IL CANTO DELLA LINCE INNAMORATA   [DA FILM  (“LE LINCI SELVAGGE”)  A RACCONTO]

IL CANTO DELLA LINCE INNAMORATA   [DA FILM  (“LE LINCI SELVAGGE”)  A RACCONTO]

IL CANTO DELLA LINCE INNAMORATA   [DA FILM  (“LE LINCI SELVAGGE”)  A RACCONTO]

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COVER

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Le linci selvagge, guarda l’inizio del film  (HD) – MYmovies – DAILYMOTION

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VOCALIZZAZIONI DELLA LINCE NELLA STAGIONE DEGLI AMORI

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DI WALTER GALASSO

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   Jura, Massiccio del Giura. Una lince euroasiatica, ibrido e ambiguo felino, un po’ gatto e un po’ tigre, e pure Lynx Lynx, lupo cerviero. Totemico rebus, creatura ammantata di vaghissima suspense, con un’ecologica aura di arcani segreti, questa protagonista è grazia e mistero al tempo stesso. Il suo nome è antico emblema di sagacia intellettuale.
   Alle sue spalle, in un passato meno baciato da luce di progresso e dalla vittoria dei suoi colti watt, è stata indirizzo di stolta violenza. Ignoranti aguzzini l’hanno perseguitata imputandole Male, ma erano loro a commetterlo nei suoi riguardi. Una caccia che ha cagionato nocumento non solo a lei, ma anche alla biodiversità forestale nell’ideale perimetro del globale ecosistema.
   Pochi umani si sono adoperati per osteggiare cotanto scempio, anche perché questo essere a quattro zampe è schivo, non regala facilmente confidenza all’umanità, e alcune persone celebrano più facilmente un animale che le ami e le faccia sentire importanti.
   Questo atteggiamento non è il massimo del rispetto verso la fauna, che deve essere magnificata sempre e comunque, a prescindere dalla fedele acquiescenza che un esemplare dedichi a un uomo, altrimenti c’è il rischio che questi voglia bene a un pet ‘anche’ (se non soprattutto) perché quello lo mette su un piedistallo e lo tratta come un imperatore. L’amore, quello vero, quello culturale, per gli animali deve essere del tutto disinteressato, mai imparentato, nemmeno alla lontana, con un tornaconto, sia pur nobile. Così come non deve essere condizionato dal quoziente intellettuale della bestiola. È bello se un delfino o un polpo denotino tanta intelligenza, ma non per questo si deve pensare che non valga come questi geni uno struzzo, il cui cervello pesa meno di 27 grammi, lo 0,015% del peso corporeo totale. Il più grande uccello del pianeta non è decisamente un primo della classe. Percependo l’esogena molestia d’una minaccia abbassa la testa fino a metterla sotto la sabbia, pensando -qualche comico potrebbe aggiungere “con endogena stupidità”- di mimetizzarsi e non essere visto dal nemico. Questa ingenuità, solo uno dei tanti esempi del concetto in oggetto, dimostra che esso potrà fare l’en plein in una gara intellettuale e superare Einstein quando Elly Schlein voterà per un partito di Destra ella essendo ancora a capo del Partito Democratico -per definire la non eccelsa perspicacia dello Struthio con un mix di eufemismo e adynaton-. Ciò nondimeno, ed è pure superflua questa precisazione, una tale caratteristica non ne inficia nemmeno minimamente l’importanza etica, che si aggiunge alla sua bellezza estetica, e lo struzzo Totò di Casale Monferrato, simpatico reuccio del Melo Ranch, merita la medesima considerazione del simile più arguto della nostra galassia. Bene ha fatto la Casa editrice Einaudi a renderlo protagonista, in un disegno del grande Pablo Picasso, del suo celebre logo.
   Né il parametro dell’intelligenza né quello dell’amore per noi esseri umani deve dunque condizionare, nel nostro atteggiamento verso gli animali, il nostro rispetto, che ha da dirigersi verso tutti loro. Alcune persone, invece, non hanno ottemperato a questo dettame nei loro rapporti con la lince, che a livello intellettuale è una star, tanto di cappello, ma nella sua interazione con gli esseri umani è fredda, sfuggente, molto riservata e avara di ostentato affetto. Sicché quando mascalzoni, senza moralità nel cuore, hanno iniziato a sparare contro molti esemplari, adducendo ad assurda motivazione una presunta pericolosità e altre fesserie del genere, non si è sollevata, in sua difesa, la dovuta mobilitazione popolare.
