MUTUO AMORE TRA BALENA E LAFKENCHE  DI SEPÚLVEDA   [Da articoli a racconto  (1  EMBEDDED  VIDEO]

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MUTUO AMORE TRA BALENA E LAFKENCHE  DI SEPÚLVEDA   [Da articoli a racconto  (1  EMBEDDED  VIDEO]

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COVER

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DI WALTER GALASSO

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DAILYMOTION  NEWS  –  BALENA SALVATA DOPO QUATTRO GIORNI  –  EMBEDDED VIDEO

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   Solita solfa nel milieu di Rocadore, località marittima in cui un’economia ancora caratterizzata da una pesca d’antan, fatta come si effettuava ai tempi in cui la famosissima Berta filava, si mescola con una gioventù all’avanguardia, tre punto zero, vogliosa di successo postmoderno e sempre votata, di riffa o di raffa, a un edonistico tourbillon di godimenti vari. Questa gioventù fru fru, più frivola che peccatrice, più abbronzata che bruciata, ha avida sete di futuro non scuro, vuole partire quanto prima in viaggio di nozze con una Gloria che non costi noia, e il suo animo, ruggente e loffio al tempo stesso, meno si occupa di pallose tematiche di stampo politico -che barba pazzesca!, roba da burnout ed esaurimento nervosissimo- meglio è.
   Molti concittadini già entrati negli anta, invece, ancora pensano che abbia un senso discutere, nel loro rango proletario, di argomenti come una recente stangata fiscale o le clamorose dimissioni rassegnate da un Ministro, beccato con le mani in una marmallata fatta di porcate e favoritismi. Oppure battibeccare in merito al tasso di coerenza ideologica del Premier attuale, da poco in carica.
   Proprio di questo personaggio tre pescatori di professione, durante una scorpacciata di tempo libero, stanno parlando nel dehors d’un locale alquanto stantio e per niente up-to-date. Basti considerare, per lumeggiare sinteticamente la sua simpatica arretratezza naïf, che il suo arredamento -design da due in pagella- è tale e quale a quello delle origini. I tre signori, mentre i loro figli e nipoti se la spassano -magari ubriacandosi in uno sballo dionisiaco- nella caleidoscopica movida sul tratto centrale del lungomare, si stanno impegnando in un’accalorata discussione sui pregi e difetti del Primo Ministro. Un tizio che, dopo aver sbraitato  -più di un agit-prop in preda ad allucinazioni-  in campagna elettorale, contro il degrado che ammorba come una lue la nazione, gettando fango a destra e a manca, successivamente, assurto all’apicale poltrona nella stanza dei bottoni, si è, come dire?, calmato, in brodo di giuggiole per il trono sotto le chiappe. È un narciso, affetto da vanesio egoismo,  pensa solo a mettersi in mostra all’estero. Da quando è asceso al potere ha trascorso più giorni in giro per il pianeta -tanto paga Pantalone!- che in patria, mentre sul territorio nazionale s’è verificata una drammatica escalation di gravi problemi, fra cui la violenza. Prolifera a tutte le latitudini e longitudini, le forze dell’ordine raramente riescono a prevenire delitti cruenti, la gente invoca sempre, e non ottiene mai, una rassicurante protezione. E lui? Il numero uno, lo shogun sulla cresta dell’onda, cosa fa? Il globe-trotter, oggi una smagliante photo-opportunity in un Paese dove si parla l’inglese, domani un’altra in uno Stato con idioma francese, e così via.
   I tre chiacchieroni stanno, nel loro bla bla bla in bilico tra serietà e inconcludenza, decidendo se il mandrake vada assolto -la tesi di uno-, perché il fatto sì sussiste ma un Maciste del potere può seguire criteri che sfuggono al popolo terra terra, oppure condannato senza se e senza però. Ognuno di loro, beandosi delle proprie convinzioni, tende a dilungarsi, a menare il can per l’aia, e dà la sensazione che gli basti discutere per sentirsi protagonista della cosa pubblica.
   Un quarto uomo -non c’entra nulla con l’omonimo arbitro nelle partite di calcio-, un certo Osvaldo Dom, trinariciuto sessantottino, e fratello di Patti, l’intellettuale più pasionaria del circondario, origlia quel pissi pissi, seduto a qualche metro di distanza, mentre consuma un cocktail di camomilla, whisky, Red Bull e ambrosia.
   Conta fino a duecentoventi -il suo numero preferito- per non intervenire e prendere il trio per i fondelli. Quel cicaleccio, quel ping-pong tra l’aficionado del Capo e i suoi detrattori gli pare peggiore di una pecoreccia gara di rutti e battute pornografiche, una batracomiomachia fra patetici pusillanimi, che non si rendono conto che una pedina, sia pur con la fedina penale immacolata, di fronte a un asso di potente merda conta meno del due di briscola. Inutile fare “miao miao, io ti fo le fusa, o mio caro statista bwana” o “grrr, bau bau”, abbaiare contro di lui alle sue spalle perché la mala fa male ai poveri deboli e lui si occupa di altro, facendo il fenomeno al G38.  Il leader se ne frega, sia delle lodi che delle critiche, disposto anche a vendere al diavolo molte sue tradizionali convinzioni, pur di permanere a lungo sul trono e imbucarsi di straforo nella Storia.
