‘RE TAEKWONDO’  VA D’ACCORDO CON UNA  ‘M’   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  10  (Inizio della   PARTE  SECONDA)]

‘RE TAEKWONDO’  VA D’ACCORDO CON UNA  ‘M’   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  10  (Inizio della   PARTE  SECONDA)]

‘RE TAEKWONDO’  VA D’ACCORDO CON UNA  ‘M’   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  10  (Inizio della   PARTE  SECONDA)]

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COVER

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DI WALTER GALASSO

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   L’ Abutilon, peregrina e suggestiva pianta sudamericana, che Ernesto ha collocato, come addobbo floreale, davanti al suo locale, non si limita a catturare clienti, a polarizzare l’attenzione dei passanti sul suo lavoro e a trasformarli in avventori. Succede talvolta che il suo potere attrattivo e ipnotico si eserciti a beneficio anche di un’entità contigua, in una sorta di colpo di scena nel colpo di scena -il primo come un canguro che porti il secondo, sua prole, nel proprio marsupio-. Un processo non frequentissimo, non necessario, decisamente sporadico e saltuario, ma in virtù della sua stranezza lo si dovrebbe segnalare anche se si verificasse una volta al mese. Abbiamo un triplo dovere di parlarne alla luce del fatto che esso ricorre come minimo una volta ogni due giorni.
   Questo bar è sito vicino a un cartello inconfondibile, una M bianca, in carattere tipografico ‘Helvetica’, dentro un quadrato tutto rosso, la celeberrima palina segnaletica, logo by Bob Noorda, che funge da introduzione a ogni fermata di un termine che conta: Metropolitana. Il mezzo pubblico vagamente imparentato con una talpa, prediletto da tanti viaggiatori a caccia di scorciatoie superlative, capace di instaurare col manto stradale sovrastante lo stesso rapporto che intercorre fra due coinquilini che abitino uno a un piano e l’altro a un livello superiore. Esso è anche contrassegnato da un notevole tasso di ricchezza linguistica. In inglese, infatti, si dice ‘underground’, termine che indica spesso anche un sapere non ufficiale, occulto e/o proibito, alternativo, ‘aumm aumm’, diciamo pure una controcultura, un’attività psichica coraggiosamente propensa, nella sua sagace clandestinità, a sfidare il Sistema, a sbertucciare alcuni topoi dell’establishment intellettuale, insultandoli con espressioni come ‘topi di fogna!, vergogna!’.
   L’animo ribelle -ed engagé- che voglia produrre ragionamento in questa atmosfera somiglia, in certo senso, a un cavallo che tenti di disarcionare il suo fantino con un salto del montone, cioè piegando la testa verso le zampe anteriori e alzando nervosamente quelle posteriori. Equiparando questa maniera di ricalcitrare a un’invettiva contro il malcapitato jockey, un pittore potrebbe dipingere uno di questi salti e intitolare il quadro  ‘Filippica nell’ippica’,  magari annotando dietro la tela, vicino al punto in cui in genere si stampa l’expertise, che il cavaliere se l’è cercata, sicuramente ha irritato il suo destriero con qualche atteggiamento da duce e l’animale si è imbizzarrito. L’intellettuale underground è paragonabile a questo cavallo-montone nel senso che si produce in un tentativo di sbalzare di sella lo status quo da cui è aggiogato.
   Se qualcuno pensi che sia solo estrinseca questa similitudine fra la Metro e un fenomeno come il Samizdat -l’arte di osteggiare il tirannico potere in sella in Unione Sovietica attraverso la diffusione di scritti illegali e fegatosi-, si sbaglia. E basta seguire Arturo Piuro, un cittadino in questo momento di passaggio davanti al Caffè di Ern, per rendersene conto.
   L’uomo si ritrova proprio davanti all’ingresso di questa stazione dell’underground romana. Proviene dalla zona Prati, dove risiede a Via Pimentel -il Comune sardo non c’entra, questa street è Via Eleonora Pimentel-. La sua abitazione è dunque vicina alla RAI. Cammina già da diverso tempo, sembra che abbia il fiatone, il suo incedere denota un certo disagio, che non sconfina nella spossatezza -come certi turisti che, dopo chilometri percorsi a piedi, barcollano, provati dallo stress della maratona esplorativa-, ma comunque esprime un principio di stanchezza. Lui non è un gladiatore, o un atleta che batta record nella valentia delle sue capacità polmonari e della sua energia. Arturo è un uomo come tanti, né pappamolle né Ercole, un normodotato immune da particolari limiti di prestazioni, ma pur sempre esposto al rischio di sentirsi sotto tono se si metta a deambulare per ore.
