DI WALTER GALASSO
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Fondazione Prada, un paradigma, nel vero senso della parola, di impegno culturale del mondo industriale. Se si ottemperi, nel raccontare questo merito, a ‘Show, don’t tell’, basta citare, giocando con la parola ‘Mostra’, una ‘mostra’ sostantivo, ‘Machines à penser’, affidata a Dieter Roelstraeter, su Theodor W. Adorno, Martin Heidegger e Ludwig Wittgenstein, segnatamente sul teoretico rapporto fra l’alta filosofia e spazi -da baite nella Foresta Nera e fiordi norvegesi a un drammatico esilio all’estero per motivi politici- dove essa possa fiorire maestosa. Su questa lodevole e importante torta una ciliegia superlativa: Adorno’s Hut, installazione, inerente alla Mostra, sul grande pensatore, ad opera del poeta e artista Ian Hamilton Finlay. Uno splendido omaggio alla Filosofia, in quel di Venezia, nel suggestivo palazzo Ca’ Corner della Regina.
Recita la presentazione di ‘pradagroup.com’: “L’arte e la cultura arricchiscono la vita quotidiana degli individui… La ricerca intellettuale, oltre ad essere profondamente utile e necessaria, può trasformarsi in qualcosa di coinvolgente e attrattivo”. Tesi assiomatica e inconcussa, inclusiva di un potentissimo fulcro della Cultura: il piacere, in una declinazione sui generis del trasporto edonistico. Un dettame tanto chiaro e distinto quanto insultato, obliato, incompreso, maltrattato da un becero, ignorante e diffuso pregiudizio, cioè l’idea che la cultura sia per molti pallosa, un mattone, una fonte di noia. Sciocchezze brutte e cattive: un’opera filosofica, letteraria, artistica, ha infiniti pregi, tutti fulgidi, dal primo all’ultimo -mai come in questo caso bisogna scrivere ‘last but not least’-. Fa parte di questa florida collezione anche, e appunto, un magnetismo, un appeal ‘attrattivo’.
“The New York Times”, in un focus su un’altra opera della Fondazione, ‘Monte di Pietà’, by Christoph Büchel, anch’essa allestita nella sua sede veneziana, la reputa proprio ‘compelling’ e ‘sometimes hilarious’, avvincente e a tratti esilarante. Per mettere così in pratica un suo fondamentale canone, etico e teoretico, la Fondazione ha dedicato un biennio al vulcanico ed eterodosso artista. La dottoressa Chiara Costa, storica dell’arte e Head of Programs di Fondazione Prada, allude all’indole alternativa e rivoluzionaria dell’artista -“Büchel’s work tends to force the limits of an art institution,” she added, referring to the daunting challenges posed by the artist’s notoriously ambitious and provocative installations-. Egli forza i limiti, come un pioniere che vada oltre e, sia pur ‘asintoticamente’, aneli a superare l’orizzonte, a lasciarsi alle spalle la sua fuga perenne. Un tipo così può scoraggiare, può indurre qualche boss di bassa statura a dirgli “Sei bravo ma No”, preferendogli qualcuno che dia più garanzie alla sua banale venalità. In Ca’ Corner della Regina, invece, l’autore di ‘Home’ -collezione di chiavi, fra cui quelle d’una sua casa: chi acquista l’intera rosa può entrarvi anche se lui sia altrove…- è stato accolto e assistito con rispetto e senza fretta, potendo comporre nel miglior modo possibile il suo ‘Monte di Pietà’. Perché <<Over the last 30 years, the Foundation has often commissioned “utopian projects that are seemingly impossible to realize”, according to Costa>>.
Qui l’utopia è la benvenuta, se all’insegna della Cultura. Se meriti motivate lodi della critica.
L’opera in oggetto, lo dichiara autorevolmente “The New York Times”, ne deve avere à gogo. Perché vola alto, osa, non aggiogata da un conformismo fifone, lungi da un’omologazione in cui ai Poteri Forti si dice sempre, in preghiere laiche, ‘Signorsì, bwana’.
In essa la ribelle contestazione, veicolata mediante messaggi sofisticati e indiretti, va letta fra le righe. Prestandosi, in una tipica situazione ermeneutica, a una pluralità di interpretazioni, può anche non apparire, nella superficialità oggettiva del suo contenuto, un j’accuse.
