L’INVIDIA PER UN FRICCHETTONE E L’ANELITO ALLA PACCHIA DELLA PERFEZIONE   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  15]

L’INVIDIA PER UN FRICCHETTONE E L’ANELITO ALLA PACCHIA DELLA PERFEZIONE   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  15]

L’INVIDIA PER UN FRICCHETTONE E L’ANELITO ALLA PACCHIA DELLA PERFEZIONE   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  15]

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COVER

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DI WALTER GALASSO

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   La durata di questa esperienza, più lunga del previsto, fa sì che Arturo, quando imbocca il tunnel in fondo al quale si intravede il musicista, possa captare la parte finale dell’abboccamento. Scorge da lontano una ragazza che quasi pende dalle labbra del mattatore, capisce al volo che l’artista di strada ne ha rimorchiato, per così dire, l’attenzione, inducendo se stesso a deporre gli strumenti, per mettersi a concionare, e lei ad ascoltarlo, come un’adepta adora le parole di un suggestivo guru.
   Nel cervello di Art scatta una vaga e imperfetta curiosità verso questo fenomeno di interessamento. Nella sua ottica uno che nelle viscere della Metro improvvisi un concertino se la passa male a livello di reputazione, e al massimo la sua performance può ottenere il tintinnare di una moneta gettata da qualche passante in segno non di stima ma di pietà. Come dunque può aver fatto a inchiodare al pavimento quella donna? Lo invidia mentre riserva alla sua umanità operazioni di spionaggio. Non lo lascia indifferente la scena di una persona capace di affascinare una bionda che, di primo acchito, gli sembra una che, se lui l’avesse incontrata stamattina, mentre passeggiava a velocità sostenuta, non lo avrebbe degnato nemmeno di uno sguardo.
   Invaghirsi di una donna e vedere tra sé e lei un diaframma simile a un muro alto diversi metri: al signor Piuro capita spesso di ritrovarsi in questa situazione, e la percezione dell’interesse suscitato in quella ragazza dal chitarrista gli ricorda, per differenza, le sue frequenti défaillance. Quella scena lì in fondo può avere tanti significati, ma per lui non può che voler dire l’incipit di un rimorchio. Chi gliela dà questa certezza? Nessuno, lui non ha mai visto prima né l’artista di strada né la sua interlocutrice, quei due potrebbero pure essere parenti, o conoscersi da anni, pappa e ciccia da un’altra epoca, oppure, perché no, il giovane può aver funto da testimone di nozze di lei, o conoscerla nelle vesti di miglior amico di suo marito:  tutto è possibile, anche queste ipotesi, che stridono palesemente con un principio di love story fra quelle due persone. Però adesso la mente di questo interprete ragiona a senso unico, protesa ineluttabilmente a riscontrare in quel rapporto la riuscita di un tentativo del giovane di circuire la di lei attenzione. E questo gli brucia, perché nel momento stesso in cui elabora la congettura pensa che lui non sarebbe stato altrettanto capace di fare breccia nella psiche di quella bella donna. Lo invidia e si urta, ma la matrice più radicale di questa lettura degli eventi non è, come si potrebbe pensare, solo un eros tanto impetuoso quanto ferito: no, Art ne fa una questione di più ampio respiro. Quando si sente snobbato da una ragazza, ignorato dai suoi occhi, certe volte fa una mera autocritica di tipo amatoriale, giudicandosi alquanto imbranato nell’arte della seduzione. In qualche caso, invece, sussume questo vissuto in un più ampio ambito di abilità, nel senso che si duole di non avere la patente di latin lover, il potere di schioccare le dita e vedere una donna cadere ai suoi piedi, nella misura in cui prova il desiderio di potenziarsi e si rende conto che dista dal parolone ‘perfezione’ esattamente come il Polo Nord dal Polo Sud.
   Quando in un supermercato si imbatte in una pin-up e all’istante prova per lei una vertiginosa attrazione e tenta in tutti i modi di polarizzare la sua attenzione e quella non se lo fila manco per sogno, continuando a riempire il suo carrello con gesti che gli sembrano un dispetto ai propri desideri, ebbene il suo cuore, prima ancora che dedurre da questa penuria una propria imperizia nell’agone erotico, mette l’accento sul fatto che il tizio chiamato se stesso è lontanissimo dal fulgore e dalla pacchia dell’onnipotenza. In questi momenti gli sembra di rievocare quel che alcuni docenti dicevano ai suoi genitori durante anni scolastici così così: potrebbe fare meglio, non è proprio un somaro ma c’è chi lo supera e di molte lunghezze, il suo talento non è valorizzato appieno. Lui, cioè, si sente lacunoso, claudicante nella materia chiamata ‘saperci fare’, minus habens alle prese con un milione di limiti. In questa ottica la donna non conquistata equivale alla Ferrari non acquistata, al premio cinematografico non vinto, alla gang di teppisti non menata di brutto in un eroico ‘uno versus otto’, all’impero finanziario mai eretto se non nei suoi sogni più venali, ai milioni di amici in tutto il mondo che la sua mezza misantropia gli ha impedito di collezionare nel corso delle sue esperienze, e così via.