   L’età non c’entra: alla base del suo medio rendimento non vi è il fatto che non abbia più vent’anni. Lui anche quando era un teen-ager, e nei compiti in classe di matematica scopiazzava la bravura dei calcoli cristallizzati sui fogli del compagno di banco, erogava, nelle sue passeggiate in città, una lena senza lode e senza infamia. Meritava sempre un risicato 6 in quelle informali gare -in fondo, sgambettare lungo un percorso cittadino, nella prospettiva di resistere alla grande o dare segni di debilitazione, è un match contro se stessi-. Lo score alla fine di quelle prove era quasi sempre ‘6’, la sufficienza senza lode, il minimo sindacale -come punteggio- per essere promosso. Non arrivava a svenire, o a lamentarsi -ohi, ohi, non ce la faccio più, datemi un divano, devo riposarmi, ho i crampi a un polpaccio, sento che fra un po’ inizierò a sragionare, mi gira la testa, e mi fa pure male, avessi preso il motorino invece di lasciarlo a dormire nel box-. No, non scocciava il mondo con esclamazioni querimoniose, non alzava bandiera bianca, come un ragazzo pigro, loffio, infingardo, da rimandare in educazione fisica. Però neppure esprimeva chissà quale veemenza, come quelli che possono pure dormire solo due ore, e poi mettersi a percorrere interamente, a piedi, il Grande Raccordo Anulare -dopo che una surreale ordinanza del sindaco lo abbia chiuso al traffico per un certo periodo- e, dopo questo tour de force, tu li vedi ancora pimpanti, anzi pronti a dire alla loro comitiva:  “A regà, facciamo un’escursione sul Monte Rosa?”, magari per fare colpo su qualche ragazza. Arturo era a metà strada fra l’ultimo della classe in ginnastica e il primo.
Faceva sport esattamente come i più, adolescente medio, impossibilitato a vincere in futuro una medaglia alle Olimpiadi e al riparo dal pericolo di dover essere soccorso per strada dopo una scarpinata di quindici miglia.
   Tale era e tale è, nulla è cambiato da allora: l’avere più primavere sulle spalle, l’aver trovato una moglie che gli ha perdonato di non essere un eroe e gli ha detto sì, l’essere stato assunto in un contratto a tempo indeterminato -W il Lavoro del Posto Fisso-, l’essere ingrassato di almeno dieci chili, l’aver maturato più esperienza su tanti fronti, tutti questi fattori non hanno mutato di una virgola il romanzo del suo valore fisico. Art, oggi come in quegli anni più verdi, è un tizio destinato a non entrare né in un’enciclopedia (in virtù di epiche imprese), né nella cronaca di un quotidiano locale -a causa di un deliquio cagionato dallo stress di una prestazione fisica superiore ai suoi mezzi, con il pronto intervento di soccorritori solidali-. Per conseguenza, quando deve abbandonare provvisoriamente la sua abitazione, per recarsi in un posto da essa lontano, ricorre spesso a mezzi pubblici, e ogni tanto, nel suo piccolo, gli succede di voler spendere qualche energia supplementare, affinché quei dieci chili in più rispetto al suo passato non diventino ventuno.
   Non cambierà mai, nel suo DNA qualche luminare può riscontrare -se si metta d’impegno e si apra anche all’ipotesi che la critica letteraria possa andare d’accordo con la scienza- un sonetto intitolato ‘Sono un uomo medio’. Tutti i suoi colleghi a spalancare gli occhi, “ma come!, dei versi nel DNA!, clamoroso!”, e lui, lo scopritore di questa incredibile stranezza, a reindirizzare verso la reazione giusta la loro curiosità: “Esimi amici, pensiamo innanzitutto a lui, altrimenti lo trattiamo alla stregua di un campione rappresentativo o, peggio, di una cavia. Ci corre l’obbligo di dirgli che è equidistante dal basso e dall’alto. Il suo slancio non è paralizzato dalla mediocrità, che è come un masso legato a un piede di un uomo; egli, d’altro canto, non ha i numeri per assurgere al livello di un superman pieno di smalto”. Mentre qualche altro scienziato pensa ‘Mi sa che il Professore è stato contagiato dal sonetto nel DNA, e mo gli è venuto il ghiribizzo di poetare’, il mondo sa, con accresciuta certezza, che Arturo è congenitamente caratterizzato da medietas. Se, per esempio, deve spostarsi dal luogo A al luogo B, né vola -volendo eguagliare la velocità della luce- né arranca come una lumaca. Adotta spesso una tattica mista, e mescola un abbonamento annuale (ai mezzi pubblici regionali) con la disponibilità a praticare ogni tanto un po’ di sport informale.
