AGNIZIONE, A SCOPPIO RITARDATO, D’UNA SEGRETARIA IN LOVE   [Bozzetto  15]

DI WALTER GALASSO

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   In un ufficio executive, arcilussuoso, impreziosito da molte chicche, il grande boss di una Compagnia Assicurativa, il dottor Paolo Precomo, è assiso in modo ieratico sulla sua sfarzosa poltrona presidenziale, un gioiello che vale un occhio della testa. Medita. Il suo cervello sta tentando di dirimere una complessa problematica professionale. ‘Sto mandarino, un paperone grazie all’altissimo numero di clienti, è un tipo preciso, forse fin troppo. Si avvale della collaborazione di un think tank di esperti, studia con acribia ogni dettaglio della faccenda in oggetto, in preda a un perfezionismo che rasenta la mania autolesionistica. Gli viene riconosciuto, da amici e competitor, un super know-how, egli avendo una lunga esperienza, un curriculum costellato di tanti trionfi.
   In molti frangenti, quando poteva sembrare prigioniero di un’impasse, con una magica mossa del cavallo è riuscito, op là, a evadere dal guaio. Quando un potente nemico ha provato a mettergli il bastone fra le ruote, questo mandrake in giacca e cravatta, asso tre punto zero, gli ha fatto fare una figura barbina, facendolo apparire quasi una patetica tigre di carta. E ha trionfato anche quando un ottimate ancora più in alto, nientepopodimeno che il braccio destro di un Ministro soprannominato ‘Gengis Khan’, ha imbastito un complotto, molto articolato e farraginoso, per indurre il supremo Presidente dello stato maggiore internazionale della sua Compagnia, il dottor Giulio Besenzanica, a esautorarlo. Paolo, scafato volpone, capitano di lunghissimo corso, uno che riesce puntualmente a dribblare ogni conato di ostracismo o boicottaggio, anche in quel brutto quarto d’ora l’ha sfangata, non solo evitando una waterloo ma, addirittura, riuscendo a trarre un vantaggio dall’avversa mossa dell’antagonista. Su un giornale il direttore, in un editoriale, ha scritto, a proposito del gran casino fatto dal suddetto politico per fregare l’assicuratore: “Tanto rumore per nulla. La montagna ha partorito un topolino, anzi un moscerino, così piccolo che per percepirlo occorre una lente d’ingrandimento”.
   Proprio questa vittoria, che a suo tempo ha causato in lui un’impennata di salubre autostima, gli balugina adesso, mentre con una mano toglie i granelli di forfora caduti sulla scrivania dalla sua candida chioma. In un flashback rievoca i festeggiamenti fatti da alcuni suoi dipendenti, particolarmente lecchini con questo superiore, dopo lo scampato pericolo. Una delle sue segretarie, Maddalena Calle, che in questo mentre sta lavorando in una limitrofa stanza, arrivò a commuoversi, dicendogli, con gli occhi lucidi, che aveva con terrore paventato una sua sconfitta, da lei reputata una personale disfatta. “Dottor Precomo, se non avessi avuto più lei come mio capo, se un bruttissimo giorno avessi visto un altro al suo posto su quella poltrona, avrei contratto, mi creda, un esaurimento nervoso, sarei sprofondata in burnout, perché per me il prendere ordini da lei è un motivo di fierezza e di sincera gioia”. Un discorso ai confini d’una servile apologia, qualcuno avrebbe potuto stigmatizzare e sbertucciare quella donna, imputarle una ridicola umiliazione della sua dignità. Paolo, invece, pur conscio dell’indole non proprio gagliarda di quella subalterna, e pur avendo in precedenza pensato a più riprese ch’ella esagerasse con i suoi reiterati salamelecchi, in quella circostanza credette che le sue parole denotassero un vero e puro sentimento. Anche perché, alla fine della sviolinata, la Maddalena, un po’ fuori di sé, gli gettò le braccia al collo e gli diede un bacio, sì su una guancia, ma non poi molto lontano dalle sue labbra.
