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DI WALTER GALASSO
Un mezzo deserto lo scalo ferroviario di una piccola città, a tarda ora. Nessun poliziotto della Polfer, il bar, denominato ‘Punto di ristoro’, squallidamente chiuso. Davanti all’entrata solo un taxi, una bianca car, di Pinuccio Ranieri, ma l’uomo, dentro l’abitacolo, è beatamente fra le braccia di Morfeo, e forse, in fase REM, sta facendo un sogno in cui lui, dopo essere stato un bravo pilota di Formula Uno, quando in queste vesti va in pensione si dà agli affari e, maestro di cazzimma, guadagna una montagna di nummi. Per il momento ronfa e russa nella sua berlina. In sala d’attesa solo tre personaggi.
Un giovane signore extracomunitario, un messicano che, fregandosene altamente se qualcuno lo offenda con spirito di patate, sta aspettando un treno diretto a un Comune noto per diversi motivi: una storica cattedrale, uno stabilimento industriale e, last but not least, una Università con molti iscritti. Lui, però, è in procinto di andarci perché conta, insieme agli altri componenti d’una banda di mala, di fare una rapina in un pubblico esercizio. Non si direbbe, a giudicare dalle apparenze -pare un pirla tondo come la O di Giotto e innocuo come un pio militante in un’associazione di volontariato-.
Secondo astante: un tizio, già entrato negli ‘anta’, che ha da poco udito, dalla misteriosa e metallica voce dello speaker ufficiale della stazione, che il mezzo pubblico su cui egli si prefigge di salire a bordo, un serpentone Intercity diretto a Roma, porta un abissale, megagalattico delay di quasi un’ora. Azz, questo non ci voleva! Perdindirindina, che sfiga! L’uomo, scevro di signorile aplomb, non ha preso bene l’inquinata info. Scaglia saette verbali contro i responsabili di questo incivile disservizio. ‘E la peppa!, ma insomma, perbacco, si vergognassero, ‘sti ottentotti. Roba da Terzo Mondo, anzi, che dico!, una vergogna del genere è da Quinto’: nel suo mumble mumble è un vulcano (di polemica) in eruzione, mentre all’esterno del suo Io sembra solo un cinquantenne, vagamente pappamolle, che sta sbadigliando, rozzamente, senza neanche prendersi la briga di mettere una mano davanti alla bocca-spelonca.
Il terzo passeggero è un elegante protagonista, vestito non proprio come un dandy, però arcifico nel contegno. Con un paio di occhiali chic, dal design postmoderno, è immerso in una costruttiva navigazione nella Rete, dove, tra l’altro, segue news di una prestigiosa testata, a cui è abbonato. La temperatura è bassa, egli ode burine e delinquenziali voci, provenienti da una malfamata caffetteria, ubicata a circa duecento metri da qui, sentina di eterogenei bandoleri, una bettola dove sovente sono scoppiate inconsulte e virulenti risse, e spesso c’è scappato il ferito. Si vocifera, in pissi pissi rionali, che lì dentro talvolta dei pericolosi briganti parlino fra loro esprimendosi in una specie di linguaggio cifrato, un argot du milieu che solo loro, maledetti fuorilegge, conoscono. Fake news? Notizie verissime? Mah, vattelappesca la verità. Comunque, a parte questo dettaglio, una cosa è certa: in quel postaccio una persona perbene come il suddetto raffinato viaggiatore, il dottor Osvaldo Sieri, è meglio che non metta mai piede. L’uomo, nel captare quel maleducato baccano -se tanto gli dà tanto i suoi autori hanno alzato il gomito e sono volgarmente alticci-, è ben lieto di esserne a debita distanza. Ogni tanto, su mass media locali, ha letto che in questo quartiere, ghetto in outskirts, la situazione, soprattutto dopo le 10 post meridiem, è fuori controllo, e sovente vige, per quel che riguarda gli usi e costumi della gggente ammodo, un coprifuoco di fatto. Cittadine e cittadini con la fedina penale immacolata, persone non violente e rispettose della Legge, preferiscono chiudersi in casa ed evitare a priori il tremendo pericolo di poter essere aggredite da qualche satanasso famigerato. Osvaldo, nell’ammettere a se stesso che è lieto di distare da quei mascalzoni nella misura in cui non è un coraggiosissimo Rambo, per una frazione di secondo se ne duole, rammaricandosi per questo gap di valentia mavorzia. La sua psiche, però, provvede tempestivamente a esorcizzare ogni possibile complesso d’inferiorità, rimuovendo questa consapevolezza e inducendolo a pensare ad altro.
