore della Libertà.
Loreno, brizzolato adulto già entrato negli ‘anta’, è un soggetto idealista sin dai tempi in cui era un ragazzo. Nella sua poetica visione del mondo un vero uomo ha da ostentare, sempre e comunque, un’eroica schiena ritta. Altrimenti quando stia davanti a un mirror non potrà guardare con serena fierezza la propria immagine riflessa, proverà almeno un pizzico di vergogna di fronte a quella specie di speculare alter ego. Potrà sentirsi un pusillanime quaquaraquà, reo di codarda acquiescenza.
Questo aspirante Superman, che tre anni fa, su uno spiritoso biglietto da visita, s’è presentato addirittura come un ‘uomo speciale’ -scherzando ma non troppo-, quando era un guaglione, alle scuole superiori, era pure più ganassa. E più libertario. Tant’è che bazzicava, come baldanzoso militante di belle speranze, nella federazione giovanile di un partito con una temperatura simile a quella d’una borsa dell’acqua calda. Anelava a una società democratica al mille per cento, scevra di avanie, senza pesci grandi che bullizzano pesci piccoli, mai giungla dove viga la legge del più forte. Un donchisciotte sempre disposto a battersi in favore dei ceti deboli, di un sottoproletariato che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, di iloti che tirano la cinghia e sono acciughe non per amor di fitness e diete ascetiche ma, purtroppo, per coatta penuria di derrate nella cambusa. E poi questo eroico pischello esecrava, in un’idiosincrasia doc, i cultori della tracotante violenza, i teddy boys sempre pronti a umiliare qualche inerme fregnone, i criminali che vessano i cittadini perbene, e tutta ‘sta vil razza dannata.
Lodevole, davvero, quella sua solidale forma mentis, alla quale donava ulteriore bella linfa il suo quotidiano culto di letture impegnate. Onnivoro nell’appetire ogni tipologia letteraria, innamorato di saggi e romanzi e racconti e poesie -imprescindibile condizione della sua ammirazione: la qualità di un testo, punto e basta, e ‘fanculo’ se venda poco, un libro mica è una lattina di Coca-Cola-, dagli oggi e dagli domani, in un’evoluzione continua del suo flirt con i capolavori, quelli veri -climax paragonabile a un crescendo rossiniano-, ha finito con il chiudersi, più o meno poco dopo il suo trentesimo genetliaco, in una torre d’avorio. È diventato un tipo strano, in grado di suscitare, in amici terra terra, una notevole difficoltà nel seguire certi suoi pretenziosi discorsi. E, soprattutto, è apparso rara avis su un piano di alta etica, egli perorando, un giorno sì e l’altro pure, ideali che ai più sembravano utopici, troppo lontani dalla banale realtà, meritevoli di entrare nella vasta e sterile gamma di Chimere con la maiuscola. Gli è piovuta addosso una gragnola di critiche, larvate e non, ma lui, altero, zeppo di autostima e povero di autocritica, se n’è impipato.
A un certo punto -spese: tante; entrate: meno, e l’etica in genere non dà reddito- ha dovuto correggere il tiro, emendare parzialmente la sua mentalità, ed è caduto dal pero. Questa coupure è avvenuta poco prima dell’inaugurazione del suo negozio. Un job che, in certo senso, ha forse rappresentato la prima espressione della suddetta svolta. Il Loreno prima maniera, infatti, volava più alto nei suoi sogni, sperava di fare politica, come protagonista, non come quelle mezzeseghe che, leccaculo di un candidato, quando venga eletto credono d’aver trionfato pure loro -e si piazzano dietro il divo, giulivi e plebei in una foto opportunity postelettorale-, mentre il boss, nel suo computer, li scheda nella categoria dove mette pure chi gli taglia le unghie dei piedi. Reno ambiva a essere lui un bwana, magari un onorevole felice di militare sui banchi di un’opposizione dura e pura. Un progetto che non ha mai visto la luce. La sconfitta nel braccio di ferro con il principio di realtà lo ha obbligato a sostituire l’Originale (Mission) con un surrogato -il suo punto vendita- meno nobile e molto più fattibile. L’uomo s’è adattato, ha fatto, obtorto collo, i conti con un pragmatico buon senso, ma il suo lavoro è comunque bello, gli piace tanto e lui, svolgendolo, è tale e quale al giovanotto che voleva tenere in pugno il Parlamento, perché oggi come allora questo milanese è un uomo libero. E un uomo libero non abbozza, come un pappataci, innanzi a un prepotente che vuole estorcere grana.
Giuan recepisce forte e chiaro il messaggio. Più che fare spallucce e arrendersi, nella dialettica tenzone, non può. Però “Amico mio, t’ammiro, ma, mi raccomando, non metterti nei guai”. E invece l’eroe, più duro dei diamanti, si mette. Ha detto che non paga e non paga. E quelli hanno detto che se non paga lo rovinano e… La Concessionaria, in una notte no, diventa un inferno. Quando, appresa la drammatica notizia del rogo doloso, accorre con turbatissima velocità, l’imprenditore, alla vista di quelle fiamme, che stanno divorando la sua creatura dall’alfa all’omega, prova un’amarezza che abbisogna, per poter essere ben lumeggiata, di tutta la Società Psicoanalitica Italiana, riunita in seduta plenaria per descrivere, in un lavoro d’équipe, la sua Angoscia. Le ginocchia dello sventurato vogliono piegarsi, ma lui ce la fa. A restare in piedi, non a trattenere le lacrime. Scoppia a piangere, come un bambino uomo. Ma più per rabbia che per sindrome di Sconfitta. Comunque sia, il danno è monstre. Difficile che Loreno possa rimettersi in cammino.
E invece accade un miracolo del Solidale Impegno, targato Unimi. Scendono in campo molti studenti dell’Università conosciuta anche come La Statale. Hanno una Potenza stratosferica: AVERE VENT’ANNI. Commossi dal coraggio di quest’uomo, hanno pure un cuore d’oro e non lo lasciano solo. Si privano di comfort, come la vacanza da mille e una notte, raccolgono fondi in una mega colletta e, apoteosi nel trionfo, fanno pure proseliti sul territorio nazionale, creando una rete di solidarietà verso questo bersaglio della malavita organizzata. La cifra che raggiungono ha dell’incredibile, ma ancora più particolare è lo striscione che una loro delegazione -membri estratti a sorte- srotolano sotto la casa di Loreno, poco prima di regalargli un enorme assegno. “Se tutti avessero il tuo coraggio la società sarebbe migliore. Grazie, Hombre Vertical”.
Walter Galasso
Che finale incredibile!