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DI WALTER GALASSO
Abbiategrasso, Istituto Lombardini: uno studente ha aggredito un docente. Aridaje. Forse, essendo il plesso ubicato in Via Vivaldi, c’è una logica in un professore suonato dopo botte. O forse, anzi sicuramente, non è il caso di scherzare.
Nell’articolo “Studente spara a docente, è promosso, e quindi bis, ter…”, pubblicato su questo sito, ho evidenziato, in un excursus ridotto all’osso, come l’inopportuna promozione di un ragazzo pistolero, nell’Istituto Viola-Marchesini di Rovigo, uno studente che aveva premuto il grilletto di un’arma ad aria compressa contro una professoressa, possa aver spinto un doppio collega del giovane, un teen-ager pure lui studente e violento, a commettere un bis dell’ignobile reato, e poi il suddetto pugile di Abbiategrasso a un ter, e così via. Con quella pubblicazione ho inaugurato la Rubrica “Non si rassegna stampa”, assemblando una ‘rassegna stampa’ di pezzi, di quattro giornali diversi, in cui questi quotidiani stigmatizzano un laissez faire dissennato, cercando di contrastare giornalisticamente, senza rassegnarsi a porcherie sociali, un modus operandi che fa male a tutti, pure ai colpevoli, così non aiutati a migliorare culturalmente.
In questa storiaccia sono diversi gli aspetti sconcertanti. I genitori del pistolero di Rovigo, invece di prodigarsi per insegnare al figlio il valore della Pace, hanno minacciato di adire le vie legali contro la professoressa vittima del bang bang. Non solo: dopo la scandalosa promozione, che ha indotto il Ministero a biasimare ufficialmente questo permissivismo, il provveditore scolastico di Padova e Rovigo ha difeso con iattanza i responsabili della promozione, con un atteggiamento che a qualcuno è sembrato un marameo al Ministro, una fumata in faccia, in segno di sfida a tu per tu.
È ovvio che, se al posto della povera professoressa, inerme donna, ci fosse stato un uomo Rambo, un Maciste che se molla una sberla a qualcuno lo fa arrivare in un altro Comune, e se un pugno in un’altra Regione, probabilmente il ragazzo avrebbe fatto, mogio mogio, il buono, per l’eternità, e suo padre e il provveditore, sempre per l’eternità, non si sarebbero mai permessi di fargli un affronto. Avrebbero avuto, tutti e tre, un’intensa e diuretica fifa blu.
Questa situazione, però, evidentemente non è l’optimum, perché in ogni società deve sempre trionfare la Non Violenza. La tutela dei docenti, della loro incolumità, del loro onore, è un obiettivo che, come ogni Meta possibile e immaginabile, va perseguito e conseguito culturalmente, non con la forza.
E allora è bene, per volare alto in questo engagement, che scenda in campo la VERA FILOSOFIA, per aiutare ‘sta società -non delle banane: diciamo dei kiwi- prima che intervenga, come una calamità da Protezione Civile, qualche pseudointellettuale che, per fare lo splendido, voglia capire il perché e il percome del disagio in cui il teddy boy del ‘Lombardini’ ha menato di brutto lo sfigato Prof.. Una precisazione: chi è intollerante alla Filosofia, in un’allergia peggio di quella da pollini, stia tranquillo. Cercherò di essere, nella misura del possibile, breve e semplice, ché non reputo questa sede il luogo ideale per sviluppare appieno il mio connubio con questa Altissima e meravigliosa branca dello scibile.
Mi accingo a un cordialissimo J’ACCUSE, così controcorrente -come regalare il proprio conto corrente bancario al peggior nemico-, ma così controcorrente che forse di più non si può. No problem, io godo in questo pericolo, pieno di adrenalina e di un romantico, parnassiano anelito al possesso di palle quadrate. In questa pacifica critica prendo le mosse dal POLITICALLY CORRECT, al fine di mettere in guardia dai suoi eccessi e dalle sue degenerazioni. Si fa un gran parlare dei rischi insiti nella cosiddetta AI, l’Intelligenza Artificiale. Beh, i guai che possono sorgere nell’elefantiasi e nel parossismo del politicamente corretto mica scherzano, quanto a gravità!