Mentre nei dintorni, in modo segretissimo, coppie di amanti fanno l’amore in qualche casa, lui, con la santa pazienza, aspetta un treno, niente sesso e tanta scocciatura. Finalmente esso è lì lì per arrivare, l’annuncio dell’evento emana da un altoparlante che gracchia come una cornacchia. Il signor Sieri si alza da un metallico sedile, scattando come una cavalletta, si reca sulla banchina numero 1, poi, mediante un sottopassaggio pieno di umidità e di graffiti abbastanza carini, va sulla seconda platform, e quando il veicolo, dopo aver decelerato cigolando in modo pazzesco, si arresta, sale tirando un sospiro di sollievo. Nella sua diuturna attesa, infatti, talvolta ha paventato che, per qualche gravissima avaria, potesse rimanere bloccato chissà dove.
Inizia a cercare un acconcio posto a sedere, evitando poltroncine sporche più di monnezza, e s’accorge che a bordo presta servizio, come controllora, una bruna signorina, frizzante e alla moda. La squinzia lascia una scia di profumo ‘afrodisiaco’, incede ancheggiando con parnassiana grazia, pare un’amazzone che sa il fatto suo. Non è una venere, però sprigiona da tutti i pori sensualità, e poi è comunque carina, su un’ideale pagella merita in bellezza un dignitoso sette meno, e magari tutte! La sua chioma tricologica non passa inosservata, capelli lunghissimi e folti, come la criniera di una cavalla. E poi quell’uniforme… Uhm… L’uomo, ormai non ci sono dubbi, la osserva con erotico interesse, e quando lei, passeggiando sulla vettura -dalla testa alla coda e viceversa- lo guarda e gli sorride, lui prova un vertiginoso giro di testa.
Forse è per questa ebbrezza, per qualche suo strascico, che dopo, andando alla ricerca di una toilette dove fare acrobaticamente la pipì, scendendo scalini non vede uno step e, patapunfete!, cade in modo goffo. Urca, che botta pazzesca! Il suo ginocchio destro sbatte sul suolo, e lui si ritrova in uno stranissimo sud, vedendo dal basso in alto il tetto del treno, che nel frattempo continua, meccanicamente e senza alcuna solidarietà verso la sua disavventura, a fare ‘ciuf ciuf’. Per un nanosecondo l’utente teme che il capitombolo gli abbia cagionato una bua non indifferente, ma fortunatamente si rialza senza nocumento, agile ed elastico come un campione felino. Però! Si compiace della sua resilienza, e al tempo stesso è lieto che lei, la sexy ferroviera, non abbia assistito al suo tonfo. Sì, o.k., il suo fisico se l’è cavata egregiamente, un altro al suo posto avrebbe potuto pagare dazio e rompersi una gamba, nondimeno l’evento resta pur sempre una sua figura barbina, o giù di lì. Dice a se stesso che una cosa del genere, figuraccia che non è da lui, non deve ripetersi, e si esorta, da adesso in poi, a fare attenzione a dove mette i piedi. Attende, dunque, a un pizzico di sana autocritica: bene, bravo, bis! Solo le mezzeseghe non sono capaci, quando commettono uno sbaglio, di recitare il mea culpa.
Passa la bella ferroviera e gli chiede di esibire il biglietto. L’uomo inserisce una mano nella tasca dove l’aveva messo prima di salire a bordo, ma non lo trova. Lo cerca in altre parti di sé: idem. Egli non sa che il ticket è uscito dal suo alloggio, senza che lui se ne accorgesse, quando è caduto. Giura alla signorina che l’aveva, ma ella, che non guarda in faccia a nessuno, prima lo rampogna -“Non è il massimo voler fare il portoghese”-, poi gli fa una multa più salata del baccalà. Prezzo intero del titolo di viaggio più una stratosferica soprattassa. Una piccola percentuale di Os odia l’intransigente arpia, ma la maggior parte di lui, con coerenza, continua ad ammirarla e prova un perverso piacere. Qual sadomaso, gode nell’essere multato da Lei, padrona cattivella, suo oggetto di desiderio. Ormai è quasi innamorato e, in un fulgido stato d’animo, ha la sensazione di viaggiare su un treno rosa.
Walter Galasso