   Ah!, uh!, sospiri a catena, anzi catene di sospiri, che lo bloccano come ganasce apposte, da vigili urbani e inflessibili, a un’auto parcheggiata in modo illegale. Mannaggia!, forse la colpa è anche dei servizi televisivi che gli fanno arrivare fin dentro casa l’immagine di personaggi superiori, che se ne vanno in giro nel Mar Mediterraneo con panfili esagerati, lunghi più di sessanta metri, yacht lussuosi, con piscina a bordo, e vamp in costume da bagno che prendono il sole a prua mentre gridano, al proprietario rimasto al timone, che si stanno innamorando di lui e della sua raffinata cultura. Star della televisione con contratti stratosferici. Campioni sportivi che in un anno guadagnano quanto tutti gli operai di una fabbrica in venti anni in un telefilm ottimista sul proletariato. Sapientoni nelle Accademie, luminari di fronte ai quali si genuflettono anche giornalisti prestigiosi -che a lui non riserverebbero nemmeno un saluto se per caso si incontrassero e la bocca di Art dicesse ‘Buongiorno, dottore!’-. Celeberrimi playboy, capaci di mettersi in un anno con mille tipe, e mai nessuna a dire che quello ha fatto cilecca, che si è pentita della fiducia accordata alla sua virilità, che sarà pure focoso ma basta che apra bocca e le fa passare il desiderio tanto è scemo. La lista di persone più brave di lui è una pergamena chilometrica, il punto conclusivo di questo inventario è misterioso come la presenza di altre civiltà nello spazio: molti dicono che esistono, ma nessuno ne ha mai esibito una prova. Questo personaggio, cioè, ha troppi campioni davanti a lui, e il suo Ego ne soffre alquanto.
   Come vorrebbe saper volare alto, attingere traguardi degni di un Superman, scattante, volatile come aquile, lesto nei cieli al pari di un aereo con cui un provetto pilota dell’aviazione fa piroette acrobatiche a beneficio di spettatori in delirio. Chi non ha limiti? La nostra finitezza ci costringe a relegare in una riserva di dreams fantasiosi tante prodezze non alla portata di un essere umano, per quanto prode e capace, ma Arturo si sente particolarmente difettivo. È vero che nessuno, se al di fuori di uno schermo della Decima Musa, sa volare o può trascorrere un week-end giocando a golf su Marte, però un conto è non riuscire a realizzare queste fantascientifiche mirabilia, un conto è avere la sensazione di essere trasparente quando si cammina vicino a una Miss e quella guarda dappertutto tranne che nella tua direzione. Passi non saper correre alla velocità della luce, o a quella di un ghepardo, ma ritrovarsi sovrappeso, con dodici chili in più rispetto a dodici anni fa, mentre il tuo vicino di casa pratica nel suo giardino salto in alto e lo vedi sfidare con successo un’asticella a due metri di altezza, beh, friggi di ira.
   L’invidia per quel fricchettone, che sia pur in maniera elegante e sofisticata in fondo chiede una sorta di elemosina e ciò nondimeno riesce ad attaccare bottone con quella lì, e magari già stanotte se la porta a letto, è solo la punta di un iceberg. Arturo se ne rincresce in quanto, molto più generalmente, pensa di malandare come collezionista di figuracce, avverte tarli nella propria autostima, capta il dannato bisogno di salvifici emendamenti, grazie ai quali attraversare un catartico tunnel e ritrovarsi, quando la luce riappare all’uscita, migliore di prima.
   L’assurda meta della perfezione ogni tanto gli balugina come uno scopo extra-large, lo seduce con tutta la pacchia insita nella sua accezione, tira la sua libido come la potente trazione di un immaginario verricello. Magari non avere difetti!, esclama talvolta l’animo di questo perdente, imprigionato dalla velleitaria voglia di succulente utopie. Questo smodato anelito, facente parte di suoi atteggiamenti decisamente non routinieri, merita tuttavia un’analisi seria, non certo bacchettate rozze o interpretazioni viete. Hanno scocciato quelli che mettono all’indice gli ambiziosi, i tipi che non si accontentano e mirano troppo in alto, i soggetti affetti da presunta volontà di potenza e/o megalomania. Non bisogna etichettare questo personaggio come una persona che appetisce traguardi pazzi e alieni, che odia l’imperfezione da cui si sente attanagliato perché le imputa la propria lontananza dal ruolo di capo del mondo: restiamo a distanza dal vizio di rimproverare vizi agli altri, e cerchiamo di capire in quale preciso senso questo soggetto sogna di essere scevro di limiti.