In questo discorso mi piace partire da un concettuale paradosso, insegnato al mondo anche da alcuni filosofi della Scuola di Francoforte. Il Progresso, e Ullallà!, è pieno di luci, sfavillanti, corrusche, la civiltà avanza come un razzo a fin di bene, la società, in una concatenazione di fertili rivoluzioni, va trionfalmente avanti, Ma… Ma in questa allegorica gioielleria non è tutto oro quel che luccica -forse l’orefice è un bastardo-. In mezzo ai watt delle luci si annidano, paradossalmente, germi di regresso, e vattelappesca il preciso luogo del nascondiglio! Con tutta l’omologazione di coloro che battono e suonano la grancassa nel mainstream, allineati con ciò che convenga alla loro carriera, i pochi eroi che riescono a intravederli, e dicono ai simili “Attenzione!”, vengono reputati rompicoglioni in preda a barbose allucinazioni. Un chiarissimo esempio di tale problematica è, appunto, nella (degenerazione della) mentalità politicamente corretta.
Essa, in teoria e nella sua forma paradigmatica ed esatta, è ovviamente bellissima. Storicamente rappresenta, nell’alveo di gauche e Sessantotto e slanci razionalmente radicali, il rispetto verso minoranze e ogni realtà drammaticamente critica. Va da sé che definire Afro-american e trattare benissimo un soggetto con la pelle meno chiara, invece che apostrofarlo con ‘negro’, pronunciando con tono offensivo questo vocabolo, rappresenti un sacrosanto dovere di chiunque sia capace di intendere e di volere. L’alterità del prossimo è una stupenda forma di ricchezza culturale, mentre il razzismo è colpa laida ed errore sesquipedale, commesso da cretini sottosviluppati. Analogamente quando nel mondo è albeggiato un assoluto rispetto di una persona diversamente abile, chiamata così invece che in modi che possano in qualche modo implicare l’idea di una sua debolezza, la civiltà ha compiuto passi da gigante. Meno grave, ma pur sempre negativo e deplorevole, è il viziaccio di usare, ai bordi del larvato disprezzo, l’espressione ‘spazzino’ per definire chi, invece, merita di essere professionalmente inquadrato come ‘operatore ecologico’. Ogni lavoro è importante, ha una sua dignità: non c’è neppure bisogno di sottolinearlo, essendo un’ovvietà lapalissiana. Questi sono esempi in senso stretto e positivo del ‘politicamente corretto’.
Possiamo altresì dire che il suo edificante nocciolo consista anche, e più in genere, nel rispetto di realtà ‘inferiori’ in senso lato, in un’accezione universale del termine. È a questo più generale livello che può cascare l’asino, quando il fiume del giusto equilibrio esondi e nell’esagerazione possa fare danni da paura.
Prendiamo il caso del valore d’intellettuali nella norma. Quando l’umanità ha iniziato a stimare pure gli autori minori, in categorie come la Letteratura o l’Arte, ha compiuto un passo in avanti, perché è bene rispettare anche il pittore di serie B o il romanziere così così. Questo atteggiamento, però, sconfina nel regno delle fregnacce allorché, per il vezzo di interpretare in modo mostruoso il concetto di democrazia e uguaglianza, si apprezzi il pirla che metta su un piedistallo una tazza di gabinetto, ne faccia un’Installazione e uno pseudocritico, più coglione del sedicente artista, dica “geniale!, questa chicca va esposta in un museo, vale un perù”. Quel WC ha il suo perché, ci mancherebbe altro, ma il vero estro, quello ad alti livelli, è un’altra cosa. Piaccia o no ai furbetti e ai fighetti di certi ambienti, sul pianeta Terra un conto è il normale scultore XY, un altro Michelangelo, CHE È SUPERIORE, punto e basta. Dire che il sublime Buonarroti è nell’Olimpo e XY no non significa sostenere che il Maestro sia un uomo ontologicamente più su. Ogni essere umano ha la stessa dignità, la democrazia, pure essa un dono fatto al mondo da grandi filosofi, esige ovviamente un’Uguaglianza universale. Questo principio, però, non attiene alla sfera della bravura artistica, che è tutt’altro discorso.
Recentemente, sigh, è divampata nientepopodimeno che una polemica sul concetto di merito: roba da pazzi. ‘Merito’ è un termine assolutamente legittimo, anzi doveroso, e nulla c’entra con il rispetto umanistico che si deve a tutti in pari misura. Merito significa che, se si indice un concorso per ‘Primo Scultore della Repubblica’, un solo posto e due candidati, Michelangelo e il sottoscritto, il primo MERITA di vincerlo, perché io, quelle poche volte in cui ho tentato di creare una scultura con il ‘DAS terracotta’, provando a forgiare la statuetta d’un leone, come demiurgo ho fatto cilecca, generando un pessimo re della foresta e piuttosto facendo ridere i polli.