   Ora gli piace far mente locale proprio su quel momento, intensissimo, vagamente imbarazzante per ambedue. La bocca della bruna, al contatto con la sua pelle, sembrò calda. Molto. Un fuoco. Un kiss più rovente di una stufa, zeppo di suggestive implicazioni. L’uomo ne fu turbato, pur essendo un mezzo latin lover, avvezzo a interagire con sciure avvenenti. Per un nanosecondo sospettò che la collaboratrice si fosse innamorata di lui, o comunque provasse una fervida emozione nell’essergli vicina. Allora scacciò quella pruriginosa interpretazione, poco dopo, quando lei era già ritornata nella sua postazione di lavoro, e lui ancora era immerso nel tentativo di capire al cento per cento il perché e il percome della torrida effusione. Disse a se stesso che sicuramente la donna aveva solo esternato, forse in modo un po’ eccessivo, una letizia meramente professionale, punto e basta.
   Adesso, però, per un peregrino capriccio della sua ritentiva, si ricorda di una sera, precedente il giorno di quel caloroso e spudorato bacio, in cui egli ricevette una visita a sorpresa di sua moglie, l’elitaria contessa Orsenigo Incino Ludovica, la quale, facendo irruzione proprio in questa camera, gli disse, scherzando ma non troppo, “sono venuta a verificare se davvero sgobbi, con etica non protestante del lavoro, e mi sei fedele, oppure fornichi nel tuo bureau con qualche sgualdrina”. Solo una boutade, poi si misero a chiacchierare. Lui, dopo averle giurato sulla propria autostima che le era fedelissimo, le fece tanti complimenti e la ricoprì di tante coccole, precisando che pure lui era geloso, come un Otello, perennemente terrorizzato dalla brutta idea di poterla vedere insieme a un altro. I piccioncini, insomma, tubarono, in un afflato che ebbe il suo diapason nel momento in cui questo enfatico e galante gentleman si inginocchiò davanti alla sua dulcinea -la consorte aveva come al solito un look griffato e costosissimo- e, toccandole i fianchi, le recitò a memoria una poesia d’amore. Una performance, intermedia tra il colpo di teatro e il beau geste, che piacque molto alla beneficiaria. L’aristocratica si sentì una doppia regina, osannata e riverita come la donna più importante sul globo terracqueo. Mentre il coniuge era nel bel mezzo del romantico show, forse kitsch e trash ma indubbiamente carino verso Ludovica, entrò Maddalena. “Chiedo scusa, non sapevo, perdonatemi” e precipitevolissimevolmente se ne andò. A posteriori il boss, dopo aver accompagnato alla porta la sua dolcissima metà, salutandola con pathos e ringraziandola centouno volte per la gradita sorpresa, passò dall’ufficio operativo dove, insieme a tre sue colleghe, opera la Madda. La vide con gli occhi arrossati, come se avesse pianto.
   Lì per lì non ci fece caso, nemmeno si chiese come mai lei stesse in quel modo. Qui ed ora, invece, realizza, a scoppio ritardato, il senso di quella pregnante immagine, mettendolo in relazione con lo ‘smac’ di cui sopra. Crede di poter evincere, se tanto gli dà tanto, che la signorina Calle, innamoratasi di lui chissà quanto tempo fa, nel percepire de visu quel suo erotico e grandioso omaggio alla sua signora abbia sofferto, fino a versare lacrime, per un Amore che poi è venuto a galla nell’episodio suindicato.
   Gli sembra che in questa chiave di lettura tutto fili liscio, tutto torni, in una evidenza paragonabile all’apodittica addizione ‘due più due uguale quattro’. Si stupisce del fatto di non averlo capito prima, e ha la sensazione di realizzare una sorta di sorprendente agnizione d’una segretaria in love.

Walter Galasso