   E infatti pure oggi è uscito di casa con uno spirito atleticamente volenteroso, quantunque inidoneo a conseguire eccelsi risultati. Non aveva alcuna intenzione di avvalersi del trasporto pubblico per spostarsi dentro l’Urbe, e non voleva neppure usare la propria automobile: desiderava raggiungere la meta a cui è diretto, molto distante, passeggiando, praticando sportivamente ‘walking’. Stamattina, quando si è svegliato -ha lasciato alzata la tapparella e l’arrivo della luce eoa ha interrotto il suo sonno- non si è sentito in forma, e ha deciso di smaltire il suo stress fisico mediante prolungati spostamenti a piedi.
   Il signor Piuro si è dunque ritrovato in una situazione simile a quella in cui Ernesto, quella domenica pomeriggio, si sentì sovrappeso, disadattato, pingue e adiposo, e dopo il peccato di un’eccessiva scorpacciata volle espiarlo attraverso una passeggiata atta a fargli recuperare, sia pur parzialmente, la perduta linea. Stamattina Art si è prefisso di stancarsi, di macinare così tanti chilometri da arrivare, in serata, ad avere dolori alle gambe, fitte ai tendini di Achille, quasi crampi -come succede a quei giocatori che, nei tempi supplementari di un’epica partita, a un certo punto si accasciano e qualcuno, magari anche un avversario particolarmente caratterizzato da fair play, lo aiuta a esorcizzare gli effetti di questa antipatica patologia-. L’uomo ha scientemente programmato di combattere le sirene dell’agio, di alienare dalla propria tentazione ogni comfort, e sposare la fatica che alla lunga premia chi sia disposto a erogarla.
   Non si è spinto fino al progetto di correre, questo sport non fa per lui, non ha mai avuto la passione denominata jogging, sin da ragazzo ha sempre evitato di sudare nella pratica del footing, e ancora oggi si mostra negato in questo tipo di esercizio. Però si è esortato a camminare tanto, più di un tizio che, qualche mese fa, dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, le ha dichiarato di voler percorrere a piedi centinaia di chilometri per dimostrarle, con questo insolito pegno di dedizione, che lui per lei farebbe qualsiasi cosa. Ne hanno parlato diversi giornali, in alcune emittenti televisive alcuni speakers hanno annunciato questa frivola notizia dopo seriose news -dicendo, dopo aver parlato delle seconde e prima di riferire agli spettatori la performance dell’innamorato pazzo, “e adesso cambiamo decisamente argomento”-.
   Arturo intercettò quasi per caso questa strana storia, pensando che quel giovane fosse mezzo matto, e non perché una tale prova d’amore sia stupida, ma per il fatto che, secondo lui, se una ti lascia è sostanzialmente vano ogni tentativo di riallacciare i recisi contatti, dato che sicuramente la Miss ha deciso di rompere con il suo boyfriend, facendolo diventare un suo ex, perché si è invaghita di un altro uomo. Per questo motivo, dunque, nel percepire la breve di cronaca gli venne quasi da ridere, ‘cammina, cammina, illuso, puoi andare pure da Roma a Parigi, quella ormai sta andando a letto con un altro, e tu faresti bene a guardarti intorno per trovare un’altra morosa’, così liquidò quel genuflesso eroismo dei sentimenti, quella dedizione ai bordi della masochistica figuraccia.