Perché, con nauseante ipocrisia -E INVIDIA DEI GRANDI, E INVIDIA DEI GRANDI…- , voler appiattire tutte le differenze? Si impari dallo sport: c’è un fuoriclasse che vince, talvolta stravince, e MERITA di salire sul primo gradino del podio, e la schiappa, o comunque l’atleta normodotato, poniamo Osvaldo Bubù -buon gregario, nulla di più-, che arriva ultimo, e magari ha l’onestà intellettuale, quando a posteriori commenta quella tenzone sul suo Diario, di scrivere “Il più grande risultato della mia carriera è stato l’onore di essere sconfitto da Tadej Pogačar, un mostro sacro, un campione di un altro pianeta”. Tadej è superiore, Osvaldo è inferiore: se qualcuno ha da ridire, e sostiene che Bubù ha perso poiché aveva in precedenza patito qualche fastidio psicologico in un allenamento su Via Aurelia, evidentemente questo giornalista sportivo ha qualche problema, ed è bene che un amico gli suggerisca un bravissimo neurologo.
Stesso discorso, mutate le cose che vanno mutate, va fatto a livello morale, e qui torno al quia e m’avvicino al tema del docente pestato dal discente. Un abuso dei dettami insiti nel politically correct, una patologica distorsione del valore ‘Democrazia’, induce molti pensatori da strapazzo a osannare sempre e comunque, in una eccessiva rivalutazione a trecentosessanta gradi, quelle categorie che tempo addietro versavano in una condizione di subalternità, per esempio, e appunto, gli studenti rispetto ai docenti. Morale della favola: i forti di ieri sono i deboli di oggi, gli ex deboli oggi la fanno da padroni. Gli estremisti che si portano sulla coscienza ‘sta stupidaggine ignorano, fra l’altro, che ribaltare una gabbia non basta per evaderne.
Ai tempi in cui Berta filava, e anche fino a qualche anno fa, quando i professori ‘avevano il coltello dalla parte del manico’ e potevano perpetrare atti di mobbing senza tema di ripercussioni, la società sbagliava in modo palese. Io ne so qualcosa. Ricordo ancora una mia professoressa di Matematica, una signora tracagnotta e grintosa. La feci incazzare -non mi ricordo perché- e lei si alzò di scatto dalla sua sedia, pari a un trono, dietro la frontiera -tra Su e Giù- chiamata ‘cattedra’. Aspirava ad avere sguardi come la Medusa o un catoblepa -meno male che aveva gli occhiali: le lenti spesse un dito filtravano la cattiveria della sua occhiataccia, come i sunglasses proteggono dai raggi UV-. Tese il braccio destro, con il pollice e l’indice che si toccavano a guisa del mimo -orizzontale e non verticale- di un O.K.. L’arto pareva un kalashnikov. Ebbi la sensazione ch’ella ringhiasse come un chihuahua quando fai finta di volergli sottrarre il suo giocattolo preferito. Tuonò, sbottando in una minaccia indoor -nell’aula nessuno fiatava, non si sentiva volare una mosca-. Mi disse, urlando ma non troppo poco, “Ricordati, Galasso, che devi avere a che fare con me ancora un anno…”. Se succedesse oggi una cosa del genere, e il bersaglio dell’intimidazione fosse un ragazzo impertinente e amante d’impegnate canzoni del passato, potrebbe canticchiare dei versi di “Italia d’oro”, di Pierangelo Bertoli, “Romba il potere che detta le regole / cade la voce della libertà”. Io fui capace di sciropparmi il di lei ruggito. Non le sparai con una pistola ad aria compressa, anche perché non ho mai avuto il porto d’armi: preferisco il Porto Turistico di Roma -Abbasso le armi!, Evviva il mare!-. Evitai, savio pischello, di rispondere alla badessa, per non peggiorare la situazione.
Così non andava bene. Gli studenti vanno rispettati come si deve, per tanti motivi, a partire dal fatto che l’attività dei docenti e quella degli allievi sono due ruoli diversi nello Stato, non uno egemone e l’altro succube. La tutela della posizione tendenzialmente meno forte, cioè quella dei discenti, non deve però significare che questi ultimi possano mancare di rispetto, ad libitum, alle persone -più grandi, più esperte, più colte- che stanno dietro la cattedra. Le professoresse e i professori, intellettuali di valore, professionisti che meriterebbero stipendi più alti e maggiore stima da parte del leviatano, già sono soggetti maltrattati dal sistema: se alle ingiustizie politiche si sommi la maleducazione, e anche la hybris degli alunni -quando non tributino la dovuta ammirazione al loro sapere superiore-, il quadro diventa davvero preoccupante.
