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DI WALTER GALASSO
Nel Consiglio presidenziale di transizione, in quel di Haiti, Edgard siede sull’apicale cadreghino. A livello internazionale forse è un carneade, ma nel suo Paese il signor Leblanc Fils è un leader. In patria non si muove foglia che il boss non voglia, all’estero è un mister nessuno, o comunque un peone del Palazzo internazionale. Altri, al suo posto, potrebbe patire tale gloria a metà, frustrato dalla scarsa eco del proprio cognome nel mondo, lui… idem.
Un potere non tre punto zero, bensì simile a un’anatra zoppa, un ruolo che non dia il cinque a Lady Fama, lascia in un uomo normale, qual è lui, fame di altro e di oltre. Il suo Io, vincente sulla sua isola, anela a un bis oltre il perimetro della Repubblica. Sogna di andare in tournée nelle Istituzioni abroad ed essere accolto da sedi sold out. E fra chi non è riuscito a trovare un posto a sedere, cioè migliaia di aficionados ovunque, si scatena una bagarre rispetto alla quale le risse del Far West sono carezze. Tutti pazzi per lui, tanti vogliono entrare di riffa o di raffa dove lui stia per concionare, a costo di seguirne le performances, assai eloquenti, appesi, come Tarzan, a un lampadario. Questo il tipo di successo che la parte più fantasiosa e ambiziosa di Edgard sogna, un giorno sì e l’altro pure. E purtroppo il prometeico, gasato dream resta tale, e a lui brucia.
Cerca di consolarsi pensando che chi non lo apprezza al di fuori della sua Nazione non capisce un ette. Ne dice di ogni quando, in camera caritatis, si sfoga con qualche suo giannizzero, che puntualmente annuisce e gli dà una ragione da vendere e neppure ai saldi -la piaggeria dei leccaculo divampa, in modo trasversale, a ogni latitudine e longitudine-. Questa reazione, però, puzza della morale della favola “La volpa e l’uva”, mutate le cose che è bene mutare. Se tu ti racconti che è un cretino chi non ti celebra sei destinato, dopo qualche secondo di gonfia illusione, a stare ben presto con il morale con i pneumatici a terra. Le cazzate pro orgoglio stanno a zero, hai voglia a crearle à gogo: sono e restano poco saporite, zero il livello delle proteine, sotto lo zero quelle delle vitamine, e alla fine della fiera il pasto di bugie non nutre la vanità.
È bene precisare che Edgard, se non riesce a prendere tale situazione con filosofia, d’altra parte non ne fa una malattia, e nella rima ‘ia – ia’ la partita fra ‘Real Entusiasmo’ e ‘Rischio Depressione’ finisce in parità, anche se non a reti inviolate. In fondo un numero uno a livello nazionale non è certo una tigre di carta solo perché alla sua affermazione manca, come planetaria ciliegia sulla torta, un’apoteosi intercontinentale.
Comunque il suo Io non molla. Si lambicca il cervello per trovare, anche aumm aumm, una mossa del cavallo che lo faccia diventare più famoso di Shakespeare, redige una road map sul da farsi, e sta, in senso lato, ai materassi, ché alla prima occasione utile si batterà come un duro per fare il salto di qualità. Purtroppo la situazione non cambia, ammesso e non concesso che uno come lui possa superare il carisma di un omologo di qualche superpotenza. Edgard ormai, provato e blasé, è quasi rassegnato, e/ma un giorno, chiacchierando con la propria immagine riflessa in uno specchio, dice a questo speculare alter ego “perbacco!, non è il caso che faccia il piagnone, non sarò un Kennedy o un Alessandro Magno, ma magari tutti avessero la mia posizione, che è pur sempre tanta roba”.
Non ha tutti i torti, e infatti gli capita un onore che gli attira l’invidia di molti rosiconi: partecipa, in virtù del suo eminente ruolo sul territorio di Haiti, all’Assemblea generale dell’ONU. Si sente distante anni luce dal potere dei precipui big del Pianeta Terra, però tenere un discorso lassù è comunque un bicchiere mezzo pieno. L’uomo sta imparando una grande verità: chi si accontenta gode. Non è più borderline, sull’orlo dell’infelicità, vive ormai bene in se stesso, tant’è che per il discorso a New York sceglie d’indossare l’abito della festa. Va, impregnato di adrenalina e pensando che, in fondo, rispetto a un operaio è un mandrake.
Peccato, certo, che per mimare il tasso di attenzione che i mass media internazionali gli dedicano si debba avvicinare così tanto un pollice e un indice d’una mano che le due dita quasi si toccano.
Inizia finalmente il suo intervento, i giornalisti gli pongono domande e in questa fase il Presidente, con una sete da cammello, si distrae un attimo. Lui è, a livello caratteriale, un tipo spiccio, spartano, senza fronzoli, giammai fru fru, ergo, in questo calo di affettazione diplomatica, si abbandona al suo istinto e beve da una grande caraffa, come spesso fa quando sta, solo soletto e sbracato, a casa sua -gli piace molto anche scolarsi a garganella qualche bella birretta, senza mai, va da sé, passare la guadagnata-. Come se non bastasse la gaffe numero uno, albeggia pure quella 2: parte dell’acqua esce dal recipiente e atterra sulla sua griffata giacca. Siccome il suo inconscio stravede per i proverbi, e qui ed ora non c’è due senza tre, il signor dottor Leblanc Fils si asciuga l’acqua sul volto come un gringo cowboy, strofinando una mano sulla bocca.
Certe volte la realtà supera la fantasia. Possibile che in un luogo importantissimo, nientepopodimeno che l’ONU, qualcuno, in una pazzesca caduta di stile, commetta una gaffe monstre? Certo che sì, gnaffe. E i colpi di scena non sono finiti. Lo show di Edgard diventa virale, fa il giro della Terra e lui, con una rozza antitesi al bon ton, ottiene quella fama che un milione di suoi razionali tantativi non hanno mai attinto. Un paradosso, un po’ imparentato con la serendipità, che induce un suo nemico a pensare, a proposito della distrazione in cui è nata la figuraccia, ‘(grrr…), che botta di cu..’.
Walter Galasso