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DI WALTER GALASSO
La lista di casi della Perfezione, quella idealizzata da Arturo, è lunghissima, più di un elenco telefonico di Roma. Ai già citati esempi dovremmo aggiungere una quantità stratosferica di altri effetti speciali, però in questo preciso momento per quest’uomo, intento a spiare le affinità elettive fra Henrik e Paola, Perfection è uguale all’abilità del ragazzo di non passare inosservato nella coscienza della bionda.
Quei due si stanno salutando, evidentemente lei si sta per congedare dalle sue chiacchiere e sta per rituffarsi nei progetti che ha interrotto per (e pur di) dargli corda, però si vede da un’altra città che il loro dialogo avrà un seguito, che le è piaciuto qualcosa del suo modo di porsi, delle sue facoltà, del suo bagaglio culturale. Forse lo stile con cui suona la chitarra, o forse i testi partoriti dalla sua testa, le sue idee, la sua mentalità. Difficile stabilire la prima causa di questa seduzione, comunque quello lì è, nonostante le apparenze, un mezzo vincente, un contrario di un perdente, un sinonimo di uno che ci sa fare, un mandrillo che sa come candidarsi al ruolo di partner di una utente della Metro, trovatasi qui per caso e conquistata a suon di parole.
Il signor Piuro non si sbaglia, Paola stringe una robusta mano dell’artista, lo saluta, poi, quando già ha imboccato il tragitto verso i binari, si gira e gli grida “Salutami la Norvegia”, battuta non originalissima ma comunque educata, essendo sempre un atto di cortesia, qualora si parli con una persona di un altro Stato, raccomandarle di dirgli un ideale ‘Ciao’ la prima volta in cui ella rimpatri.
Man mano che la ragazza si allontana, Arturo si avvicina, mentre Henrik riprende il suo concerto. In Art cambia qualcosa. La smette di invidiarlo, di riservargli una forma indiretta e parziale di odio, e l’antagonismo si trasforma nell’istanza di entrare in contatto col Forte. In un certo senso si tratta di un processo evolutivo, questa metamorfosi è espressione di una crescita interiore, dato che il livore è come una pianta in pieno deserto, neanche col binocolo riesci a vedere zeppi di portati uno dei suoi rami. Anzi incombe, in quella siccità da incubo, il rischio di un autunno in piena estate, cioè la flora appassisce, stressata dalla feroce calura, annichilita dalla lontananza dell’acqua, aggredita dalla cocente temperatura. L’invidia è la ragione in un Sahara, la mente che fa flop, mentre si esacerba il disappunto dell’animo e dall’interiorità esce una sete dannata, con tutto il carico di miraggi che inevitabilmente grava su inospitali regioni dell’anecumene. Invece voler conoscere il possessore di quelle qualità, senza diventare un mancipio del risentimento, vuol dire cominciare a rimboccarsi le maniche per progredire. Arturo, ormai votato a dargli retta -come minimo ad ascoltarlo un po’-, non sta alzando bandiera bianca, non si sta dichiarando vinto e umiliato, egli mirando piuttosto a gettare un ponte verso quel soggetto di qualità, per saperne di più, magari per imparare a livello dialettico.
Henrik ricomincia a declamare versi molto strani, mentre le sue mani si producono in una performance alquanto virtuosistica con quello strumento, che appare di un certo valore, costa sicuramente un perù, almeno questo è ciò che pensa il ‘neofan’, il quale ascolta quello che sta dicendo ed è in bilico fra un pentimento per la stima che da qualche secondo gli sta accordando e un rafforzamento della stessa. L’istrione dice cose strane, qualcuno potrebbe reputarle sintomatiche di una logica squinternata, una forma di tendenziale delirio, l’eruzione di concetti ammalati, però è possibile anche il contrario, e cioè che quel ragionamento piaccia a qualche spettatore, e adesso è proprio questa seconda eventualità che sta vedendo la luce.
Dopo la stima di Paola, infatti, si sta verificando l’interesse di altri passanti, che si fermano per ascoltare questo cantautore di controcultura. Il norvegese, sovrapponendo alla musica (che le sue mani suonano) un discorso più recitato che cantato, simile quindi al genere rap, sta dicendo che lui vuole combattere il Sistema brandendo una durlindana e usando come scudo un notebook, dopo aver pigiato tante lettere sulla sua tastiera QWERTY, in una maniera simile ai gesti e alle gesta di un pianista sul suo gran coda.
O singole parti del Popolo, se non vi fate separare da un Potere che basa se stesso, la propria permanenza e riproposizione, sul mancato amalgama fra di voi, e quindi vi seduce distintamente, per evitare che voi parliate troppo in maniera mutua, ebbene voi vi ritroverete ricchi all’improvviso, ricchi di forza, di sovranità.
‘Fanculo’ alle raccomandazioni, in galera il caino che in un condominio fa marameo al vicino di casa dopo che il proprio figlio è stato assunto in un lavoro usurpato e perciò unto di piscia (grazie a una spintarella che resterà un segreto di Stato), mentre la prole di quel poveraccio ancora segna il passo. Merda, caimano, stringi la mano al tuo compagno di ceto, invece che volerlo fregare attraverso un aiuto -infetto e paradossalmente più nocivo che positivo- piovuto dall’alto.
Ricordati la bellissima idea: non posso essere felice se non lo siamo tutti.
Poi aggiunge delle esortazioni che richiamano quello che abbiamo detto prima a proposito del sapere underground: se tentano di zittirvi, di censurarvi, ricorrete a pubblicazioni clandestine -dunque come le opere edite in ‘samizdat’-; se tentano di mettervi le redini con la scusa di farvi procedere in maniera ordinata, dategli un calcio micidiale -quindi come il cavallo che disarcioni un fantino mediante un tremendo salto del montone-. E ricordatevi che le loro ripetute ideologie, quelle loro pseudoidee che, a furia di essere imposte sul mercato, paiono un leitmotiv del buon senso, in realtà sono schifezze da ratti di cloaca -dunque molti topoi di regime sono topi di fogna-.
Henrik sta vomitando ragionamenti di questo genere, e si è formato un capannello di persone davanti al suo informale palcoscenico, un mucchio di gente che quando la canzone sembra essere finita, e in effetti lo è perché l’artista inaugura una parentesi di assoluto silenzio, gli tributa un applauso scrosciante. Può darsi che non tutti abbiano compreso quello che il suo cervello voleva dire, può darsi che per qualcuno queste riflessioni non siano farina del suo sacco, magari mutuate da qualche pensatore e convertite in un concerto underground. Però questi spettatori hanno apprezzato la carica di autenticità con e nella quale costui ha declamato quei versi. Quando ha raccomandato alle persone semplici di non tradirsi a vicenda, coalizzandosi in una intesa che li renderà davvero liberi e autonomi, stava quasi per piangere, e questo pathos è arrivato agli ascoltatori, non infermicci nei meschini capricci del verbo ‘rosicare’, non ammalati d’indifferenza, ammaliati da un ragionamento di spessore, e anche dal sentimento in cui è stato comunicato.
Ah, finalmente, ci voleva proprio dopo tante cazzate commerciali in giro per la società!: questo è sembrato il messaggio proveniente dall’improvvisato pubblico, un correlato folk dell’artista internazionale e sfigato.
Walter Galasso