   A un certo punto mister Dom non ne può più, si alza di scatto e se ne va, pensando ‘ma andate a cacare, voi e quel cesso, peggio d’una tazza in maiolica, le mie orecchie hanno udito troppe parole mignotte, voglio stare alla larga da illusi come voi’. Urca, che caratteraccio ‘sto tipo! Blasé e bisbetico, pieno d’una polemica al silenziatore.
   Anche adesso, come in tante altre occasioni, decide, per sbollire il suo nervosismo ideologico, di fare un giretto in mare con la sua barca. Lunga otto metri, egli ha demandato a un artigiano l’incarico di dipingere su una fiancata ‘sono lunga ottanta metri’. Mah… L’imbarcazione non è un granché, però ha un incredibile punto di forza: l’illuminazione. A bordo ci sono fari potentissimi, e il padrone, quando li accende e regala parvenza di giorno a scure onde, talvolta quasi gode. È un suo stravagante divertissement. In genere fine a se stesso.
   Stavolta, però, succede un evento eccezionale. Grazie a questa messe di watt Osvaldo, solo soletto sul suo natante, s’accorge che nel pelago un enorme animale -se tanto gli dà tanto è una megattera- versa in un bruttissimo quarto d’ora. La povera, immensa creatura è avviluppata in un’infernale nassa per granchi, lasciata da bandoleri travestiti impunemente da onesti lavoratori. Il bestione, penosamente irretito da quella micidiale trappola, sta correndo un grave rischio. L’uomo, che senza compagnia può fare ben poco, gli parla, certissimo d’esserne ascoltato, e gli dice, esortandolo a resistere, che ritornerà, con i dovuti rinforzi, alle prime luci dell’alba.
   Osvaldo mantiene la parola, pur essendo un marinaio. È, quando vuole, un lupo solitario, ma sull’agenda dove scrive, ad una ad una, tutte le sue amicizie, è arrivato a vergare la bellezza di novecentosettantaquattro nomi, fra uomini e donne. Lancia l’SOS a ventuno fra queste anime, i soggetti secondo lui più idonei ad aiutare una balena in quella situazione. Sulla grande barca del suo ex compagno di scuola Paul -52 metri- salgono in 23, l’équipe comprendendo anche la fidanzata del signor Dom, Nan, biologa marina e dolce amante della fauna. Questo meraviglioso equipaggio di Lafkenche, la Gente di Mare di cui parla Luis Sepúlveda in “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa”, ce la mette tutta, dopo che Os, sulla prua, urla “Giddap!, diamoci da fare, liberiamo Lena [gli è piaciuto chiamare così quell’esemplare]”. All’inizio pare una missione impossibile, ma dopo un poker di giorni, una corvè fatta di pazienza non seconda a quella di Giobbe, Lena è finalmente affrancata da quella tremenda camicia di forza. L’encomiabile team di animalisti esulta, fa i salti di gioia, anche se Nan, durante un salto, comincia a lacrimare. Piange di malinconia, è certa che non rivredà mai più quel gigante dei mari.
   Fortunatamente si sbaglia. Tre mesi dopo, mentre per lavoro è nelle acque dell’isola di Rarotonga, durante un’avventurosa immersione vede in lontananza Lena. Sì, è proprio lei, non si può sbagliare. Piange ancora, stavolta di gioia, mentre quel sommergibile con vita e sentimenti si avvicina. Le lacrime che fine fanno nel liquido del pelago? Si fondono, in un mix di poesia subacquea.
   Tutto a un tratto, però, la donna si stupisce. La balena, infatti, inizia a spingerla, insistentemente, sotto la sua pinna pettorale. Per molti minuti. La girlfriend di Osvaldo, paventando che Lena voglia farle del male, è quasi sotto choc. Teme, se così sia, di non aver capito niente da quando è nata. Durante il suo salvataggio ha avuto l’assoluta certezza che il cetaceo volesse, a lei e a tutto il suo gruppo, un gran bene. Riesce ad allontanarsene, per ritornare sulla barca, ma è addolorata, come quando finisca una storia di un amore che un po’ continua nel ‘No’.
   Non ha capito niente? No, ha capito tutto, e ciò le è chiaro quando, sentendo un gelido brivido lungo la schiena, s’accorge che si sta appropinquando uno squalo tigre. La balena, dunque, voleva proteggerla dal mostro. La biologa vorrebbe ricoprirla di baci, ma ha da mettersi in salvo, e purtroppo la logica è chiara: ha poche chances. Ci pensa la megattera a salvarla. Si mette di traverso, con la sua stazza monstre, fra lei e il nemico, impedendogli di raggiungere l’umana preda. E, facendo in modo che la parte anteriore della sua faccia -come la prora d’una nave- tocchi Nan, la spinge affettuosamente verso la barca. Una meravigliosa, incredibile, verissima prova d’amore.

Walter Galasso