   Eppure qualche ora fa, quando si è accinto a uscire di casa, quella prova di eros e Love gli è sovvenuta: si stava annodando la cravatta davanti a uno specchio e gli è balenato il giornalista dell’emittente che, con aria semiseria, annuncia urbi et orbi che un uomo ha ufficialmente dichiarato alla cittadinanza di voler provare a riconquistare la sua ex donna marciando con abnegazione per moltissimi chilometri. Questa volta, nel ricordo che ne ha intessuto, non ha riso affatto, anzi ha quasi ammirato quell’uomo, attribuendogli il fegato di prescindere da automobili, treni, aerei, trattori, biciclette, tram, calessi trainati da veementi cavalli e ogni altra forma di spostamento agevole, per consumare la suola delle proprie scarpe e dimostrare alla fedifraga fata che lui merita un suo ripensamento. Nel formulare questo positivo giudizio, però, ha aggiunto al nocciolo della storia la propria intenzione di battere la durata e la lunghezza di quella camminata. ‘Egregio signor X, sei degno di un battimani per la tua sfacchinata, ma io, oggi, voglio superare la tua prova, anche se per un altro motivo. Io, lo giuro sulla voglia di dimagrire che provo nel mio frustrato petto, oggi percorrerò a piedi una distanza maggiore dell’itinerario calcato da te in quell’occasione, anche se nel mio caso la motivazione non è l’Amore ma solo il bisogno, anzi l’opportunità, di poter domani salire su una bilancia e leggere che il mio peso è quello giusto’: questa è una possibile e articolata traduzione di ciò ch’egli ha pensato nell’estrema sintesi di un’emozione lampo.
   All’inizio del suo viaggio qualche dettaglio della rotta ha rischiato di compromettere la sua volontà di un impegno dimagrante. Transitando davanti a una villetta ha letto su un cartello ‘Attenti alla tigre’. Di primo acchito è sbiancato, è stato morso dalla fifa, ha immaginato un gigantesco felino che esce da una cuccia grande quanto un box di cento metri quadrati, diciamo pure un loft dove puoi organizzare un party di tipo politico, e si mette a scorrazzare nel giardino, per poi, con un balzo degno di essere ritratto in un film di Cinecittà, saltare la recinzione e pararsi innanzi a lui, con tutto quello che ne consegue. Un incubo, terrore allo stato puro, un buon motivo per cadere sotto choc e invocare l’aiuto di un bravo psicanalista. Poi, dopo un brevissimo lasso di tempo, la sua mente ha realizzato che quell’anonimo imbecille ha voluto fare uno scherzo ai concittadini, mettendo la parola ‘tigre’ al posto di ‘cane’ e prendendosi pure la briga di allegare alla scritta l’immagine della fiera. ‘Te possino…’, è stato il commento del rinsavito Art, quando ha esautorato la legittimità di quel cartello e giustamente lo ha reputato una bufala, una balla cosmica, l’espressione di una ‘grandeur’ repressa. Quel megalomane ha dato a intendere che la sua villa sia protetta da una tigre perché nel suo animo alberga una volontà di potenza che gli fa apparire anodina la guardia fatta da un alano, e chissà che darebbe per poter davvero esibire un mostro dentro la sua residenza e, nell’impossibilità di realizzare questa utopia, si sfoga con quell’avviso, intermedio tra la follia e il ridicolo.
   La componente negativa di questa percezione non ha comunque messo in crisi il connubio fra il concetto di passeggiata e la simpatia di quest’uomo, a cui è sembrato quasi che più ti avvicini al contesto di un itinerario e più tendi a riscontrare cose che non quadrano, aspetti sgradevoli, note stonate, elementi degni di un’aggressiva e arrembante disistima. Ha valutato un pro questa chance di maggiore lucidità. Lui, cioè, ha avuto la sensazione che se guardi qualcosa da lontano, o comunque non da vicino, diventa facile idealizzarla, ingigantirne le luci e non renderti conto delle ombre, come quando fai il turista in un paese esotico, permani entro il suo perimetro per qualche giorno e allorché rientri a casa tua te ne sei fatto un’idea solo positiva e rosea. Mettere la lente di ingrandimento su qualcosa significa non reputare un dogma i suoi pro e setacciarne anche i contro, essere realistico, non regalare all’oggetto della tua osservazione l’acritica tendenza a vedere in esso solo aspetti O.K..
