DA UN FEUDALESIMO A UN ILLUMINISMO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  17]

DA UN FEUDALESIMO A UN ILLUMINISMO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  17]

DA UN FEUDALESIMO A UN ILLUMINISMO   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  17]

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DI WALTER GALASSO

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   Arturo si sta sentendo quasi un verme per aver sospettato della sua buona fede quando lo ha visto attaccare bottone con la ragazza. Adesso sta intuendo che questo tipo non simula impegno e non dissimula doppi giochi e pretestuose voglie di corteggiare una bella ragazza apparendole un incazzato pensatore. Lui è proprio così, e il fatto che alla stima tributatagli dalla donna si stia sommando quella di tante altre persone è una conferma dell’opportunità di stilarne un giudizio positivo. Questo spettatore, che si sta ritrovando in una situazione imprevista dopo aver imboccato l’ingresso di questa fermata della Metro grazie all’Abutilon, recita il mea culpa, ammette di aver preso un granciporro quando ha scagliato addosso a quello sconosciuto insulti che scaturivano non certo dall’illuminismo di un buon ragionamento, ma dal feudalesimo di un’invidia che rende un proprio vassallo il buon senso. Adesso è giunto il momento di emancipare questa schiavizzata intelligenza, facendole guadagnare la libertà attraverso un atto di tangibile elogio dell’artista.
   Il signor Piuro non è avaro. Nessuno lo ha mai etichettato come un pidocchio sporco e tirchio, scagliando il sostantivo e i due aggettivi contro il suo onore, in qualche bar malfamato, avendo lui chiesto al titolare “è disponibile un caffè sospeso?”. Mai qualche suo amico intellettuale ha ravvisato in lui tratti di quella spilorceria descritta in “Eugénie Grandet”. Nondimeno al suo carattere non si può attribuire neppure il virtuoso contrario di tale vizio.
   Se la moglie vuole organizzare una tavolata con tanti commensali, il suo animo oppone resistenza al progetto, non se la sente di fare lo splendido con un atteggiamento da anfitrione. Se qualcuno lo invita alle sue nozze, non prova un piacere ai bordi dell’edonismo nel pensare di fargli il regalo più costoso che i due sposi ricevano. Se nello stabile in cui abita, né chic né fatiscente, il condominio è propenso a sostituire il portone d’ingresso, per rendere il palazzo più lussuoso, lui borbotta, polemizza, resiste, sottolinea non una ma tredici volte che il serramento che lor signori vogliono buttare è ancora ottimo, mica le tarme lo hanno reso simile a un formaggio svizzero. L’uomo, dunque, è in bilico fra l’essere sparagnino e l’intercettare lodi per un comportamento magnanimo.
   Eppure oggi, in questo momento così strano, a pochi secondi dalla fine della performance live di Henrik, mentre molti depongono nella custodia della chitarra un certo numero di spiccioli -chi tre da un euro, chi due da due euro, chi sei da cinquanta centesimi, eccetera-, lui, rara avis, estrae dal portafogli una banconota -sì, una banconota, e pure da dieci- e, dopo essersi chinato, la depone in quello spazio intermedio fra l’arte e l’incasso. Non era il caso di rischiare che quel pezzo di carta, lanciato dall’alto, non colpisse il bersaglio e si mettesse a svolazzare nella porzione di corridoio della M. Il benefattore agisce seguendo un ordine della sua coscienza. Quel soggetto è stato davvero bravo, merita di essere premiato con una cifra che somigli più a un biglietto per entrare in un teatro che a un obolo concesso a un questuante. Le sue mani hanno lavorato su quelle corde come estremità d’un concertista di rango, sempre padrone della situazione, abile come uno scienziato che padroneggi un marchingegno che ad altri ha dato un sacco di fastidi. E, soprattutto, ha cantato parole di alto profilo.
   Anche in questa direzione Art non sembra se stesso. Lui non è il tipo che si entusiasmi per i ragionamenti ribelli, iconoclasti, al confine con uno spirito rivoluzionario. Però in questo caso deve ammettere alla propria coscienza che si può essere d’accordo o meno con quelle frasi, al limite si può anche dubitare che siano sue, però è un incontrovertibile dato di fatto che un giovane capace di una tale prosa sia comunque lodevole. Lo straniero si è mostrato un uomo pensante, impegnato, coraggioso, controcorrente. Ecco, quest’ultimo è il termine più giusto per fotografare la sua virtù.