Il suo ‘What’, il ‘Che cosa’ della enorme installazione, implica un ritorno al passato. L’Autore riporta indietro le lancette e Ca’ Corner della Regina ridiventa quel che fu davvero in illo tempore, un banco dei pegni. Però lo presenta in una fase postfallimento. L’edificio è zeppo di eterogenei oggetti, ivi portati da ogni debitore, qual drammatica fideiussione, come garanzia dell’impetrato prestito. In questa squilibrata situazione mercantile da un lato c’è un porello che ha bisogno di conquibus e per avere un mutuo deve ‘offrire’ obtorto collo qualcosa, e dall’altro un creditore che gli dà i soldi ma essendo quella cosa una conditio sine qua non del suo ‘favore’.
Nell’utopia di Büchel questo sistema, patatrac, implode, e il forte fa la fine del debole. I beni sono esitati all’asta, e lo stesso palazzo è condannato all’affiche ‘Vendesi’. Il pernio della confutazione è forse in questo paradosso, ben comprensibile soprattutto alla luce dell’aura di mezza filantropia che coronava chi prestava schei. Il Bene è un’altra cosa, questo termine si rifiuta di essere appiccicato, con la colla di farisaiche propagande ideologiche, su sovvenzioni peggiori di un do ut des. Il disperato miserabile doveva dare una garanzia superiore alla cifra richiesta, snervante scortesia, per non dir di peggio, ancora in auge. Certo, cento volte meglio di niente. Certo, un milione di volte meglio dei satanassi chiamati usurai. Ma… Le persone che hanno bisogno di denaro soffrono, e la loro pena si acuisce, in un’escalation di negatività, se debbano privarsi di roba a cui sono affezionati, o/e di oggetti con tanta qualità. In questa Mostra la presenza di un ritratto di Tiziano del 1542, attinto alla fiorentina Galleria degli Uffizi, accanto a un appendiabiti di plastica, è proprio l’allusione al degrado in cui, in quella specie di mezza banca, si calpestava la Qualità. Tutto, dall’Alto al basso, asfaltato e parificato dal rullo compressore di un Capitale senz’anima. E poi la ferocia di banchieri che accettano un capolavoro per sganciare un pugno di nummi. Se, puta caso, davvero un portrait masterpiece sia dato, da un uomo in disgrazia, in pegno, la società deve porsi una domanda: da 1 a 10, quello sfortunato uomo quanto può essere amareggiato quando si priva del sublime quadro? Risposta semplicissima: 1000. Una società cinica, insensibile, fredda e asettica, se ne frega, Büchel, l’artista che tende a non rilasciare interviste, no. Con il potere della fantasia vendica il torto, fa pagare, a un microcosmo in cui il denaro è tutto, l’ipocrisia nella quale aggredisce e vuole pure essere ringraziato.
L’artista svizzero ha due meriti -la sua sibillina animadversione filosofica e il fatto di aver realizzato uno spettacolare e promiscuo assortimento-, “The New York Times” tre, e anche di più. Perché, in mezzo a tanti commenti -su questa installazione e sul tendenziale coinvolgimento (di empatici spettatori) ch’essa implica- che hanno accuratamente evitato di mettere il dito nella piaga, eruttando aria fritta e fuffa innocue, non si perita di porre un chiarissimo accento sul match ‘Arte – Incolto Potere’: “the material the artist has chosen for this project has plenty to say about the troubled world we live in, and the roles that capital, debt, spurious notions of value and naked greed have played over the centuries.” Il Capitale, quando e dove sia un regno della nuda avidità, con le sue false nozioni di valore, ammorba spesso la Storia. Tanti pseudointellettuali -con molte idee sporcate da (ideologici) escrementi, diversi dalla ‘Merda d’artista’, di Piero Manzoni, inserita da Büchel fra i pegni- se anche se la sentano di condividere un po’ questo cahier de doléances, mai e poi mai oseranno metterlo in relazione con l’attuale contesto in cui essi prosperano felici e contenti. Invece l’illustre giornale newyorkese “the trouble world we live in”.
E perfeziona la scientifica critica dando all’Autore quel che è suo. “Never shy of taking on big subjects, Büchel has created an immersive environment that asks awkward, urgent questions about what capitalism is doing to our society and our planet.” Pura Cultura, amor di verità, lungi da qualsivoglia faziosità politica. Una ricerca teoretica profondamente necessaria, con un valore coinvolgente e attrattivo…
Walter Galasso