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DI LEO TIGRE
Gennaro Ambrogio Luxolini: se lo conosci lo eviti. Tipo ambizioso, sin da bebè. Non ancora arrivato a festeggiare il suo quarto genetliaco, già era famosissimo e famigerato nel suo asilo, per la sua propensione a fare di tutto per regalare un vantaggio in più alla sua assetata volontà di potenza. Se costui fosse un uomo politico sarebbe capace di allearsi, in un arco cronologico breve, con quaranta partiti diversi, a seconda del suo tornaconto. Coerenza? Schiena ritta? Ma quando mai! Lui ha un solo imperativo categorico nel cervello -quasi privo di vere idee, come un marciapiede con tanti escrementi di cani e nemmeno un’aiuola-: fare carriera di riffa o di raffa, accumulare guadagni da mille e una notte, e chi se ne fotte se questi obiettivi siano realizzati con un modus operandi così fetente che di più non si possa.
Lui dice di voler bene alla sua Patria ma se, vendendo l’anima al diavolo per migliorare la propria reputazione nella società, belzebù gli dicesse “la tua anima non mi basta, vale troppo poco, mi devi dare pure la più importante bandiera del Bel Paese”, Gennarino non ci penserebbe neppure mezza volta: andrebbe a trafugare il prezioso vessillo tricolore.
Ambrogio teen-ager è una barzelletta tragica. Vitellone e citrullo gonzo, dovrebbe buscarsi, se si fosse in un sistema o.k., una raffica di bocciature, anche perché una volta ha sparato, con una pistola a salve, contro una docente, ergo per sacrosanti motivi disciplinari meritava di ripetere l’anno scolastico. Schiappa nel rendimento, bandolero e brigante nella condotta, l’abominevole pirla dovrebbe essere fermato in tempo utile per non diventare un problema dello Stato. Invece, siccome nell’era del politically correct sovente si ragiona al contrario, va avanti.
Giocano un ruolo non indifferente in questa sua nauseante impunità le entrature della sua famiglia. Il rampollo, ebbene sì, è raccomandato da sempre. Basti pensare che quando ha visto la luce -urca come si sono amareggiati alcuni Pianeti amanti dell’etica!- la sua nascita ha implicato un attentato ai diritti di un’altra persona, la povera Federica. Biologicamente in quella clinica doveva venire al mondo prima quella bambina. Lo zio di Genny, però, per motivi che nessuno ha mai saputo, voleva che fosse questo suo nipotino il primo essere umano nato quel giorno. Ha fatto pressioni sul primario, e questo luminare (degli stivali di un cowboy) lo ha accontentato, adoperandosi scientificamente affinché il parto della piccola Federica fosse procrastinato di qualche ora. Eh, certe volte, nei sistemi non ancora del tutto emancipati dalle scorie del totalitarismo, il carisma di un mandarino fa miracoli.
Torniamo a Gennarino liceale. Pur brocco, nessuno si permette di dire che è l’ultimo della classe, perché secondo una mentalità molto in auge nessuno deve essere reputato superiore a, e più bravo di, un’altra persona. Tutti uguali, Genny e Michelangelo, il teppista e il santo, il delinquente che fa ‘bang bang’ contro una professoressa e l’eroe che si getta fra le fiamme per salvare un suo acerrimo nemico. Non si vuole far torto al peggiore e così lo si fa al migliore. Fra i banchi di scuola il suo rendimento fa ridere i polli, i tacchini e c’è una ragazza che ha visto sghignazzare una comitiva di millepiedi dopo una sua interrogazione. Ciò nondimeno il corpo docente chiude un occhio.
Tutti propendono per il 6 politico ad Ambrogio, tranne un professore che non ci sta, si batte per stoppare questo imbecille, nel suo stesso interesse. Questo bravo personaggio, Ruggero Sansone, dichiara, in una solenne assise a porte chiuse, che se lo assecondano, se non gli fanno capire che è sulla cattiva strada, da quella street non uscirà mai, incapace di realizzarne appieno la negatività. Povero idealista! Nel suo ambiente didattico lo ignorano, e davanti all’entrata del plesso, quando lui esce stringendo nella sua mano destra una ventiquattrore acquistata in un Mercatino dell’Usato, gli si para innanzi un altro zio del signorino Luxolini, un certo Corleopardo, che prima lo insulta e poi lo mena. Sì, lo picchia, lividi e bernoccoli, perché Ruggero è Sansone di cognome ma non di fatto, e non sa fare a botte come un asso di arti marziali.
