VENEZIA, MICHELANGELO FOUNDATION, HOMO FABER:  “OCTOPUS”,  POLPO ‘GULP’   [Comune:  Venezia]

VENEZIA, MICHELANGELO FOUNDATION, HOMO FABER:  “OCTOPUS”,  POLPO ‘GULP’   [Comune:  Venezia]

VENEZIA, MICHELANGELO FOUNDATION, HOMO FABER:  “OCTOPUS”,  POLPO ‘GULP’   [Comune:  Venezia]

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DI WALTER GALASSO

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   In quel di Venezia la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, nel perorare la nobile Mission di valorizzare i mestieri d’arte, vola alto, aquila di cultura, elevando a stella polare un gigante di tutti i tempi, “il grande Michelangelo” -cito dal “Chi siamo” del sito-, che “ha incarnato l’essenza della creatività”. Il Paradigma rifulge su;  nella sua magistrale orbita lo ammira chi gli si ispira, non potendone emulare l’eterna grandezza ma condividendone l’amore per l’arte.
   Una iniziativa in cui la Fondazione cerca particolarmente allievi del Genio è “Homo faber”, quest’anno giunta alla sua terza edizione, denominata “The Journey of Life”. Ha preso l’abbrivo l’1 settembre e celebrerà il suo ‘The End’ alla fine del mese. Fiore all’occhiello della manifestazione è forse l’arrivo, da ogni parte del mondo, di oggetti peregrini, manufatti artigianali che siano caratterizzati da squisita originalità. In attesa che la corrente edizione si svolga appieno, nella certezza che ogni opera costituirà un apogeo di classe ed estro -tutte vincitrici, dall’alfa all’omega-, voglio in questa sede magnificare un gioiello di una precedente annata, “OCTOPUS”, cioè POLPO, dell’artista giapponese Masayo Fukuda.

“OCTOPUS” – Masayo Fukuda

   Uno spettacolare show nell’ambito del kirie, l’arte di costruire mirabilia ritagliando carta.

   Fra i suoi tanti pregi conta la capacità di rendere bene l’idea di un animale suggestivo, intelligente e bello, simbolico e poetico. Ringraziando l’artista per questo squisito spunto, anche in suo onore saluto con emozione “il ballerino del mare”, come lo ha definito lo scrittore Ramón Gómez de la Serna. La simbologia legata all’Octopus è imperniata su un fertile eclettismo di facoltà. Sovente associato, nella letteratura greca, a una delle Oceanine, Metis, prole di Oceano e Teti, esso è icona di saggezza e, più in genere, alto quoziente intellettuale. È risaputo che il polpo, con cinquecento milioni di neuroni nel corpo, si produce in spettacolari performances di QI, come il riconoscimento di una persona o prodezze di problem solving -per esempio evadere da una ‘galera’ in cui qualche uomo lo abbia imprigionato o aprire un barattolo o una bottiglia rimuovendone un tappo-. Prove di forza che qualcuno, non ferrato nell’argomento, o forse esperto solo nel mangiare questi piccoli geni, può ignorare, mentre è universalmente nota, direi evidente, la sua facoltà mimetica: basta guardarlo in azione. Addirittura strabiliante che il fatto che questo essere possa sognare, e che nell’attività onirica il suo colore muti, come dimostra un video che allego a questa pubblicazione.

   Il mollusco sogna, cangiante come un camaleonte, e fa sognare, con il suo stile unico, magnetico.
   Dissento dalla poesia che gli ha dedicato il letterato Matsuo Basho, connazionale di Masayo Fukuda, salvo che nell’associare una piovra al sogno. Non mi va di insistere sull’indole effimera di un dream, né, a maggior ragione, di rinchiudere questo atleta, con tanto fosforo nel cervello e corrusco fascino nei movimenti, in un vaso sul fondale del mare -“Un polpo nel vaso in fondo al mare: il sogno è effimero, sotto la luna d’estate”-.  Un polpo, subacqueo arlecchino, è per me un sornione esploratore del pelago. Nel suo fenomenologico tourbillon di tonalità cromatiche nuota con discreta souplesse. Tanta circospezione nella mente che dirige l’orchestra di quei corali tentacoli.
   Indugia, vuole saperne di più quando aderisce a una superficie, si sposta con grazia ed è protetto da un equoreo alone di mistero rebussistico. Questo originalissimo animale, che meraviglia, gulp!, non è un tipo, non si fa incasellare in una ben precisa categoria, perché mentre esplora, e dubita, e vuole imparare, è un cuore, nessuna becera chiarezza e un milione di possibilità. Tu lo contempli, nel suo girovagare negli abissi o in un acquario, e ti chiedi dove vada a parare, cosa frulli nella sua voglia, quasi morbosa, di lenta precisione. E come faccia, con tutta la giostra di cromatiche sfumature che porta seco, a rimanere modesto, con quegli occhi tanto vispi quanto umili.
   Il cartaceo esemplare costruito con demiurgica sapienza dall’estro nipponico dell’artista, chicca neorealistica e surrealista al tempo stesso, esprime icasticamente, dell’intera categoria a cui appartiene, la docile e savia furbizia, la bellezza che non sprezza la sua antitesi, la tentacolare libertà del suo nuoto, simile alle rare volte in cui un astronauta, uscito da una navicella per un’eccezionale gita nell’oscurità, stellata, dello Spazio, è entrato nella Storia con i suoi prudenti movimenti nella sua Extravehicular Mobility Unit.
   Il polpo di ‘Homo faber’, che sembra con un eginetico sorriso stampato negli occhi, e con un mezzo cuore sull’encefalo, e alcuni tentacoli che finiscono con una virgola anarchica, sprizza curiosità da tutte le ventose ed è dritto come un vincitore. Ma non aggredisce e non si mette in mostra. È pronto a sognare, dopo aver lavorato nello svago dell’avventura, e a far sognare. Masayo Fukuda, realizzando in bianco e nero un essere che eccelle nella policromia della sua superficie, forse ne ha voluto evidenziare l’oceanica umiltà.

Walter Galasso