UN UBRIACO, ‘HIC’  E IL PROIETTILE DI BALTIMORA   [Microracconto  8]

DI WALTER GALASSO

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   Un turista edochiano -poco fa lo straniero è entrato in un bar e, alla domanda da dove provenga, ha rivelato che risiede a Tokyo- si stupisce nel vedere, vicino all’ingresso di un podere -vi è un cancello arrugginito e poi un tratturo che porta a una specie di grangia- un uomo, un po’ brillo, che cammina grondon grondoni, simulando una nuotata in freestyle. Evidentemente ha alzato il gomito e adesso, sbronzo, mescola la precarietà della sua andatura e questa strana forma di recitazione. A parte la sua ebbrezza, sembra un tipo umbratile, a giudicare dal suo volto schivo. Mentre si produce in questo peregrino show, spiaccica qualche parola, e sembra affetto da una leggera forma di lambdacismo, dato che non riesce a pronunziare come si deve la lettera ‘l’. La fenomenologia complessiva della sua condotta è davvero esilarante, anche se non tutto, in quello a cui si sta dedicando, fa ridere.
   Ci sono delle componenti della sua ubriacatura che suscitano, in chi lo osservi, qualche giudizio serio, e forse anche nello spettatore giapponese sta succedendo questa interpretazione mista, in parte divertita e in parte scientifica. Questi forse si sta chiedendo perché, pur girandogli la testa, facendogli difetto la dovuta lucidità, barcollando come una fragile pianta schiaffeggiata dalla veemenza dell’Ostro, poi risulta idoneo a mimare un preciso atto sportivo? Il punto interrogativo si erge spontaneo in una mente resa ferace dalla curiosità. Notare la contraddittoria prassi di questo soggetto in difficoltà significa anche portare rispetto a una sua parte ancora razionale, sensata.
   Può darsi che egli sia un nuotatore, professionista o dilettante, di fondo o esperto nella gara dei 400 metri stile libero. Forse frequenta assiduamente qualche piscina, d’inverno si allena in un club e vi si dedica a livello indoor, e d’estate approfitta del bel tempo per praticarlo outdoor. Mentre tanti si limitano, quando estivano, a rilassarsi nell’ameno pelago, lui eroga epicamente tanta energia in traversate che suscitano meraviglia agli occhi dei presenti: lo vedono nuotare per ore, chissà quante calorie consuma, una ginnastica davvero encomiabile. Oppure di questo sport è un patito a livello non atletico ma culturale. Magari è un appassionato di storia dell’arte ed è rimasto assai colpito dalla scena di alcune pitture rupestri, raffiguranti appunto nuotate e risalenti, a insindacabile giudizio di un panel di esperti, all’Età della pietra: quest’uomo deve aver pensato ‘nientepopodimeno!’, e sulla scia di questo stupore è diventato un supporter di questa disciplina dei Giochi Olimpici, un aficionado così fanatico che addirittura durante una sbronza gli viene in mente di scimmiottare Michael Phelps.
   Comunque, se anche quel signore non abbia precisamente a che fare con questo sport, e il movimento delle sue braccia sia solo una buffonata, resta il fatto che non è uno bravo solo a fare ‘hic’, la famosa onomatopea del singhiozzo di chi ha bevuto troppo, ma esibisce gli effetti di qualche sprazzo di razionalità: non un barlume, effimero e minoritario, ma una vera e propria pianificazione cerebrale. Articola il moto dei suoi arti superiori per molto tempo, credendo in quello che fa, non limitandosi a un accenno ma profondendosi in una simulazione reiterata e consapevole.
   Paolo, un terzo protagonista -giovane venticinquenne, qui per mero caso-, intercetta questa scena. Vede l’uomo nipponico esterrefatto dinanzi a quel soggetto ciucco, in preda ai fumi dell’alcol, prono a Bacco e nondimeno capace di espletare mansioni da attore dilettante, recitando nel ruolo di un nuotatore nel bel mezzo di una sua prestazione. Nota la contraddizione insita nell’individuo avvinazzato, mette l’accento sul fatto che in lui strida il contrasto fra le gambe che fanno giacomo giacomo e le braccia che nuotano nell’aria, come se il vento equivalga a onde. La curiosità del turista di Tokyo gli sembra simile a un intero pubblico assiepato sugli spalti di un palazzetto dello sport.
   Però quel che più attira lo slancio cognitivo di Paolo non è né l’attore né lo spettatore, bensì una parte del loro rapporto. Si chiede, cioè, che cosa stia pensando il secondo nell’assistere a quella stranezza: sta mettendo l’accento sul degrado complessivo di quell’uomo, oppure sul fatto che, nonostante il suo momento di appannamento, sia relativamente idoneo a operazioni sensate? Lo straniero forse, nella sua osservazione, dà un particolare risalto al deplorevole vizio di un pirla che verrebbe inchiodato alle proprie responsabilità se soffiasse dentro un palloncino di un etilometro chimico. In tal caso delle due l’una: o lo schernisce e disprezza, o lo compatisce, avendo pietà della sua debolezza. D’altronde può anche darsi che l’uomo orientale stia invece pregiando, in quella scena, il fatto che l’alcolizzato, quantunque in tali condizioni, si mostri ancora atto a imitare un nuotatore, magari ‘The Baltimore Bullet’, così dimostrando che, quando smaltirà la sbronza, in qualche settore professionale avrà degli atout.
   Incastrando tutti i tasselli di questo puzzle, mettendo insieme l’indole composita di quell’ebbrezza e la catena interpretativa di cui fanno parte prima il turista e poi Paolo -che osserva entrambi-, appare perspicuamente come talvolta certi accadimenti, in sé e per sé ricchi di male e bene, quindi di diverse sfumature, inneschino, in chi li percepisce e valuta, una reazione anch’essa contrassegnata da elementi eterogenei. Chissà più tardi, quando l’osservatore giapponese rientrerà nell’hotel dove alloggia e Paolo a casa sua, quale ricordo (o insieme di ricordi) sarà diventato, nelle rispettive coscienze, l’ubriaco che nuota per finta.

Walter Galasso