“IL FIUME”,  DI PABLO NERUDA,  E IL  ‘FILOSOFO’   SALTO ÁNGEL

“IL FIUME”,  DI PABLO NERUDA,  E IL  ‘FILOSOFO’   SALTO ÁNGEL

“IL FIUME”,  DI PABLO NERUDA,  E IL  ‘FILOSOFO’   SALTO ÁNGEL

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COVER

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Angel Falls, ca. 1 km, la cascata più alta del mondo:  video mozzafiato,  by drone  –  doveviaggi – 17 ago 2021

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IL FIUME  –  PABLO NERUDA

Io arrivai a Firenze. Era
notte. Tremai ascoltando
quasi addormentato quel che il dolce fiume
mi narrava. Io non so
quel che dicono i quadri e i libri
(non tutti i quadri né tutti i libri,
solo alcuni),
ma so ciò che dicono
tutti i fiumi.
Hanno la mia stessa lingua.
Nelle terre selvagge
l’Orinoco mi parla
e capisco, capisco
storie che non posso ripetere.
Ci sono segreti miei
che il fiume si è portato,
e quel che mi chiese lo sto facendo
a poco a poco sulla terra.
Riconobbi nella voce dell’Arno allora,
vecchie parole che cercavano la mia bocca,
come colui che mai conobbe il miele
e sente che riconosce la sua delizia.
Così ascoltai le voci
del fiume di Firenze,
come se prima d’essere mi avessero detto
ciò che ora ascoltavo:
sogni e passi che mi univano
alla voce del fiume,
esseri in movimento,
colpi di luce nella storia,
terzine accese come lampade.
Il pane e il sangue cantavano
con la voce notturna dell’acqua.

