DI WALTER GALASSO
Una sexy esercente, Luana Bolesi, uno schianto di vamp, fuma una sigaretta sull’uscio del suo negozio. La bottega, a dire il vero, non è molto fornita, non è decisamente nel gotha dei bazar più ricchi di articoli, solo per scherzo la si può definire il non plus ultra dell’assortimento. Forse, nella limitata gamma della merce, la pièce de résistance è un peregrino mappamondo, che funge pure da abat-jour. Davvero una chicca, su tutto il nostro pianeta non c’è un altro globo terrestre così elegante, e lei pare esserne consapevole, avendo collocato questo gioiello proprio nel posto d’onore nella vetrina. Una rondine, però, non fa primavera -un mezzo wellerismo a lei caro-, quell’oggetto è la classica eccezione che conferma la norma, un prodotto simile a una cattedrale nel deserto.
Eppure ogni tanto questa conturbante venere anadiomene riceve, da qualche aficionado arrapato, complimenti falsi, anzi falsissimi. Sviolinate (sulla qualità di quel locale) che non stanno né in cielo né in terra, del tutto destituite di fondamento, atte esclusivamente a compiacerla, in erotica piaggeria, nella speranza di far lievitare le proprie chances di successo nel farle la corte. Luana lo sa, lo sa, anche se simula, con larvata civetteria, di credere vivacemente a quelle romantiche fregnacce. Sa di piacere, e se ne bea, anche se, a onor del vero, la sua vanità non degenera mai in un antipatico narcisismo.
Adesso, buttando a terra la cicca, si allontana leggermente dal suo regno lavorativo -stranamente privo di un’insegna e pure di un vero e proprio nome commerciale- e, incedendo come una reginetta di bellezza in passerella, ancheggiando in modo meraviglioso, si dirige verso una vicina boutique, gestita dalla signora Messalina Tressette, coadiuvata da uno staff di tre collaboratrici.
Costei è una grande lavoratrice, campionessa di stacanovismo, sopporta con stoica resilienza anche una corvé monstre, una spossante fatica atlantica. È assetata di conquibus, anche perché ha da contribuire a mantenere la baracca, avendo, lei e il suo coniuge, un poker di figlie, tutte, bontà loro, amanti del sapere, tutte all’Università. La donna e il suo Casimiro, per carità, ne sono felici, però oggigiorno gli studi accademici pesano a livello economico in una famiglia, tanto più se a sostenerli sia, come nel caso in questione, una prole abbondante. Messalina, dunque, sgobba dalla mattina alla sera, e bacia il Fato per la vastità della sua pingue clientela.
Ben si comprende come una tale eroina di fatica non abbia una grande simpatia per una come Luana, che, senza dubbio, non si può certo candidare al ruolo di emblema dell’impegno, per descrivere con un eufemismo il suo atteggiamento di commerciante. Diciamo che dà proprio l’idea di gestire il suo locale quasi per hobby. Non gioca a favore del suo giro d’affari e dei suoi atout di locupletazione il punto. Esso, infatti, è sì ubicato in pieno centro, ma in una via scarsamente trafficata, e pure non particolarmente presa in considerazione da turisti. Nonostante che a un centinaio di metri da Luana ci sia un Museo segnalato in qualche Baedeker, nemmeno questo dato fa sì che molti stranieri tendano a venire da queste parti. Messalina, che ha un ottimo giro di affari, non patisce più di tanto l’ubicazione perché è qui da tempo immemore (mentre Luana solo da un anno), ha una clientela garantita nella sua fidelizzazione e, appunto, perché ci sa fare, si impegna, gestisce il suo negozio con tutti i crismi del professionismo. Risultato: la sua bravura neutralizza lo svantaggio della posizione. Luana, invece, paga dazio.
Sorge spontanea una domanda elementare: ma la pin-up non poteva accorgersi di questo problema prima di varare in loco il suo esercizio? Ella ha peccato in acribia e spirito d’osservazione, alla vigilia dell’inaugurazione, nella fase propedeutica alla scelta di un preciso indirizzo. Avrebbe dovuto scegliere una sede più favorevole, qualche street teatro di sistematico passeggio, magari di struscio, in mezzo a tanti store di successo, templi di shopping. Forse non ci ha fatto caso, qual dilettante allo sbaraglio, oppure se n’è volutamente fregata, qualora, appunto, abbia posto in essere la sua attività più come passatempo che come greppia, fonte di reddito, magari gallina dalle uova d’oro. A giudicare dal suo tendenziale modo di fare nell’esercizio delle sue funzioni, quasi sempre informato a un rilassato cazzeggio, è plausibile reputare l’ultima ipotesi la congettura più vicina alla verità. Miss Bolesi più che vendere vuole abbandonarsi a un passivo relax, e questo dolce far niente irrita, appunto, la tosta, spartana, laboriosa Messalina.