   Quando un cittadino deve andare da un quartiere a un altro, se effettua lo spostamento in auto, o in qualche vettura pubblica, difficilmente può esperire, con veristica tangibilità, tutte le fesserie che lungo quel percorso molti possono aver commesso e composto. Se, invece, prescindi dal funzionamento di qualche macchina, dal lavoro di pneumatici servili, dalla rapidità di un motore che velocizza in maniera generosa i tempi del tragitto, e diventi un viaggiatore volenteroso, che si reca dal punto ‘Partenza’ al punto ‘Arrivo’ mediante l’energia dei suoi piedi, allora vengono a galla tante cose che possono infastidirti, o comunque incontrare qualche tua critica. Uno sterco di cane, che calpesti e dopo devi stare cinque minuti a strofinare la suola su qualche marciapiede, nel tentativo di togliere il più possibile quella cacca dalla scarpa -ma è tutto inutile, tanto la puzza rimane-. Un capannello di persone che stanno parlando di politica e stanno esprimendo idee antitetiche alle tue, e a te girano le … quando ascolti discorsi che ti paiono assurdi. Una buca grande quando un cratere proprio in corrispondenza di strisce pedonali che stai attraversando per sentirti più sicuro, col risultato che un’auto in transito si è bloccata per farti passare su quelle immagini da zebra, ma, tu cadendo parzialmente in quel piccolo burrone, ti buschi una slogatura a una caviglia. Una sala giochi nella quale i tuoi occhi vedono facce da galera, intorno a un tavolo da biliardo, e ti rendi conto che quella zona è popolata anche da ceffi sospetti, che non avresti visto mai se fossi passato da quelle parti dentro una berlina. E tante altre disdicevoli caratteristiche, come appunto un esaltato cartello davanti al cancello di una villa, appartenente a un tuo concittadino il quale, dichiarando di avere in quella residenza nientepopodimeno che una tigre, tradisce tutta la nevrotica mania di grandezza che contrassegna la sua personalità.
   Arturo ha imbastito questo ragionamento per sommi capi, senza scendere nei dettagli. Possiamo dire che, preso il la da quella scherzosa comunicazione, gli è venuto spontaneo divagare e fare queste considerazioni, anche se solo per decine di secondi. Dopo un minuto circa è calato il sipario sia su queste incipienti riflessioni -nella sua testa i suddetti concetti si sono articolati in maniera assai superficiale ed ellittica- sia sul suo fastidio per essere stato buggerato da quel cane gabellato per grosso felino. Ha proseguito la sua stoica camminata per le vie di Roma, non ha abdicato al proposito di fare a meno di auto e bus.
   La velocità dei suoi passi è mutata a seconda delle circostanze, l’uomo ha oscillato fra accelerazioni sprint e movimenti quieti, lemme lemme. Talvolta ha attraversato la strada quasi di corsa, talaltra ha dato l’impressione di avere in qualche tasca la zavorra che un tempo si poteva osservare su buffe e ingombranti mongolfiere. In certe occasioni la sua andatura appariva una sorta di spot della fretta. In altre, invece, ha frenato come se, dopo aver compiuto in una banca una rapina -a volto coperto da un passamontagna-, allontanandosi dall’istituto di credito si prefiggesse di ostentare calma, per non dare a intendere alle forze dell’ordine, sguinzagliate alla caccia del colpevole, che il reo in oggetto fosse proprio lui -se uno va piano dimostra di non avere nulla da nascondere, mentre se fugge, come un tarantolato aspirante a un record di velocità, allora viene spontaneo pensare che il velocipede sia responsabile di qualche misfatto-.
   Il signor Piuro, insomma, non ha mantenuto -sull’ideale tachimetro che nella sua mente registra a quanti chilometri all’ora vadano le sue gambe- una velocità costante, e a qualcuno questa incoerenza è parsa sintomatica di una certa schizofrenia, anche se altri l’hanno giudicata come un segno di sostanziale libertà. Nelle sue intenzioni questa irregolarità ritmica è stata solo un caso, egli decidendo di procedere al ralenti o di emulare la sveltezza di una bicicletta senza nessun motivo ben preciso a monte di questa alternanza. Deliberava la frequenza dei suoi passi a seconda dello stile che di volta in volta talentava al suo istinto.
   Vietata, dunque, qualsiasi dietrologia atta a complicare l’interpretazione del suo comportamento: quest’uomo è meno complesso di quanto vorrebbero far credere certi scienziati, decide una condotta invece che un’altra senza chissà quale motivazione alle spalle di una tale scelta. Burattino pilotato dal caso, soggetto istintivo che si abbandona al capriccioso gioco dei suoi umori quando in pubblico appare un po’ volubile, egli esula talvolta dall’identità di un atteggiamento sempre uguale, contrario alla monotonia solo perché così gli va di fare. Tant’è che se gli chiedi, in uno di questi periodi di incostanza, come mai ora vada come una Cinquecento ora come una Ferrari, lui probabilmente ti risponde: “Boh!”.