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DI WALTER GALASSO

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   Pregevole iniziativa culturale l’installazione “FLOW. La Fonte che dà spettacolo”, location la suggestiva Fonte di Mompiano, gioiello di Brescia. Un altro merito della Leonessa d’Italia, lusinghiero appellativo dato alla bella città  -per l’eroismo in una celebre rivolta contro l’oppressione austriaca-  prima da Aleardo Aleardi, in “Canti Patrii”, e poi da Giosuè Carducci, nella poesia “Alla Vittoria”. Le ‘Dieci giornate di Brescia’, uno scontro, versus le forze Asburgiche, non coronato da vittoria ma comunque ricco di onore e coraggio in un moto di gagliarda emancipazione, costituiscono un’indelebile pagina nella Storia d’Italia. Non meno rilevanti, nell’atmosfera globale di questo Comune, i pregi culturali, come dimostra l’evento in oggetto.
   Bellissimo il teatro materiale dell’opera, una Fonte strettamente legata alla città -in un connubio non solo economico e utilitaristico- già nell’antica Roma. Al timone della sua organizzazione vi è un Teatro in senso stretto, denominato ‘Idra’, in sinergico connubio con la Fondazione Banco dell’Energia, che anche in questo progetto persegue lodevolmente una nobile Mission di solidarietà, raccogliendo fondi a beneficio di soggetti in disagio finanziario.
   In un tale frame basterebbe, per meritare lodi, anche un contenuto semplice:  qui la sostanza culturale è addirittura alta, ergo bisogna a maggior ragione dare un gran risalto a “FLOW”. Con il prezioso intervento del musicista Paolo Fresu, big del pianeta jazz, in un eterogeneo mix di artistici watt, note e voce narrante, la manifestazione si impernia, a livello filosofico, su un elevato e fondamentale concetto, basilare in ogni Weltanschauung lucida, cioè la similitudine tra il fluire ontologico della dinamica esistenziale e quello di un fiume. La Vita come un river, su un piano sia metaforico che allegorico, ogni istante pari a una goccia, microcosmici atomi  -l’uno e l’altra-  dell’universale categoria a cui ineriscono. Un irreversibile e diacronico trionfo della continuità. Zero cesure, in un torrentizio scorrimento che è un tourbillon di un senso dalle infinite sfaccettature.
   Così nel Tempo come nel Tevere la possibilità di dividere la fluida unità in una triade di essenziali parti è solo nella mente di chi ne studi l’assoluto accadimento, perché nella concretezza della realtà tutto scorre e non sono possibili né un fermo immagine né la cognitiva comodità di estrapolare dalle convenzioni e convinzioni di un vocabolario termini come ‘ieri’, ‘oggi’ e ‘domani’. Un corso d’acqua diventa, in questa ottica illuminata e illuminante, icona d’una regola ontologica. Esso docet, seduce ogni sguardo -che non può non esserne ‘encantado’-, equivale a un video rappresentativo della corsa -dionisiaca nella voluttà, apollinea nel classicismo empirico della Natura- delle azioni. Paradigma di una norma, l’immagine di H2O in sportiva cavalcata verso una meta non può non essere pure un’implicita Voce che guida. Il liquido viaggio parla all’estasiato spettatore, insuffla discretamente in lui savie intuizioni, lo esorta a imitarne il fertile e inarrestabile slancio in avanti. Si è mai visto un fiume che si blocchi in un’overdose d’incertezza? Domanda retorica. E allora gli esseri viventi devono cogliere l’attimo fuggente, tuffarsi precipitevolissimevolmente nell’ondivago e infinito mare magnum delle possibilità, perché il loro pensiero perde colpi in un buffo masochismo se riflette troppo e non assapora l’inebriante gusto d’una fertile, edonistica velocità.
   Proprio pensando a questa valenza ‘didattica’, sintetizzata graficamente in quei fili che vivacizzano, con i loro fantasiosi meandri, le distese di terra sulle mappe, e partendo dal mio romantico e affettuoso rapporto con il meraviglioso Biondo Tevere, mi è sovvenuta, nel mio focus sul bresciano “Flow”, un’affascinante poesia di Pablo Neruda, “Il fiume”. Un’opera di alto pregio, una perla che ha corso il rischio di non essere conosciuta dal mondo.
   Il poeta, per Gabriel García Márquez il più importante del XX secolo, la scrive nel 1951, a Firenze, in uno dei suoi viaggi da esule, coartato ad allontanarsi dalla cara patria per politici costi del suo engagement. Le ideali orecchie della sua mente ascoltano l’Arno, che gli parla come naturalistico autore di una narrazione misteriosa e semplicissima al tempo stesso.
   Le apparenze linguistiche e semantiche non ingannino:  l’uomo è “quasi addormentato”, nel tempo esterno ufficialmente regna la “notte”, ma queste parole, dietro le quinte della loro fenomenologia, sono solo, o addirittura, simboli, aliene da una verosimiglianza che sarebbe meno affascinante rispetto a quel che il futuro Premio Nobel vuole esternare. L’importante viaggiatore, che include nel suo petto sofferenti sentimenti come un interiore e drammatico bagaglio, non ha la tentazione di cadere tra le braccia di Morfeo, e poco bada all’ora segnata dagli orologi. La notte e il sonno di cui sopra sono emblemi della sua inquietudine di ferito esule. Ma…
   Ma corre in suo soccorso il “dolce” fiume della colta Firenze, ricca di Letteratura e di Arte. Un amico che gli narra consolatorio senso. La dinamica acqua, che ‘parla’ nella misura in cui appare, può compiere questa peregrina performance, una specie di miracolo laico nella filosofia del linguaggio, perché emana la proiezione d’una Norma universale. Un nesso che si può definire un carino postulato d’una logica solenne. Quel flusso, lusso squisito dell’ambiente, è una filmica cartolina, in brioso movimento, della quintessenza dell’esistenza. Va avanti, portando seco un passato di nome ‘fonte’, e sotto ogni ponte si diverte in una celerità che non è mai alienata fretta. Riesce a contenere in ogni suo presente tutti i suoi ieri, e a dedicarsi all’avvenire senza mai tradire l’attualità: una poliedrica e favolosa forza che per gli uomini tende a essere un sogno non meno utopico della voglia di volare senza ali, però lui, con il suo cordiale esempio, gli insegna il trucco per colmare, nel gioco della Poesia, il gap. Su questo sostrato, valido erga omnes, per tutti i suoi spettatori e aficionados, s’innesta un personalizzato fascio di messaggi per ognuno di loro.
   Neruda accoglie in sé, nel recepire la narrazione dell’Arno, i significati riservati -doni ad hoc-  al suo cuore. E lui ringrazia, a modo suo, sostenendo che, non tutti i libri e i quadri essendo capaci di comunicare, tutti i fiumi invece proferiscono parole pregnanti. Gli rivelano storie, chiarissime, che lui poi non sa ripetere -ah, quant’è bella l’umiltà dei Grandi!-, prendono al volo, e portano chissà dove, suoi delicati segreti, arrivano finanche a demandargli, con il musicale gorgoglio della loro possanza senza orgoglio, compiti che poi il suo lirico Io ha da assolvere a puntate, perché il bello della vita è anche la gradualità dell’etica.
   La voce di quel fluido modello disvela propaggini di potenziale felicità, come la gioia, per un ambientalista a piedi, di accarezzare foglie di un albero altissimo senza vedere le radici, senza poter toccare l’apice che, tendenzialmente, amoreggia lassù con il Nord del cielo. In questo senso Pablo Neruda “mai conobbe il miele” eppur “sente che riconosce la sua delizia”, versi stupendi e sinceri. Che emozione e che commozione, per chi, come me, è un ammiratore del Sommo Poeta, leggere, dopo “colpi di luce nella storia”, “terzine accese come lampade”, elegante allusione alla Grandezza di Dante.
   Il caleidoscopico brulichio di riflessi sull’ondivago pelo dell’acqua di un fiume è anche pluralità e sempiterna antitesi alla stasi, “esseri in movimento”, a prescindere dalla lunghezza e dalla portata del corso. Reyes Basoalto Neruda vuole dire anche questo, oltre a voler fare e dare un bel regalo all’Arno, quando cita l’Orinoco. Ogni fiume, breve o lunghissimo, è comunque protagonista di questa raffinata poesia, perché installazioni come “Flow” lumeggiano un valore insito nel fluire in quanto tale.
   Può succedere, certo, che il teoretico denominatore comune appaia talvolta in modo più perspicuo. Io non ho dubbi:  l’icastica e iconica simbologia di un river ha la sua più bella e appariscente epifania proprio in una cascata legata, di passaggio in passaggio, all’Orinoco:  Salto Ángel,  in inglese “Angel Falls”, quasi un chilometro di verticale e spettacolare precipitazione di bellezza. Un tripudio di energia, voglia di…, espansione, effervescente continuità. Se il lene mormorio d’un timido rio comunque comunica come un discreto oratore, Salto Ángel, sì suo collega, parla come un grande filosofo e letterato.

Walter Galasso