Comunque, al netto di questo autentico e giusto motivo di animadversione, è d’uopo, per intessere una disamina scientifica del rapporto fra le due donne, precisare che quando la Messalina, pensando fra sé e sé alla vicina, o sparlandone con qualche amica, ne dice di ogni, v’è quasi sempre nel suo j’accuse un’arrière-pensée. Lei, infatti, la critica anche perché tende a priori a stigmatizzarla, vede in lei difetti perché le talenta scorgerne a bizzeffe, e il motivo di questi razzismo e pregiudizio è presto detto: la sua venustà. Lina la detesta perché gliela invidia, e venderebbe l’anima al diavolo per avere anche solo un 75% della sua avvenenza, e pure perché ne è dannatamente gelosa.
Sì, gelosa. Paventa, infatti, e ne ha ben donde, che suo marito se ne sia invaghito, sia pazzo di lei. Ah, come la guarda! La fissa, impregnato di libidinoso desiderio, talvolta orientando gli occhi in un modo osceno. Probabilmente ‘sto aspirante gallo della Checca, che da quando era un verde guaglione corre dietro alle gonnelle, sogna -e a occhi chiusi, quand’è fra le braccia di Morfeo, e in qualche torrido daydream- di fare l’amore con lei. Grrr!, la moglie, al solo pensiero, diventa una iena, prova il vindice desio di menare entrambi, la sirena tentatrice e il fellone partner, impenitente satiro che non ha ancora imparato come si deve la virtù della fedeltà.
Nondimeno Messalina è brava a tenere tutto dentro, ingoiando in certo senso il rospo. A lui non ha mai mosso alcun rimprovero al riguardo e, con la santa pazienza, si limiterebbe a cambiare discorso se, puta caso, il mascalzone citasse la procace rivale. E con lei finge amicizia, o comunque non belligeranza. Anche adesso, mentre la miss “Ciao bella, come stai?”, le sorride, pensando ‘bella un corno, te possino…!’. Dopo un secondo una banale replica, “Bene, bene, e tu, cara Luana?”.
L’ospite si piazza davanti all’entrata, guardando alternativamente dentro e fuori. Un passante l’adocchia, ‘Minchia, quant’è bona!’, esclama nella sua interiorità. Questo maschio latino -Mirco il suo nome di battesimo- resta estasiato davanti alla sua bellezza, e prova per questa sfaccendata e wonderful fata un’attrazione che se non è un coup de foudre poco ci manca. È lì lì per appropinquarsi a cotanto oggetto di desiderio e dire qualcosa, per iniziare a farle il filo, ma la sua beltà gli incute una strana soggezione. Resta prigioniero d’una irrazionale timidezza.
Lui se ne va e arriva Casimiro, il quale comincia a sentirsi meravigliosamente male quando vede Lei, la vicina ‘Champagne e Imperial Majesty’, soprannome datole da un profumiere, Antoine [Peppino Verdi], drudo numero 835 nella chilometrica lista dei suoi corteggiatori, un signore che cita profumi, soprattutto quando ci prova con una donna, come Leopardi scriveva poesie. Tornando a Casimiro, l’uomo, come dire, entra nel pallone vicino alla Musa ispiratrice dei suoi più segreti atti impuri, mentre cerca di salutarla nel migliore dei modi. Come Talete, che cadde in un pozzo per contemplare, occhi in su, le stelle, così, più modestamente, Casimiro, occhi non in su ma sulle meravigliose grazie di Luana, non s’accorge di un pacco, lasciato provvisoriamente lì da un corriere Bartolini, che sta scaricando roba dal suo furgone: inciampa e cade, patapunfete. Luana, premurosa, “Messalina, tuo marito, poveretto, è caduto!”. Lina esce, lo guarda, uhm, storce il naso, mentre i suoi occhi sono incattiviti da un urticante sospetto. Le due donne gli si avvicinano. Luana: “forse s’è fatto male”. Messalina, mentre orienta sul maschio le sue pupille come piccole palle di cannone contro le sue voglie: “Ma no, Luana, non è niente, quisquilie”. Poi aggiunge -con un’alterazione della voce che sembra una gentilissima presa per i fondelli- “non è vero, Casimiro?” quando è accanto a lui. Disteso sulla via, il tapino uomo la guarda dal basso verso l’alto, come in un allucinato incubo un uomo, ai piedi di un King Kong egemone, alzi gli occhi e ne veda il testone.
Walter Galasso