   Arturo, infatti, si è ricordato, en passant, di una sua vacanza in una località balneare contrassegnata da forti venti e da un mare dove ogniqualvolta lui tentava di nuotare per qualche decina di metri faceva una fatica mostruosa, perché alla direzione delle sue bracciate puntualmente si contrapponeva quella delle onde, che se lui nuotava da est a ovest passeggiavano dispettosamente da occidente a oriente. Sembrava quasi che lo facessero apposta, e il risultato di questa corrente contro, non nemica ma nemmeno amica, era il suo stare più o meno sempre nello stesso punto nonostante tutta la fatica erogata con encomiabile voglia di fare sport. In quella vacanza ha capito che significato perfido abbia l’espressione ‘controcorrente’. Oggi gli è ritornata in mente la stizza che provava in quel suo dinamismo sterile, un senso di incipiente bocciatura del suo spirito d’iniziativa, un principio di innocuo dramma: le sue braccia si impegnavano fino a stancarsi, ma i metri marini nel frattempo percorsi erano prossimi allo zero. In data odierna gli è sovvenuta anche, insieme a quella situazione, la sua consapevolezza di quanto sia difficile non avere i venti a favore, in ambito di swimming e in tutto, e quindi, per analogia, ha apprezzato quel giovane, che dice cose scomode e così rischia di mettersi nei guai.
   Art non ha dubbi: quel ribelle ha fegato, è un piccolo eroe. Si può anche dissentire dai suoi discorsi, però è un assioma il fatto che la sua temerarietà ideologica meriti un plauso nella misura in cui lo pone nella probabilità di segnare il passo, nonostante il suo indubbio valore di musicista. Uno che parla così -ha concluso la mente dello spettatore- è come il nuotatore che lui fu in quel pelago arrabbiato e quasi ostile:  corre il pericolo di rimanere dov’è, anche se suoni per sette anni di seguito. E in effetti il suo stare in questa situazione, pinco pallo che in una Metro tenta di attirare l’attenzione di utenti con la testa altrove, che cos’è se non un praticare lo stile libero con la corrente contro? Questo romano -suo pentito detrattore, e ora mezzo fan-, nel deliberare di dedicargli la pingue banconota è stato consapevole che essa non può certo farlo andare avanti, nondimeno il dono di dieci euro ha voluto testimoniargli la propria stima, e anche inviargli un simbolico incoraggiamento. Continua così, campione dietro sbarre che non si vedono, e spera che un giorno il tuo talento riesca a fuggire dallo strano penitenziario che è l’insuccesso.
   “Grazie, amico”, è la reazione del musicista, che, per la verità, si prende sempre la briga di ringraziare chi depositi nella casa del suo strumento un po’ di soldi, anche se siano pochi spiccioli, però il suo ‘thank you!’ ad Art è diverso, più intenso, verace. “Figurati, è il minimo che uno spettatore possa fare dopo una tua esibizione, sei davvero bravo, e non solo a suonare la chitarra. Pure il testo mi è piaciuto, anche se, confesso, non sempre ho afferrato tutto il suo significato…”.
   Henrik, che ai complimenti ha reagito quasi con imbarazzo, egli essendo alquanto schivo e non abituato a qualcuno che lo osanni, di fronte alla professione di parziale incomprensione prende la palla al balzo e aggiunge allo show di poco fa una sorta di elenco di postille, per chiarire alcuni aspetti un po’ ermetici, e farsi capire meglio anche dal cittadino medio. A lui  ‘the man in the street’ tendenzialmente sta sulle palle, gli appare un minchione pecorone, troppo diverso dai cazzuti Che Guevara. Il norvegese, però, arrabbiato come un demone e pio come un missionario, all’uopo sa andargli incontro, se intuisca che in un borghese piccolo piccolo egli possa, catechizzandolo con spiegazioni opportunamente divulgative, debellare almeno uno dei due ‘piccolo’. L’elargitore del deca merita un tale trattamento. Nasce una chiacchierata sincera, e a un certo punto, per stemperare l’intensità teoretica che nel frattempo è diventata forse eccessiva in rapporto alle circostanze, il tono del dialogo diventa meno concettuale e più personale.

Walter Galasso