   Meno male che le Associazioni battagliere nell’animalismo, e più in genere nell’ambientalismo, sempre sul pezzo, mai in vacanza, si sono prodigate per mettere fine all’empio massacro. I militanti e dirigenti, che nella loro Mission scientifica ed etica, a trecentosessanta gradi, tengono in considerazione pure l’ultimo insetto della Terra, vogliono bene a un gattopardo anche se lui li ignori al cento per cento, anche se non li degni di uno sguardo e li snobbi con allergia alla fraternizzazione. Si sono impegnati rimboccandosi le maniche, hanno fatto il possibile perché questa specie non precipitasse nel nichilistico inferno dell’estinzione e…
   E oggi uno di questi tigrotti, Linceo -l’ho così battezzato per renderlo omonimo del mitico personaggio degli Argonauti-, è qui, rigenerato e libero, con anima lesta in una voglia di fisica festa, in questa foresta piena d’un simbolico vuoto. Come un divo.
   Non ha nulla da invidiare a un grande vip della Decima Musa, non gli manca nemmeno un paparazzo discretamente alle calcagna, magari travestito da impersonale cespuglio, per rubare, a fin di scientifico bene, foto à gogo. C’è Laurent Geslin, noto fotografo naturalista, e da quasi dieci anni anche autore di un nature-drama, “Le linci selvagge”. L’allievo di Cartier Bresson è in un tourbillon di adrenalina e commozione professionale. Ha da aspettare finché Linceo, ora nella stagione degli amori, trovi la sua compagna -un rendez-vous che farà parte dell’apogeo della pellicola-.
   Un corteggiamento speciale, struggente e coinvolgente, prima drammatico e poi romantico, in una dimensione all’inizio assai scomoda. L’ambiente è vasto, spazioso e amico d’una eco che porta seco uno spirito di lotta acustica contro la solitudine. La vocalizzazione del maschio, che abbisogna di un’anima gemella e versa in una vuotissima sua assenza, è famosa, ha fatto e farà il giro del mondo, come uno dei più particolari corteggiamenti in Natura, ma Linceo non lo sa: Linceo, quando vocalizza, e nulla cambia intorno, certe volte vorrebbe quasi piangere, perché non vuole rimanere single. Lui, con tipici e reiterati richiami, simili a nulla, lancia un SOS alla fortuna. È giù di corda, forse dispera che nei paraggi ci sia una femmina, ma ci prova, tentar non nuoce, e fa del suo meglio.
   La sua vista è performante, tanto da assurgere a un’antonomasia, ma in questa sfida non serve, ci vuole un canto, emanato con insistenza, indefesso, ostinato, romantico. Intorno sprazzi di venti irregolari, un ginepraio di sibili ora soavi ora sinistri. La trasparenza della capiente valle è povertà, seme di crisi, incubo che asfissia l’animo del frustrato pretendente e lo condanna a sentirsi come un elefante prigioniero d’uno stretto tubo. L’esemplare, che quando vuole è un temibile predatore, in queste ore è solo un insicuro tipo, affetto da amor represso. Invoca lei, la lince Miss Lonza, con vocalizzazioni capaci di correre nell’aere per chilometri.
   L’istinto è un utilissimo consigliere:  insuffla in Linceo la certezza che i suoi erotici messaggi possano essere uditi e ricambiati da una gattoparda. E pure la foresta, che si chiama Giura, lo incoraggia e gli giura -sui suoi alberi più sublimi- che il suo felino sogno può essere coronato da successo. Basta insistere, crederci, e fidarsi dell’Universo, senza nessuna società di mezzo, se non la famiglia -all’inizio due, poi un po’ più numerosa, dopo il matrimoniale accoppiamento- che Linceo, invaghito dell’idea dell’Amore, vuole formare con una bella compagna.
   La chiama la chiama la chiama… e sempre delusa è la sua speranza. Abbonda lo spazio, chilometri quadrati moltiplicati per un alto numero, ma scarseggia la soddisfazione, ancorata a un brullo grado zero. Un deserto, un inferno dove paradossalmente fa freddo, almeno nel suo cuore di aspirante conquistatore. Ne è passato di tempo dal primo urlo, ne sa qualcosa il regista, ormai esausto e prostrato nella sua diuturna attesa, con un formicolio in alcune sue anchilosate membra. Ma Linceo è un duro nella fragilità della sua insecuritas, non molla, canta a squarciagola e…
   Un momento… Ma… Sììì!!! È una lei! Una femmina ha percepito questo eroe minore e ora sta pure rispondendo, segno che ci sta. Linceo, udita la Meta, è in brodo di giuggiole, non vede l’ora d’incontrarla, mentre il suo canto, melodia di lince innamorata, si avvia al suo diapason, e Laurent Geslin al compimento del suo film, “Le linci selvagge”. Un’opera, bella anche poeticamente, pronta a viaggiare dal Massiccio del Giura alle sale cinematografiche, e dalle sale al video di questo articolo.

Walter Galasso