   Nell’economia morale di quest’uomo, non sempre all’altezza di compiti eccelsi, oggi la tenacia ha vinto. Con notevole spirito di sacrificio, in mezzo a slanci di epica cocciutaggine, refrattario a tentazioni di efficiente pigrizia -qual è, ad esempio, l’allettante proposito di spostarsi in città su mezzi di trasporto che si avvalgono della ruota, straordinaria scoperta nell’evoluzione della Storia-, il cittadino ha continuato la sua defatigante maratona, un passo dopo l’altro, marsc’!, avanti tutta. E così, dopo 105 minuti, si è ritrovato a diversi chilometri di distanza dalla sua abitazione, ancora lungi dall’indirizzo a cui è diretto, ma più o meno alla metà della sua impresa.
   Adesso succede una svolta: il suo sguardo è calamitato da un bar strano, non perché in esso servano un espresso proveniente da Marte, o perché dietro la cassa lavori un robot o il bancone sia in oro massiccio. Il locale, quanto alle caratteristiche dell’arredo o allo stile in cui opera il personale, è fatto come milioni di altri ‘colleghi’. La sua peculiarità è un’altra: davanti all’entrata splendono strani e affascinanti fiori. Il signor Piuro, infatti, è giunto (senza volerlo) davanti alla caffetteria di Ernesto, adornata di Abutilon -il nome ufficiale del locale è ‘Re Taekwondo’: la prima parte è il cognome del titolare, che, dopo molti tentennamenti, dovuti ad amor di privacy, ha voluto renderlo noto alla cittadinanza; la seconda scaturisce dal fatto che l’uomo ha sempre sognato di essere un campione di arti marziali-.
   Stranezza nella stranezza: questa vegetazione lega l’attenzione del viandante non tanto all’esercizio commerciale -non lo induce a fare una capatina su quei metri quadrati per qualche consumazione- quanto a un luogo che risulta situato nelle adiacenze. Arturo Piuro è attirato dal rutilante fulgore dei fiori, e nel guardarli a lungo vede con la coda dell’occhio l’ingresso della Metro, e una parte della sua personalità finisce con il decidere di proseguire il suo itinerario attraverso questo mezzo pubblico.
   Una specie di ‘clinamen’ che stravolge i suoi piani. Quell’addobbo naturalistico cambia il suo odierno destino non perché lo spinga ad acquistare e bere un succo di frutta, o a trangugiare un cornetto alla marmellata, o a dissetarsi con una bottiglietta di acqua minerale da mezzo litro. Quella pianta, lì posta dal proprietario nell’auspicio di trasformare passanti in clienti, in questo caso, nella misura in cui si fa notare da questo romano, lo reindirizza all’entrata della Metropolitana, interrompendo la sua propensione ad arrivare nel luogo dov’è diretto senza fare assegnamento su alcun veicolo. Accorgendosi di quei gradini, che portano a vagoni che spiccano per il loro potere di condurti a destinazione in men che non si dica, Art non resiste all’uzzolo di sbrigarsi, pensa che possa bastare, come sport amatoriale, l’aver camminato già per diversi chilometri. Massì, si dice, vale già tanto la scarpinata che ho fatto fin qui, ora prendo la linea A e nel giro di qualche minuto sono vicino allo studio dove devo incontrare il commercialista.
   Se Ernesto fosse al corrente di questo processo forse si inquieterebbe e, con rassegnata polemica, direbbe (a qualche amico) che vuole chiedere una percentuale sugli utili all’azienda che in città gestisce il trasporto pubblico sotterraneo. Ma come!, lui si scervella per trovare un’attrattiva migliore di un acchiappino, grida ‘eureka!’ grazie all’implicito suggerimento datogli da alcune percezioni di una passeggiata domenicale, fa sistemare l’Abutilon davanti al suo tempio di arti marziali e birre e aperitivi e tazzine di espressi, e quella pianta fa il gioco della Metro? Non poteva prevedere che il gioiello vegetale potesse fungere da argano atto a trainare le traiettorie dei passanti verso la stazione e non verso il suo bancone. È chiaro che, sia pur in una piccola misura, anche gli spazi interni del ‘Re Taekwondo’ vengono comunque valorizzati da quell’attrazione floreale nella mente di Arturo. Nondimeno il primo effetto dei petali in quest’uomo è l’esortazione a imboccare la ‘cover’ della ‘M’.

Walter Galasso