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DI WALTER GALASSO
Shub Snub è una scimmia che, estrosa sin da quando ha iniziato a parlare, suole turlupinare qualche interlocutore a cui sia facile darla a bere, spiegando in modo farlocco cosa significhi il primo dei suoi due nomi. Lo gabella per diminutivo del sanscrito “Shubh”, che semanticamente implica l’idea di bontà -bh = essere; shu = bene-, tant’è che sovente, soprattutto in India, è dato a un bebè nell’auspicio che sia foriero d’una felice sorte. Nell’ambito della letteratura indiana, in particolar modo in categorie legate alla dimensione del sacro, questo nome è stato finanche attribuito a Lakshmi, dea della fortuna. Insomma, profuma di valore, è alto, dotto, e il protagonista di questo racconto, furbo più del collega nella favola africana “La scimmia e il coccodrillo”, si imbuca nella sua positività, e se ne vanta. A Shub, quando egli dà info sul principale dato della sua carta d’identità, conviene perorare questa tesi: il peloso furbacchione bluffa alla grande.
La verità è ben diversa. ‘Shub’ è un nome proprio del tutto casuale, forse datogli per creare un’armonia nella somiglianza con il secondo, che invece ha, eccome, un preciso significato, essendo il diminutivo di un prosaico e simpatico aggettivo: Snubby, cioè ‘con il naso all’insù’, etichetta scherzosamente affibbiata dagli scienziati a ogni rinopiteco di Stryker, in virtù del suo stranissimo naso, con le froge rivolte verso Nord. L’epiteto, che i luminari hanno ovviamente utilizzato in stretto riferimento all’apparenza fenomenologica di questa rarissima scimmia, diventa ancor meno lusinghiero nella sua più vasta accezione, ossia l’avere la puzza sotto il naso, l’essere snob, con antipatia e presunzione.
Shub Snub tende a presentarsi con il primo nome e, quando possibile, a raccontare la fanfaluca di cui sopra. Ci sta, nulla di grave, ognuno, da un moscerino a una tigre, da un baobab a un essere umano, tira acqua al proprio mulino: la sua millanteria è una pinzillacchera, più che altro un’innocua marachella culturale, un vezzo non sintomatico di vizio, piuttosto speculare d’un divertente sfizio. Questo animale in genere è un simpaticone, ama giocare, non prendersi troppo sul serio.
Nella sua esistenza ha avuto un atteggiamento diverso solo per un anno, a seguito d’un cocente choc.
Egli era splendidamente -l’avverbio ‘morbosamente’ potrebbe ingannare qualcuno- legato a Rafiki -omonimo dello sciamano delle Terre del Branco, il famoso mandrillo ne “Il Re Leone”-, il suo unico fratello. Una bertuccia molto sensibile, un poeta, anche se mai assurto a fulgida gloria letteraria. Non nel gotha del parnaso, ma nel suo piccolo era in gamba, un artista, e Shub, molto vicino a lui sentimentalmente, ne era anche un fan a livello culturale, ammirando tanto la sua delicatezza d’animo.