Provvedimenti di qualche genere? Macché! Anzi, quando un vero giornalista, virtuosa voce assolutamente fuori dal coro, solleva il sospetto che troppo permissivismo rischi di far diventare questo leviatano inferiore alle aree più incivili dell’anecumene, scende in campo il signor provveditore, il dottor commendator Sua Eccellenza La Paranza Daniele Pier Maria. Il Nostro tuona: il pestaggio del docente è affare altrui -per la cronaca: l’energumeno viene arrestato un martedì e rimesso in libertà il lunedì precedente-, mentre quanto al ragazzo la sua promozione s’ha da fare. Certo, ha fatto il pistolero, è un po’ birichino, e nel profitto può fare meglio, come un tozzo di merendina scaduta può essere riciclato e diventare profiterole, però non è il caso di ritardare la sua ascesa. Meglio includere il miglioramento del suo quoziente intellettuale in un processo rieducativo soft.
Immorale morale della favola: Gennarino, grazie a queste stron…cature di metodi didattici più meritocratici, arriva all’Università. Gli addentellati che il suo cognome continua, come prima e più di prima, ad avere nell’establishment rendono subito una discesa il suo cammino accademico. Uno shogun, un grand commis del Ministero competente, l’on Off, al corrente della sua idiosincrasia verso gli oggetti chiamati ‘libri’, telefona al cugino della cognata del padrino della concubina di un altro suo zio, Filippo Lusitano, e chiede alla punta dell’iceberg se tutti loro gradiscano, a beneficio della matricola, che si istituisca la ‘Laurea molto brevissima’: solo un anno scarso, e alla fine, se lo studente risponda esattamente a domande come “mi sai dire qual è il tuo cognome?”, pure lui è un Dottore della Repubblica. E qui succede il colpo di scena che non ti aspetti: zio Filippo, bravissima creatura, non accetta la cortesia. “No… Così non va bene… Il nostro delfino ha da fare pure lui un pezzetto di sana gavetta… Diventerà dottore non prima di un biennio, e in onore di questo arco cronologico aggiungerà ai suoi due nomi, quando sarà uno stimato professionista, il nickname Ennio”. Amen. Il Palazzo prende atto di questo beau geste, e Gennarino inizia a frequentare le lezioni.
Dimostra ben presto di essere uno scafato marpione, di avere stoffa griffata. Mentre fra i suoi colleghi più rispettosi di un potentissimo barone, Carmelo Bocrocco, c’è un 50% che gli lecca i piedi e l’altro cinquanta che fa slurp sul deretano, Gennaro Ambrogio, primo nella storia dell’Ateneo, lecca sia piote che ano. Ed è subito Laurea, ed è subito l’agognato ruolo di Assistente, in connubio con Beatrice Meretrice, destinata a diventare titolare di cattedra alla veneranda età di anni ventinove perché è, fra le amanti del Barone, l’ancella che meglio con lui fa l’amore. Cattedra & Love: ma che meraviglia! Quasi ovviamente pure questo flirt, il più romantico nel clan del boss, non è bello se non è litigarello. Un giorno, siccome il pigmalione ordina a una Casa editrice di pubblicare due libercoli della dottoressa, e non tre come lei desidera, la signorina, piccata e incazzata, con le lunghe unghie della mano destra -rosse a livello cromatico, nere da un punto di vista ideologico- gli graffia la testa. Un solco che neanche un aratro in un podere, pare uno sfregio by mala, e il chiarissimo don Carmelo, dopo punti di sutura per agevolare la cicatrizzazione, deve uscire in pubblico, in una conferenza con due colleghi, con un buffo cerotto sul calvo cranio. Pinzillacchere, l’ammore regge, alla felina rea basta iniziare a far le fusa per rimettere l’innamorato guinzaglio all’autorevole minchione. La professoressa Beatrice Meretrice, nella ressa di portaborse, resta il braccio destro in gonnella del gran capo.
Il dottor Gennarino Ambrogio Luxolini, va da sé, si deve accontentare -in ogni tenzone dai dottorati in poi- della medaglia d’argento, ché quella d’oro è a priori appannaggio di Bea, ma lui non fa storie, non è un sindacalista rompicoglioni, è felice anche nei panni di numero due. È assennato, sa che la ribellione è una lue per uno yuppie rampante. Mai e poi mai si permetterebbe di contestare il leader, non vuole somigliare al presuntuoso anfibio della favola “La rana e il bue”.
Il suo stile paga. Quando, nella sua attività scientifica, scrive un testo in cui propone di sostituire il “Canto degli Italiani” con un brano, un po’ trash, di un cantante folk suo compaesano, il professore chiama un editore, che in passato ha dato alle stampe opere di uno scrittore importante, XY, e gli dice di pubblicare la fatica letteraria. Detto fatto. Gennaro avanza. E l’Inno di Mameli? Per Carmelo Bocrocco un Inno vale l’altro. E la mancanza di rispetto verso XY? Quella piattaforma editoriale si sente con la coscienza a posto: i suoi capolavori sono nella Collana “Mezzi Classici”, mentre lo scritto di Gennarino è solo fra le nuove proposte, “Mezzeseghe sulla cresta dell’onta”…
LEO TIGRE