TOLLERARE UN CIAPARAT CON SPINTA   [Microracconto  9]

DI WALTER GALASSO

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   In uno store di abbigliamento, negozio per tasche non floride, il direttore, il dottor Pantaleo Marchesi, monitora la situazione, per verificare che ogni angolo del suo regno sia O.K. e lo staff faccia il suo dovere.
   Nell’équipe alle sue dipendenze c’è solo una mela marcia, il neghittoso Luca Tremebondo, uno scansafatiche, e pure pirla, diciamo pure un loffio ebete, tondo come la O di Giotto. Non a caso alcuni colleghi lo criticano alle sue spalle, e Mirco, guaglione in gamba, sempre sul pezzo, proprio ieri, intessendo un pettegolezzo con Pamela, la commessa che Pantaleo reputa il fiore all’occhiello del team, ha detto, a proposito di quel coglione, “pare Cimabue, fa una cosa e ne sbaglia due”. Il boss la pensa nello stesso modo, idem, tale e quale. Nutre una profonda idiosincrasia per Luca. Lo ha dovuto assumere obtorto collo, godendo quel pistola della raccomandazione del dottor Guido Atreno, un notabile indigeno.
   Il suddetto personaggio è un potente ras, stabilmente nel gotha politico di questo Comune. A queste latitudine e longitudine fa il bello e il cattivo tempo. Su una testata on line, la scorsa settimana, un giornalista è arrivato a scrivere “Nella nostra città, e pure in tutta la sua provincia, una composita galassia di tanti paesi, non si muove foglia che Atreno non voglia. Meglio non pestargli i piedi, anche perché è un satrapo vendicativo, se qualche avversario gli faccia uno sgarro egli, lungi dal porgere l’altra guancia, se la lega al dito, e serve fredda la vendetta. Beato, invece, chi sia nelle sue grazie, ché sotto il suo ombrello protettivo pure la carriera di un fesso procede a gonfie vele”.
   Il signor Tremebondo è proprio un imbecille che, grazie ai suoi ottimi rapporti con questo mandarino, è riuscito a ottenere un gagne-pain niente male. Il direttore, che lo ha sulle scatole per la sua pochezza record, non solo non lo può licenziare, ma deve astenersi pure da ogni comportamento che in qualche modo possa sembrare un mobbing. Se, infatti, si permettesse, di fronte a una cazzata commessa dal pischello, di fargli una lavata di testa, magari davanti a tanta gente, per rendere ancora più cocente la sua umiliazione, quello andrebbe a piagnucolare dal suo sponsor, il quale, senza tentennamenti, prenderebbe lo smartphone, chiamerebbe il dirigente e gli invierebbe minacce e ricatti. Pantaleo, confidandosi con una sua cara amica, Elisa, titolare di una tabaccheria ubicata nella periferia di questa località, le ha detto  “Cara Eli, sto per sclerare, nella mia bottega lavora un ragazzo che non solo non ha alcuna capacità, non solo è un desolante ciaparat, ma pecca pure in impegno, pigro, scioperato, davvero una faccia da schiaffi. Vorrei silurarlo su due piedi, per giustissima causa, sciò!, vai ad ammorbare un altro esercizio, però non posso, perché quel bischero è protetto da Sua Eccellenza Atreno, che è capace di condannarmi all’esilio se sgrido il suo pupillo”.
   Il dottor Marchesi ha le mani legate, vorrebbe (mandare a quel paese quell’incapace) ma non può, e questa situazione rischia di stressarlo, di cagionare in lui burn out, o comunque un senso di sgradevole impotenza. Tuttavia, al netto del fastidio provato nella privacy della sua interiorità, all’esterno, nella parte più superficiale della sua prassi, pare un uomo con una sufficiente dose di aplomb.
   In questo mentre, per esempio, s’accorge che Luca sta davanti all’entrata del locale, intento a parlare al telefono, dunque ancora una volta colpevole di derogare scandalosamente ai suoi doveri. Con la santa pazienza il dottore, che nel suo animo ospita una rabbia monstre per questo ennesimo episodio di pessima deontologia sul posto di lavoro, si dirige verso il signorino con simulata imperturbabilità. Quando arriva a un tiro di schioppo da lui, e Terry, una sua dipendente modello, inizia a sorridere, lo chiama a bassa voce, quasi bisbigliando. Poi, quello non avendolo udito, appoggia una mano sulla sua schiena e “Luca, ma non ti preoccupare, non devi affaticarti così, e va bene la voglia di erogare fatica con stoicismo, ma tu, perdindirindina, esageri!”. L’uomo sfoga il suo virulento fastidio con uno sfottò ironico.
   Il ‘reo’ capisce l’antifona e, interrompendo anzitempo la call, rientra, chiedendo scusa al suo capo e adducendo, a parziale giustificazione della sua colpa, il fatto che l’amico con cui stava parlando era in brutte condizioni psicologiche e lui aveva il dovere di aiutarlo a ritrovare serenità. Pantaleo gli dice “Va bene, va bene, non ti preoccupare”, pensando ‘valla a raccontare a un altro, gran pezzo di letame concime’.

Walter Galasso