Perché era? La spiegazione duole. Un giorno -purtroppo non possiamo dirlo ‘bel’- i due fratelli, residenti in un paesino nel Myanmar, decidono di dedicarsi a una bella passeggiata in campagna, in mezzo alla Natura. Shub Snub vuole fare sport e, se la fortuna lo aiuti, fregare a qualche contadino indigeno una squisita arancia, frutto di cui è ghiotto. L’altro, come al solito, anela ad assaporare le immagini di capolavori naturalistici, come i petali di un fiore in un’aiuola arlecchina. Tutti e due, soprattutto, vogliono stare insieme anche così, condividere una promenade en plein air. Per un’oretta tutto o.k., le scimmie, ognuna a modo proprio, si svagano, respirano un ossigeno che pare aulente, ricaricano, in senso lato, le batterie del proprio slancio morale. A un certo punto inizia a piovere. Un rovescio notevole, tanta acqua viaggia da su a giù. Shub istintivamente corre sotto un albero, dando per scontato che il suo caro brother lo seguirà. E invece Rafiki, il solito poeta, resta dov’è, incantato dallo spettacolo delle gocce che dalla volta celeste si precipitano verso sud. Alza gli occhi, contempla, talvolta in controluce, quella discesa, che lo ipnotizza -ha voglia Shub a gridare “Che fai lì, testone, non ti bagnare, riparati!”: parole al vento, il fratello se ne frega-. Il poeta, permeato di pathos, mentre fissa le gocce comincia a progettare di scrivere una poesia, anche se non sa ancora che titolo darle. L’animale, però, non fa i conti con un inconveniente: la forma del suo naso. Quelle narici (all’insù) che, a parte gli scienziati, inducono pure i Law Waw a chiamare queste scimmie ‘myuk na toc’, mentre per i Lisu esse sono ‘mey nwoah’. Espressioni che vogliono dire la stessissima -usiamo questo termine in onore del Pirandello di “Uno, nessuno e centomila”- cosa: quel naso così curioso. Mentre Rafiki guarda in alto, affascinato dallo show, nelle sue narici entra ovviamente acqua, e dopo un po’ il lirico rinopiteco inizia a starnutire. Etcì 1, etcì 2, fino allo starnuto numero nove. Purtroppo nei paraggi, acquattato in un ginepraio di flora, c’è un cacciatore, che sente questi starnuti e ne localizza la fonte, cioè la tenera bestia. Proprio mentre Rafiki intuisce un buon inizio per la poesia in fieri -“Oggi il pio cielo permette alla pioggia, già scrosciante, di viaggiare verso il mio animo”-, l’assassino prende la mira, e spara. Anche un’infernale pallottola, oltre alla pura acqua, viaggia nella sua direzione: non verso ma versus, e distrugge la vita di questa nobile creatura. Shub Snub, alla vista del fratello disteso per terra, si dispera. Corre verso di lui, gridando -per il dolore- così tanto che il killer si spaventa e se ne scappa. Straziante la scena. L’animale singhiozza per ore, e succede un fatto strano: la pioggia continua a cadere, dappertutto ma non sui due fratelli. Il cielo vuole così dedicare un eccezionale rispetto a quel sentimento così struggente.
Dopo questo trauma il fratello sopravvissuto è stato male per più di dodici mesi. Poi, anche grazie all’aiuto di molti intellettuali del WWF, pian pianino s’è ripreso, continuando a custodire gelosamente in sé il ricordo del suo amato poeta.
Più lento il ritorno, nel suo spirito d’iniziativa, della voglia di passeggiare per i campi. Oggi, se tutto va bene, farà, per la prima volta da quel tragico giorno, una passeggiata. Si prefigge di uscire quando avrà ultimato un banchetto con i fiocchi: una meravigliosa arancia. Che leccornia! La sta mangiando con uno slancio spettacolare. Gnam gnam, slurp, e riesce pure a coniugare la fabbrica dell’appetito con la capacità, mentre degusta, di guardarsi ogni tanto intorno, di tenere sotto controllo la situazione, e soprattutto di studiare un buon metodo per evitare, se puta caso dovesse di nuovo ritrovarsi sotto un alluvione, d’imbarcare acqua e poi starnutire. Si accende la lampadina d’una buona soluzione mentre il buongustaio divora il penultimo spicchio dell’endocarpo: se eventualmente pioverà lui orienterà la testa verso il basso e la stringerà fra le ginocchia, così tra il naso e il pericolo ci sarà una postura a guisa di diga.
Buona passeggiata, Shub Snub, l’umanità perbene augura, a te e a tutti i tuoi simili, tanta fortuna e prole in abbondanza, perché il pianeta vuole che siate sempre numerosi e felici.
Walter Galasso