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COVER
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“Donna al pianoforte”, di Alda Merini
Io ti ho vista seduta al pianoforte
e mi sei parsa un angelo, una vergine
di certissimo aspetto – come fossi
oggi cresciuta lì su quelle soglie
di sveltissima musica, o fermento
bello di donna dalle dritte spalle
cui le dite di angelo racchiuso
hanno impresso una curva di mistero
mentre che all’apparenza ne gioivi
profondamente come in veste nuova.
E noi tutti di te ripensavamo
cose profonde e più miracolosa
che una vetta di sogno la tua dolce
cara presenza ci scioglieva i nodi
dentro il sangue del male e sollevava
la nostr’aria nel palpito felice
dei tuoi biondi finissimi capelli.
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DI WALTER GALASSO
Muliebri mirabilia sui tasti black and white d’un pianoforte. Tecnica di un altro pianeta, spettacolo tentacolo, che avviluppa, ammalia e ipnotizza, rende liberissimo schiavo pure l’Io con la maggior voglia di somigliare nel carisma a un imperatore e nelle ore all’Eternità.
Spicca un invisibile contrasto, agli occhi della spettatrice Alda Merini, fra la postura della protagonista, seduta su uno sgabello bello, e la celerità delle sue dita. Esecuzione degna d’un superlativo nella descrizione dei suoi chilometri all’ora: sveltissima è la musica di quella dinamica Musa. Quel record è pure divieto di qualsivoglia amarcord legato al passato della concertista, che sembra una neonata campionessa in quel tripudio di abilità. Addirittura fiorisce in quelle melodiose, artistiche pressioni una speciale verginità della sua pimpante, effervescente anima. La star è cresciuta lì, in quell’esecuzione alla magica velocità della luce. Il miracolo dell’unicità, come un oracolo che sveli esistenza speciale, comprime la diacronia degli studi che ne sono alle spalle, la musicista e la sua strepitosa prova sono Tempo fresco e assoluto, presente sotto una lente così potente -tutta nella sensibilità della poetessa- che fenomenologicamente appare essenza di inedita pienezza.
Ma la fan Merini, lirica autrice di un disvelamento non meno stupefacente, non si accontenta, avverte, nella sua rispettosa estasi, l’esigenza di continuare ad avvalorare quella sublime eroina, e ne definisce il soave aspetto “certissimo”. Gran colpo di delicata, fortissima classe.
In genere una persona, in condizioni e situazioni normali, appare a un’altra la superficiale potenzialità d’infinite interpretazioni, in una soggettiva giostra di ‘chissà’. Lo strato più esterno del suo Io, ambasciator della sua quintessenza presso gli occhi altrui, tende a voler giganteggiare come un sire saldamente sul suo trono. Mira a piacere, a persuadere, a dare di sé un’idea sorella gemella dell’identità ch’egli sogna di avere nel sartriano essere per-altri. E invece gli altri non solo lo vedono a modo loro, ma torturano i suoi desiderata scorgendo nella sua estraneità un parziale, per non dire ‘quasi intero’, mistero. Aspirante re in sogni, nella loro sociale retrocessione nella categoria di bisogni si ritrova rebus, passibile di milioni di letture, in balia di un caos a stento addomesticato in oliati convenevoli di larvata e informale diplomazia. Nulla di grave, c’est la vie, questa dimensione è nella fisiologia dell’organismo sociale, non ne costituisce certo una drammatica patologia.
La pianista, però, è molto di più d’una ordinaria assenza di malattie della parvenza. Ella incarna una fulgida eccezione a questa ingarbugliata norma, perché nel suo exploit ‘arriva’ all’apparato sensoriale di Alda come un’angelica, straordinaria creatura “di certissimo aspetto”. Il suo Valore, tendenzialmente metafisico, le attribuisce un assoluto, inequivocabile significato di esistenziale eccellenza. Ella, show wow!, non può che apparire se stessa in una meravigliosa e sintetica ressa di virtù. La strumentista è un Unicum, e chi la contempli ne recepisce no doubt l’originalità trionfante.
Questa assiomatica chiarezza, però, nella mente di Alda -che non riesce proprio ad andare via e la spia come un biografo di un Grande è avido di dettagli della sua privacy- si coniuga con l’emanazione -dai giochi delle sue mirabolanti dita- di “una curva di mistero” e d’una sorprendente “veste nuova”.
Contraddizione o addirittura paradosso? Né l’una né l’altro. La musicista, la rara avis “dalle dritte spalle” è certissima vincitrice, identità inequivocabile, ma proprio per questa leadership è ricca -in quei dieci angioletti in sintesi che suonano divinamente la tastiera un po’ bianca e un po’ nera- di briose evoluzioni e misterioso fascino. La certezza della sua professionale superiorità non può che estrinsecarsi in infinite sorprese sempre in fieri, di cui la sua profana sacertà si bea con un pizzico di legittima civetteria.
La protagonista assurge -nella sua bravura, anche simbolica- a una tale altitudine di qualità che l’estrema punta di questo apice, “più miracolosa che una vetta di sogno”, è capace di sciogliere “i nodi dentro il sangue del male”. La sua arte è bella Estetica che giova a buona Etica. Dona alla poetessa, in raffinato brodo di giuggiole, la catartica sensazione che nella diva, nei suoi “biondi finissimi capelli” -nella letteratura diventano ancora più stretti- l’aria della propria anima si sollevi. La sua spiritualità, affrancandosi dalla norma come astronauta che non lasci orma mentre galleggia nell’aria, saluta, “good-bye”, la forza di gravità e decolla nella galassia di emblemi di quella icastica chioma.
La mente di Alda, donna che ammira, vira, nella traiettoria della sua lira, verso l’artistica grazia della donna che è ammirata, ed è subito il fertile seme della poesia in oggetto, nel penultimo colpo di scena di questo concerto, agli antipodi d’una banalità scema, priva di prodigioso élan.
L’ultimo è ancora più commovente. La poetessa spettatrice, dopo il volo, si alza e si produce in un applauso pieno di pathos, doveroso prima di guadagnare la via d’uscita. La pianista, però, s’alza di scatto, al momento opportuno, si gira e la esorta a smetterla, a interrompere la sua ovazione. La letterata obbedisce, sperando di non aver sbagliato qualcosa, e quando i quattro occhi femminili s’incontrano, in un rendez-vous che somiglia a due pianoforti che si rispettino e duettino nello Spazio, la donna che ha suonato il piano ricambia il battimani, tributando alla donna che ha scritto i versi la medesima ammirazione che ne ha ricevuta. “Grazie, Alda, per il palpito felice della tua sveltissima poesia, capolavoro di certissimo aspetto…”.
Walter Galasso