   In genere questo uzzolo sorge nella sua psiche quando è sottoposta a fasi di stress. Un leggero prurito sul cuoio capelluto lo induce a grattarsi di nascosto -allorché nessuno lo veda-, la sua latente aggressività esce allo scoperto, e in mezzo ai suoi sentimenti fa capolino una scatenata istanza di vendetta -ha infatti patito numerose ingiustizie e la sua coscienza, nel portarne il conto e subirne le indirette conseguenze, prova ogni tanto l’accanito desiderio di punire i rei, che fino a questo momento l’hanno fatta franca-. Viene attraversato da un tourbillon di emozioni sadiche, pulsioni appartenenti a un selvaggio nervosismo, idee disarticolate e cattivelle. Si sente pervaso da una inquietudine più pesante di una corazza di trecentoquindici chili -la panoplia più grave di tutti i tempi-, smarrisce la serenità come un cittadino distratto può non trovare più un documento di riconoscimento dentro le tasche di una sua giacca, sbraita contro lo Stato caimano, scaglia anatemi su ex amici, fa caso -in maniera quasi surreale- a strani particolari della sua vita interiore.
   Una volta, per esempio, ha pensato, il giorno dopo aver seguito in televisione un documentario in cui si parlava dei facoceri, che per anni ha commesso l’errore di pronunciare il nome di questo animale con un accento sbagliato, id est facòcero e non facocèro. Ma come!, ha pensato che fosse sdrucciolo il piano nome di un animale assai caratteristico, un cinghiale peregrino, grugno notevole e ricoperto di quelle macchie a forma dei legumi chiamati lenticchie, canini platealmente incurvati, e soprattutto una criniera che non è maestosa come quella del leone, né elegante come quella del cavallo, però continua a lungo sul dorso, e dunque corrisponde, in un confronto con la televisione, a un personaggio che faccia parlare molto di sé. Art, attesa questa relativa importanza, si è stupito della sua ignoranza. L’avrebbe tollerata se avesse riguardato fauna meno speciale, invece essendo attinente al facocero, lui ha fatto autocritica con un filo di stizzito senso di colpa, e questo processo è accaduto, appunto, perché si ritrovava in una fase di affaticamento psicologico. In questi momenti di défaillance psicofisica versa in elettriche forme d’irritazione, e soprattutto avverte il cosmico bisogno di poter conquistare, con un colpo di bacchetta magica, la cosiddetta perfezione.
   In realtà neanche lui sa bene in che cosa consista questo valore dei valori, a cui la propria sensibilità vorrebbe assurgere in un battibaleno. Può darsi che nella sua Weltanschauung la ‘perfezione’ -lemma sublime di tutte le enciclopedie, anche quelle redatte da studiosi somari- includa pure la capacità di volare. Il signor Piuro non ne è certissimo, perché non gli sembra che gli uccelli siano poi così felici e pieni di sé. Certo, gli appaiono allegri, le loro acrobazie nell’etere sono paragonabili a sfrenati balli che in un party dell’alta società facciano i più baldanzosi corteggiatori di una Miss, però uno stormo intento a volteggiare sopra la floreale chioma di alberi frondosi -mentre questi volatili cantanti producono all’unisono un armonico chiasso assordante- non si può in fondo paragonare all’icona della felicità. Non se la passano male, detengono la libertà di librarsi a dispetto della forza di gravità, evviva quelle ali fiabesche, nondimeno la loro gioia dà l’idea di essere inferiore a quella di un pavone.
   Anche molte mirabilia incluse nel know-how di un cittadino Übermensch sono estranee all’apparato libidico di Arturo. Lui non si vuole battezzare Superman, non ambisce a essere definito un fuoriclasse di un altro pianeta, forse perché non vuole smarrire la similitudine con i suoi amici. Ciò nondimeno, lo alletta moltissimo l’idea di poter spostare un palazzo con un dito, di viaggiare a una velocità superiore a quella di un jumbo, di dare botte a una gang famigerata. Uno contro dieci, e la decina fugge a gambe levate e con certi tratti della pelle a pois, per la comparsa di molti lividi, e quasi tutti a chiedersi quel vincitore come abbia fatto a pestare una comitiva di avversari.

Walter Galasso