UN FANCIULLINO PASCOLIANO  IN UN  ‘INTERSTIZIO’  DI MEZZO CHILOMETRO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  12]

UN FANCIULLINO PASCOLIANO  IN UN  ‘INTERSTIZIO’  DI MEZZO CHILOMETRO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  12]

UN FANCIULLINO PASCOLIANO  IN UN  ‘INTERSTIZIO’  DI MEZZO CHILOMETRO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  12]

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COVER

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DI WALTER GALASSO

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   Il personaggio si dirige verso l’entrata della Metropolitana come un cervello, nell’iniziare un discorso che possa essere confutato da qualche destinatario, faccia leva su una citazione altisonante per mettersi al riparo da obiezioni acide. Il servizio garantito da quei vagoni, cioè, sa di razionalità granitica, somiglia a un ideale bacio dato dalla logica a un progetto di spostamento dentro la propria città. L’utente che si avvalga di questo parente del treno, delle sue corse a sud della superficie, è attraversato di sfuggita dalla sensazione di essere sagace nella decisione di usufruire del veicolo primatista di celerità, rapido per antonomasia, capace di bypassare tutti i nodi del traffico sfrecciando senza ostacoli sotto i suoi intasamenti.
   Lo stesso strisciante senso di colpa che sta serpeggiando in quest’uomo dopo la sua rinunzia all’attività sportiva -egli, infatti, scendendo i gradini si sente come un disertore, uno che ha voltato le spalle a un dovere- viene attutito dalla suddetta soddisfazione tecnologica. È vero, pensa una porzione della sua psiche, stamattina mi ero prefisso di effettuare una passeggiata di molti chilometri per ritornare in forma grazie a ginnastica, e adesso sono fedifrago rispetto a tale promessa, però le derogo non per pusillanime e neghittosa negligenza, ma per la virtuosa volontà di ricorrere a una moderna modalità di trasporto pubblico. Dunque, caro me stesso, ti assolvo da questo tuo peccato, sei prosciolto da ogni accusa perché il fatto non sussiste, o meglio: sussiste, ma insieme a una giustificazione più rilevante della sua negatività.
   Dopo aver tacitato i suoi scrupoli con questi mozziconi di pensieri, l’uomo può immergersi nel variegato dedalo di cui consta la linea della Metro. Come al solito vi è, in corrispondenza di un varco, un frenetico viavai di utenti, chi sale e chi scende, chi parte e chi arriva, decine centinaia e migliaia di passeggeri, ognuno tendenzialmente indifferente a tutti gli altri. Un gran caos a norma di legge, non è cosa da poco la capacità di nuotare con relax nel suo mare magnum, magari recitando, come mantra musicale, “No stress”, il titolo d’una canzone di Davide Petrella e Stefano Tognini. Arturo Piuro tendenzialmente è avvezzo a un tale caravanserraglio, e oggi il suo Io, che ne è disturbato solo un po’, si limita, nella sua voglia di un escapismo rilassante, a immaginare, per un secondo e mezzo, di essere da solo, zero persone intorno. E in questa fantasiosa sottrazione  -l’aritmetica non c’entra-  s’accorge, con stupore rocambolesco, che la M è davvero affascinante -che strano, mai prima d’ora ne aveva notato così chiaramente la bellezza-, e la psiche, come un immateriale naso, annusa il profumo del suo senso più profondo. Paradossalmente anche la gente in meno ci guadagna nell’assenza, perché Art, simulando -per assurdo- di non vederla sente, come mai prima, quant’è bello essere tanti, insieme. Il babelico baccano è diventato coesistenziale calore di sorellanza e fratellanza, e se in questa stazione ci fosse solo un uomo egli si sentirebbe, sebbene pieno di comodità con la minuscola, in un terribile Vuoto con la maiuscola.
   Ma il Fanciullino pascoliano, che è in lui come uno scherzo che vuol durare poco per essere definito “bello” dalla società, ritorna adulto in un amen. Il maturo viaggiatore riprende a tollerare, con gagliarda repressione d’una scocciatura latente, il prossimo che, se non fa attenzione, può pestargli un piede nella calca.
   Se in mezzo a questa massa, più giù che a bassa quota, vi fosse qualcuno proveniente da qualche paesello di novecentosettantaquattro abitanti, e nessuna ferrovia, resterebbe di stucco di fronte a questo caleidoscopio, interpretandolo come una via di mezzo tra la follia e l’elettricità morale di una megalopoli. Il provinciale si guarderebbe intorno, basito, a bocca aperta: la sua energia progettuale resterebbe quasi ipnotizzata dalla ressa urbana, e magari finirebbe con il differire l’accesso a uno dei convogli per restare per qualche minuto a contemplare le caratteristiche di un paesaggio così diverso dal suo ambiente paesano.
   Oggi, però, evidentemente non c’è nessun viaggiatore sempliciotto, intorno ad Arturo brulica una moltitudine di cittadini up-to-date, moderni, assuefatti ai ritmi e ai riti della grande città, e dunque nessuno sta indugiando per mirare con meraviglia questa dimensione relativamente nascosta, simile a un box nel suo essere sotto il livello zero ma, a differenza dei garage, contrassegnata da una vivacità che non ha nulla da invidiare a quella che si srotola sulle strade.
   L’utente ha da percorrere un certo tragitto prima di poter entrare in una vettura. La breve scalinata di cui consta l’ingresso, infatti, è solo l’iniziale fase dell’itinerario verso la banchina sulla quale si aspettano le carrozze. Bisogna attraversare, una volta discesi tutti i gradini, un corridoio alquanto lungo -non meno di quattrocento metri-, poi vi è una sfilza di tornelli, davanti ai quali ognuno estrae dal proprio bagaglio il ticket atto a farne aprire uno, e dopo aver valicato siffatta frontiera (in parte metallica e in parte di plastica), ecco altri steps. Alcuni sono fissi, classicamente rigidi, come quelli che si usavano anche secoli or sono, altri, invece, sono i denti di una scala mobile, che, senza stancarsi mai, scorre indefessa nelle ore comprese fra l’apertura e la chiusura della Metro. Il nutrito gruppo di viaggiatori si divide dicotomicamente:  c’è chi sposa il criterio della comodità e si avvale dell’obliquo tapis roulant, mentre un altro sottoinsieme, minoritario ma comunque cospicuo, opta per la discesa scevra di ausili tecnologici, forse pensando di sbrigarsi prima senza ritrovarsi imprigionato nella fila che si viene puntualmente a formare sugli spazi a trazione elettrica. Solo dopo questo abbinamento di stairs ed escalators si addiviene all’area limitrofa al passaggio dei treni.
   Il signor Piuro, dunque, prima di diventare a tutti gli effetti un odierno abitante della Metro capitolina deve percorrere questo mezzo chilometro intermedio. Lo sa, la sua mente non è affetta in modo patologico da amnesie e oblii, e sulla base di questa conoscenza pregressa si accinge, con collaudata pazienza, a macinare tutto il tragitto. Esso è una sorta di ‘interstizio’, esteso all’incirca cinquecento metri, fra l’entrance e l’effettivo passaggio dei veicoli.

Walter Galasso