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DI WALTER GALASSO
Una squinzia, Giulia Rafresi, sexy bionda, fuma una sigaretta davanti al ‘Centro Estetico Romi’, dove lei lavora da anni. Si sta concedendo un break, e medita su come comportarsi con Geppo, il suo Romeo, un guappo che crede d’essere fico. La loro love story procede a gonfie vele, su questo non ci piove, però il suo boyfriend ha un viziaccio: è geloso come un Otello, e la tedia con le sue paranoie. Le telefona molte, troppe volte al giorno, per monitorare la situazione e tenerla sotto controllo. La tempesta di domande, s’incazza se lei risponda non immediatamente a una sua call. Quando vanno in giro la povera Giulia deve fare attenzione a non guardare qualche maschio per più di tre secondi, perché Geppo vede il male anche dove ci sia solo il bene, è capace, se la sua donna osservi troppo un altro, di montare su tutte le furie, ipotizzando che quella sua percezione sottintenda focoso interesse erotico. Lei lo ama, è stata sincera il mese scorso, quando, dopo aver fatto l’amore, gli ha detto che se mai un giorno vorrà convolare a romantici imenei con un principe azzurro sarà lui il fortunato, però, alla luce del suo atteggiamento troppo possessivo, per certi versi asfissiante, comincia a nutrire delle perplessità in merito all’opportunità di continuare a stare insieme a ‘sto personaggio.
La demoiselle decide di fare una breve passeggiata nel quartiere, dopo aver chiesto alla dottoressa Federica Nascimbeni, la titolare dell’esercizio, il permesso di assentarsi per un po’. Ottenuto il nullaosta, e ringraziando la donna -sua datrice di lavoro, ma ormai anche una mezza amica-, la sfiziosa venere si dirige verso il Tevere. Ha una gran voglia di contemplare il solenne fiume, perché quelle acque hanno il magico potere d’insufflare nel suo animo una preziosa forma di serenità. Mentre la donna incede, come una ieratica dea, la sua attenzione, e pure quella di alcuni residenti, è calamitata dall’arrivo, su una bicicletta da corsa, di un signore sui generis. Brizzolato, capellone, la barba di quattro giorni, vestito come un punkabbestia, e con un’espressione che pare sintomatica di una latente alienazione, il ciclista è in cerca d’una via. Ferma alcuni passanti per chiedere dove la street sia, e fin qui nulla di strano. Sorprendente è invece il modo in cui fissa le persone a cui si rivolge. Per certi versi dà l’idea di recitare, di fingere di avere davvero l’intenzione di raggiungere quella strada.
Un signore sulla quarantina, una delle persone da lui interpellate, per un attimo teme che questo sconosciuto stia per aggredirlo e rapinarlo. Fortunatamente quell’uomo, Beppe Poli, non ha cattive intenzioni, anche se il suo aspetto trasandato e la sua brutta cera possano farlo apparire un bandolero. Beppe, a un certo punto, attacca bottone pure con un sacerdote, e questa volta non si limita a trattare l’interlocutore come un navigatore satellitare. Gli dice, infatti, “Sua Eccellenza, mi può offrire un pasto, ché ho una fame da lupo e sono al verde? Da lei mi aspetto pia generosità, altrimenti, glielo dico con tutto il rispetto, mi delude. Se un prelato si comporta come un arpagone sparagnino, beh, dimostra di essere uno che predica bene e razzola malissimo”. Un discorso che spiazza l’interlocutore, don Angelo, preso in contropiede dalla logica di quelle audaci parole, e incuriosisce ancor di più Giulia, fermatasi a osservare questa specie di marziano in Terra.
Intanto una coppia di turisti, lui con un Baedeker in una mano, lei intenta a girare un video con il suo smartphone di ultima generazione, stupiscono molti indigeni, perché stanno camminando a una straordinaria velocità. Hanno una dannata fretta, anelano a raggiungere precipitevolissimevolmente qualche indirizzo. Si devono incontrare con Geppo, il quale, dannato pusher -la signorina Rafresi, poveretta, ne è all’oscuro-, gli deve vendere dosi, dopo un accordo telefonico aumm aumm. V’è, nella nevrotica overdose di ‘pressa’ dei due tossicodipendenti, un mix di dionisiaco brio e una specie di coazione a ripetere, disvalore drammatico. Sembra quasi che non possano fare a meno di sfrecciare come missili, di ire a molti chilometri all’ora. Lui, in particolare, è negativamente falotico, perché, basso, tracagnotto, per deambulare celermente non può non allungare le gambe in modo anomalo, coatto, innaturale. E infatti un artista di strada, Lino Loso, un buffone contrassegnato da una chioma tricologica monstre -una piccola foresta, assai invidiata da molti calvi-, dopo averne visto le esagerate falcate inizia a imitarle in modo caricaturale, per prendere in giro l’uomo.
Giulia, divertita da questa gag, gli si avvicina per complimentarsi, e iniziano a chiacchierare, mentre arriva Geppo, che, vedendo la sua donna in compagnia d’uno sconosciuto, le fa una sfuriata, accusandola d’essere una poco di buono. Fortunatamente interviene Beppe, ancora a digiuno -don Angelo non gli ha regalato neppure pane e companatico-. A stomaco vuoto, ma sempre degno del suo primo soprannome, ‘Il Toro”. Mena ben bene il fidanzato che tratta male una donna, ma i clienti dello spacciatore, non violenti nella parte non in preda a crisi d’astinenza, intervengono in difesa del geloso goloso di male, gridando allo scandalo. I due e lo spacciatore avrebbero dovuto riconoscersi mediante gesti in codice, non essendosi mai visti prima della call, ma ormai, in tutto questo ginepraio, è saltata la vendita di cocaina, che, caduta dalla tasca di Geppo, è scorta dal giustiziere Beppe. L’uomo, allergico a tutto ciò che faccia male, butta le dosi in un cassonetto della monnezza. Il suo organismo preferisce buona roba edule, come il sandwich che il don non gli ha voluto offrire.
Arriva una pantera della polizia, forse chiamata da qualche testimone. C’è qualche persona, a parte la povera e incolpevole Giulia, che in questo casino non meriti il tintinnar di manette?
Walter Galasso
Un racconto caleidoscopico dove ogni personaggio si fa strada per attirare l’attenzione del lettore che, beato, può godere di questo spaccato di varia umanità. Grazie grazie grazie