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DI WALTER GALASSO
Sacchetti di monnezza buttati, con crassa inciviltà, vicino all’ascensore, in un building nel centro d’una cittadina. Cicche di sigarette in una brutta pianta, e un pacco, sigillato, lasciato da qualche residente vicino al portone. Molti aspetti di questo palazzo lasciano a desiderare, e la signora Cesira, la proprietaria di un appartamento al terzo piano, se ne accorge scendendo le scale a piedi -per smaltire il sovrappeso causato da mangiate pantagrueliche durante le feste natalizie- e borbotta a voce alta. Lei anela alla perfezione di questo edificio, ha più volte asserito, in riunioni condominiali sotto la guida dell’amministratore Peppe Raniero, che ognuno di loro deve sentirsi in dovere di trattare le parti in comune come la propria casa, ottemperando a indefettibili doveri di igiene e di civiltà. Siccome questi suoi appelli sono quasi caduti nel vuoto, e i suoi occhi sono costretti quotidianamente a percepire cose che non vanno, oggi sta per perdere le staffe. Residua in lei una ridottissima dose di pazienza. Si è già fatta un’idea di chi possa essere il colpevole: un uomo che lei odia, Odhiambo, un inquilino di una casa all’ultimo piano.
La cittadina non riesce a minimizzare, con understatement, la gravità di questa situazione anche perché è attanagliata da diverse problematiche nella sua vita privata. Ha divorziato dal marito, un burino titolare di una tabaccheria in outskirts, dopo aver scoperto che ‘sto satiro, sempre pronto a correre dietro alle gonnelle, l’ha ripetutamente tradita con femmine più giovani di lei. Tante avventure e una storia più seria, con una straniera, Urbi, che Cesira, sfogandosi con una cara amica, ha definito “una battona di serie C”. Lo stronzo ha indulto a così tanti adulteri che sulla testa della povera consorte è spuntata una collezione di corna, con grave danno della sua reputazione. Lui, che in queste scappatelle ha sempre cercato di non farsi cogliere in flagranza di amplesso, facendo con somma slealtà un nauseante doppio gioco, quando la coniuge, dopo aver appreso le sue storie adulterine in alcune telefonate anonime, lo ha messo alle strette, in un infuocato redde rationem, ha provato a negare, recitando la parte dello stinco di santo. Poi, ella avendogli più volte detto che un misterioso personaggio in una call le aveva addirittura rivelato il preciso nome di alcune sue amanti, aggiungendo che poteva pure darle fotografie inequivocabili, è capitolato, ha cantato, ha sputato il rospo quasi piangendo. Cesira è stata inflessibile. Zero tolleranza, il suo animo era assolutamente riluttante a un perdono che avrebbe significato, di fatto, una sua figura di merda nel rione. Pur il fedifrago giurando sul proprio onore “non lo farò mai più”, e avendo impetrato, ginocchioni, una seconda possibilità, la signora lo ha mandato a quel paese, dichiarando urbi et orbi -sognando di dare botte da orbi a Urbi- che lui aveva chiuso con lei. Lo ha trascinato nelle aule di Temi e in tribunale, ella assistita da un ottimo principe del foro, ha ottenuto, con la definitiva cessazione giuridica del loro legame, anche il diritto di ricevere dall’ex seicento euro al mese.
Un doppio risultato che però, per certi versi, a posteriori è diventato, nel suo animo, una vittoria di Pirro, nel senso che nella sua nuova condizione s’è sentita in ultima analisi peggio. Per un veemente scatto d’orgoglio ha eretto un permanente diaframma tra sé e quell’uomo, pensando di avergliela fatta pagare, e/ma ben presto ha capito che questa separazione non poteva che farla soffrire, condannandola a un’aspra solitudine dal punto di vista sentimentale, iniettando in lei una struggente nostalgia dei tanti bei momenti trascorsi insieme a quel traditore, prima ch’egli diventasse tale. Ha cominciato a desiderare di riaverlo accanto, sospettando che forse avrebbe dovuto chiudere un occhio, sia pur dandogli un aut aut: se lo fai un’altra volta perderai per l’eternità la possibilità di ricevere ancora amore da me. Quando sono albeggiate in lei queste idee, in un atteggiamento intermedio tra la morale resipiscenza e la teoretica apostasia (dalla sua decisione, tranchant, di non avere mai più a che fare con quel mascalzone) era ormai troppo tardi.
