LADY DANDY, CHIC NELL’ ICH, EASY NELL’ ES:  TENNIS SHOES!   [Microracconto  7]

DI WALTER GALASSO

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   Una mente affastella idee, e come al solito è labile il confine fra creatività e disordine negativo. Impulsi a bigonce, provenienti in parte dalla lucida dimensione dell’Io  -l’Ich freudiano-,  in parte dalla caliginosa atmosfera interiore dell’inconscio, prendono d’assalto i pensieri di una donna, Lucrezia, in viaggio verso un indirizzo. Aspetta un mezzo pubblico sotto la pensilina di una fermata a richiesta -così è scritto, con gusto dei puntini sulle i, su un cartello leggermente inclinato: questa obliquità tipo Torre di Pisa è forse dovuta al fatto che un pool di energumeni si è divertito a intonare un ‘oh issa!’ mentre le loro braccia hanno spinto quel palo pubblico-. Guarda con impazienza il punto in cui spera di scorgere la prima apparizione del torpedone. Ha consultato su Internet la tabella degli orari di quel pullman e in base a quello specchietto in PDF il veicolo sarebbe dovuto arrivare già da un pezzo.
   Maledetti ritardi, piaga endemica del trasporto regionale, bubbone che nemmeno diverse class actions di utenti sono riuscite a emendare. Sembra che lo facciano apposta, gli autisti o addirittura proprio i motori di quei bestioni metallici, forse dotati di libero arbitrio e vogliosi di fare uno sgarbo a chi li aspetta da qualche parte. Oppure è tutta colpa del pilota, che si è fermato clandestinamente per fare una velocissima seduta di agopuntura, difettando di deontologia con questa tendenza ad astrarre dai diritti e dai desiderata degli utenti, e fregandosene altamente nella sua zona sentimentale dove può provare rimorso.
   Questi dipendenti regionali così lavativi  -ma rappresentano una ristretta percentuale di mele marce, in mezzo a una maggioranza di bravi lavoratori- spesso, quando sono apostrofati da qualche arrabbiato passeggero, tentano di arrampicarsi sugli specchi, mostrandosi peggiori di certi avvocati difensori, che perorano la causa dell’innocenza di un reo che è colpevole al 200%. Non sai mai, quando uno di questi felloni si scusa o addirittura pretende di avere ragione, se ci è o ci fa. Non si può escludere nemmeno una loro malafede a delinquere di tipo sleale, nel senso che magari sotto sotto godono al pensiero che, con il disservizio cagionato dalla loro imperizia, l’azienda di cui fanno parte venga bersagliata da una miriade di contumelie. Chissà quale oscena arrière-pensée alberga nel loro encefalo quando accumulano un delay all’indomani di un cicchetto piovutogli addosso dall’ufficio di un superiore. Forse, dopo una lavata di testa -poniamo il vicepresidente perpetra una forma di mobbing ai danni di un autista iscritto a un sindacato inviso all’establishment di quell’Ente-, il dipendente se la lega al dito e il giorno dopo non fa il suo dovere per remare contro nell’ambito della sua dimensione lavorativa, facendo attenzione a dissimulare questo suo bieco tradimento.
   Per quanto riguarda il mezzo che la signora sta aspettando invano, comunque, non è possibile stabilire con certezza se questa disfunzionalità dipenda da qualcuno dei fattori suddetti o se, invece, non sia innocente, essa dovendosi imputare a un traffico in tilt su qualche tangenziale o all’accidentale avaria del mezzo, stressato da eccessivo uso, non manutenuto a dovere ed equiparabile a una bagnarola senza che chi lo conduce ne abbia la benché minima colpa.
   La cittadina stamani ha saltato la colazione. Questa forma di digiuno ricorre nella sua alimentazione caotica. Certe volte trangugia, poco dopo essersi svegliata, tre cornetti, uno alla crema, uno alla marmellata e uno vegano; certe altre si limita a sorseggiare un caffè, ingaggiando una singolar tenzone col rischio di ingrassare: nel suo rapporto col cibo è lunatica, assume uno stile o un altro in base a come abbia dormito, a quali sogni abbia fatto, alla tonalità emotiva del suo stato d’animo. Oggi, per esempio, un tasso piuttosto elevato di umidità -da lei percepito tre minuti e ventuno secondi dopo aver riaperto gli occhi- l’ha infastidita e forse per questo ella ha deciso di bandire dal suo primo pasto biscotti, latte parzialmente scremato, fette di caloriche torte e qualsiasi altra roba commestibile. Si è vestita celermente, ha peccato d’una vaga disattenzione -per esempio per un pelo non si è spruzzata dietro un orecchio il dopobarba del marito invece che millilitri del suo diletto profumo-, ha lasciato disoccupato il flacone di lacca che usa spesso quando vuole dare al suo crine una forma particolare e innaturale. Lei in genere è una Dandyf, cioè una Donna Dandy, espressione creata da PFG Style, il Salotto di Patrizia Finucci Gallo. Ogni tanto, però, evade dalla norma e assapora il profumo d’una provvisoria eccezione, come una capinera che scappi da una gabbia, penne e piume in libertà, e poi ritorni dietro le sue gretole, per non far piangere di malinconia il suo caro pet owner.  Quelli del piano di sopra si preparavano per uscire e Lucrezia, sentendone i passi, a stento si è ricordata la loro identità. Amnesie sintomatiche di una fretta patologica e di una concentrazione piuttosto lacunosa. Paradossalmente, nonostante versasse in questa situazione convulsa -il consorte quando sta così dice che ‘sclera’-, è stata una buona mezz’ora a provare un sacco di scarpe, indecisa su quale modello indossare. Tacchi a spillo da femme fatale? Mocassino da intellettuale minimalista? Non c’era verso di decidersi, regnava nel suo tentennamento una spiccata propensione a fare danni nella e alla pianificazione della sua mattinata. Nicchiare così significa andare in cerca di guai, e meno male che a un certo punto la sciura ha deciso di affidarsi ai dadi: è uscito il numero sette, e lei è andata nella scarpiera e ha individuato il settimo paio di calzature (a partire da sinistra) sulla settima scaffalatura (a partire dall’alto). Risultato? Due tennis shoes. Meglio così. Sopra queste calzature, non alla moda ma comode, la sua lunga attesa del mezzo pubblico è consolata da un comfort terra terra.

Walter Galasso