Eccessi del politically correct hanno cagionato abominevoli atti, e nuoce pure la loro assurda impunità, talvolta proprio attraverso l’omerta delle vittime, vigliaccamente condizionate, nel non prendere i dovuti provvedimenti, dai larvati, subdoli tentacoli della mentalità ‘corretta’. Quando per la prima volta uno studente, criminale doc, ha sparato a una docente, episodio sconcertante, ha indulto a un reato che andava rigorosamente punito, anche per lanciare un segnale, per impedire, come una sentenza che facesse scuola, il ripetersi d’una tale violenza. Ciò, purtroppo, non è accaduto. Innanzitutto per gli pesudointellettuali di cui sopra, quei pericolosi ignoranti che, volendo scimmiottare le sottigliezze dei veri filosofi, di fronte a un ragazzo violento non sanno dire, con onesta tautologia, “è un violento”. Devono per forza trovare l’alibi d’un presunto e negativo condizionamento alle spalle del misfatto, così giustificando la povera creatura che mena e preme il grilletto, assolvendola in quanto il fatto sì sussiste ma va abbuonato, con magnanimità postmoderna. Di ogni ente ed evento si può trovare, risalendo indietro nel tempo, una concatenazione di cause che arrivi fino al Big Bang e ad Adamo ed Eva: non per questo un’azione non va chiamata con il suo nome. Magari un mondo perfetto! Purtroppo il male esiste, e nasconderlo sotto un tappeto, politicamente corretto, non è un buon modo per debellarlo.
Certo la punizione deve essere razionale, etica, civilissima, e nel caso in questione essa doveva includere un provvedimento semplice semplice: bocciatura. Che, alla fine dell’anno, non è arrivata. Per colpa di coloro che, in quella scuola, dando ‘9’ in condotta al pistolero, e ammettendolo alla classe successiva, hanno arrecato un enorme danno all’intera categoria a cui indegnamente appartengono, facendo passare il messaggio che un violento studente può trattare impunemente una professoressa o un professore, tanto poi non paga il fio. E infatti successivamente fattacci del genere si sono ripetuti, in un’escalation drammatica.
Di questo passo, se non si neutralizzi in tempo utile il danno arrecato alla razionalità e al buon senso dagli eccessi della Weltanschauung politicamente corretta, i problemi didattici dei docenti potranno peggiorare ulteriormente. Per gli studenti deve valere la stessa regola che vige, eccome, per ogni insegnante, che se si permetta di non rispettare uno studente va incontro, giustamente, a severi problemi legali.
Dare privilegi a qualche testa calda tra i banchi di scuola significa pure sottovalutare il valore della stragrande maggioranza degli allievi, che al novantanove per cento sono bravissimi, rispettosi del corpo docente, consapevoli del valore della loro cultura e magari pure affezionati alle persone racchiuse nei ruoli. Sono pronto a scommettere. Perché? Per esperienza personale. Perché quando ripenso alla mia docente di Matematica che ho citato, alla signora che in quell’occasione mi minacciò, la prima reazione che albeggia in me è dirle “Grazie, professoressa, per tutto quello che anche tu mi hai insegnato, e non solo in Matematica. Ti ricordo con affetto”.
Walter Galasso
Bravo Walter, condivido ogni parola e, da insegnante ormai al traguardo della pensione, non mi rassegno al declassamento sociale a cui la mia categoria è relegata, dovuto sostanzialmente ai nostri stipendi da fame . È sacrosanto rispettare gli alunni (e le loro famiglie) ma lo stesso rispetto va tributato a chi si occupa della loro crescita umana e culturale…e sono veramente eccezioni gli insegnanti che non lo fanno ma , come tu dici, anche in questo ambito andrebbe ribadito il concetto di merito. Buon lavoro e alla tua prossima pubblicazione.
Un articolo necessario e ben argomentato. Purtroppo, noto con dispiacere che la distorsione dei valori democratici e inclusivi è una tendenza comune in molti ambiti della società (si pensi, ad esempio, al campo scientifico, dove ormai il cittadino comune rivendica la stessa autorevolezza dei professionisti del settore). A mio avviso, la nostra società è estremamente complessa, e la difficile conquista di questi valori non è stata seguita da un impegno etico e sociale altrettanto forte da parte di diverse fasce della popolazione (e non mi riferisco solo al reddito). Di conseguenza, i diritti e il politically correct, nella loro forma più autentica e positiva, finiscono per essere visti come falle del sistema, sfruttabili per tornaconti personali. La filosofia, spesso menzionata nell’articolo, dovrebbe allora rappresentare un punto di riferimento, specialmente nell’approfondire le questioni etiche e morali.
È sconcertante lavorare con la paura. Questa è una missione. Gli educatori si chiamano così perché devono insegnare anche come vivere….oggi non è più possibile farlo purtroppo
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