Insomma, prima ha fatto la donna dura, la tipa che non perdona, poi, scoppiata per sempre la loro coppia, s’è sentita come una persona che, godendo con dionisiaca voluttà nel vincere una battaglia, si ritrova, dal ‘The Day After’ del trionfo in poi, peggio di come stesse in antecedenza. La fine del suo matrimonio l’ha cambiata, in peggio.
Ormai da diversi mesi è una schizzata ‘zitella’ sull’orlo d’una crisi di nervi. Cesira s’è buscata diverse nevrosi, per lunghi periodi s’è tappata in casa come un Hikikomori, ha iniziato a soffrire d’insonnia, la sua tonalità emotiva è spesso negativa, e Manuela, una sua cara amica, avendone notato dei preoccupanti sbalzi d’umore, le ha suggerito di lanciare un S.O.S. a qualche psicanalista, consiglio rispedito al cervello mittente, perché la separata signora odia gli strizzacervelli, li reputa bravi solo nel mestiere di fregare conquibus al prossimo.
Talvolta, come antidoto a questa sua nevrastenia, ha ipotizzato qualche hobby costruttivo. Per un paio di settimane ha seguito, in una scuola di danza non molto distante dalla sua residenza, un corso di tip tap, tenuto da un ballerino straniero, Manuel. Risultati? Prossimi allo zero, anzi, per essere precisi, sotto lo zero, perché, oltre a restare depressa per le sue vicissitudini coniugali, s’è innamorata del suo maestro -un vertiginoso coup de foudre-, quello non ha ricambiato la sua passione e la tapina allieva, interpretando questo lancinante due di picche come una conseguenza di un basso livello della sua bellezza, è entrata in paranoia.
A questi guai s’è aggiunto, come motivo di cattivo umore, l’incontro fra sua figlia Beatrice e l’imprenditore Bobo. Bea per anni è stata una libertina ninfomane, squinzia spudorata nell’esercitare il mestiere di cubista in discoteche alla moda, single ma nel senso che, mai impegnandosi in qualche serio e ufficiale fidanzamento, faceva l’amore ogni giorno con uno stallone diverso. Quando s’è imbattuta in Bob -galeotta è stata una partita di basket, match di serie A, nel Palazzetto dello Sport ‘Canestro’-, è caduta ai suoi piedi, in un amore fortissimo, a prima vista. L’esistenza della demoiselle è stata profondamente trasformata da questo incontro, in una coupure che ha lasciato di stucco la stessa Cesira. La ragazza e questo suo idolo superman si sono messi insieme il giorno dopo -il loro primo bacio è durato la bellezza di cinque minuti e ventuno secondi consecutivi-, hanno avuto un rapporto sessuale completo dopo tre giorni -in una suggestiva alcova, una camera d’hotel a picco sul mare-, si sono fidanzati ufficialmente dopo un mese -con una festa da mille e una notte- e i due piccioncini, campioni nel bruciare le tappe, sono convolati a meravigliosi imenei il mese scorso. Dal primo incontro alle nozze è trascorso un periodo inferiore a un anno. Beatrice, divenuta in tutto e per tutto la dolce metà di quel personaggio, è andata a vivere con lui in un altro Comune, Cesira rimanendo da sola.
Abituata da tempo immemorabile a stare sotto lo stesso tetto con la diletta prole, la lady non ha preso bene questa novità, l’allontanamento da sé della sua creatura. Certo, è contenta per la sua felicità, le fa piacere vederla in brodo di giuggiole insieme al suo principe azzurro, però la Bea le manca, urca quanto le manca. E pure inconsciamente odia suo genero, il maschio che se n’è impossessato, assurgendo all’onore di esserne, di fatto, il signore e padrone. Ogni tanto ella dice ai due sposini “Auguri e figli maschi” -ovviamente scherza, per lei il sesso del o della nipote, quando la cicogna lo o la porterà, è un dettaglio secondario, lei comunque sarà felicissima-, però se avesse magici, paranormali poteri, farebbe un pensierino a riavvolgere il nastro, riportare il tempo dell’universo al giorno precedente a quello in cui si è giocata quella maledetta partita e chiedere a uno stregone un prodigio per non fare apparire mai quell’uomo nell’esistenza di Beatrice. Anche perché egli ha una caratteristica che per lei è un Problema con la maiuscola in mezzo al problema -con la minuscola- rappresentato dal fatto che le ha strappato la prole: proviene dall’Africa, come Odhiambo, come Urbi, e lei, razzista in ogni gene, odia un genero nero.
Walter Galasso