DI WALTER GALASSO
Un’entità ideale, adoperando un utensile di fantasia, colpisce un gong artistico, scultoreo, e dalla suggestiva percussione emana l’inizio di un febbrile conto alla rovescia, pieno di una fiabesca eco e di avventurosa adrenalina. Meno trecento, meno 299… meno 1: albeggia, fra pirotecnici fuochi d’artificio, lo start di un planetario voyage. Crociera al novantanove per cento fisica, all’1 metafisica, nel senso che il protagonista, un animo voglioso di alzare viepiù l’asticella nell’élan della sua esperienza eroica, ha da superare la propria semplicità individuale. Deve, perché deve, conoscersi meglio, osare, catturare nel cosmo enzimi di crescita esponenziale.
Rinchiude in una bacheca, senza farli prigionieri, alcuni suoi usi e costumi, dicendogli “Arrivederci, ci vediamo al mio ritorno”. Appronta, con brillante spirito di adattamento, un consono equipaggio, tollerando, con pragmatica saggezza, la sua imperfezione. Non ha tifosi, e deve fare i conti con una sola forza nemica: la fifa che alberga in un angolo, alquanto moscio, del suo cuore. Paura di ignoti imprevisti, il terrore di fare qualche figura barbina che induca la sua ragazza a mollarlo, parziale angoscia al pensiero che sulla faccia della Terra lo aspetti, per qualche imperscrutabile disegno dell’Istituzione chiamata Destino, una waterloo della sua effervescente reputazione. Ma questo grappolo d’invisibili freni è minoranza nell’insieme delle sue pulsioni.
La maggioranza è tinta di rosa, consta di energie ottimiste, tanto pimpanti da essere spavalde come un guascone. E la sua colonna sonora è una fanfara che sprizza gagliardia da tutti gli strumenti. Questo animo, Nome, anela a scoprire pezzi di Altrove, vuole esplorare siti dove nessuno sia mai arrivato, agogna alternative prive di contro, zeppe di gusto, didatticamente istruttive.
Non redige, nell’immediata vigilia dell’incipit di questo ‘racconto’ pratico, nessuna road map. Deciderà di volta in volta il da farsi; eventualmente, all’uopo, metterà in discussione la sacertà di metodi da lui usati e abusati fino all’altro ieri, perché un vero man all’occorrenza deve dimostrare, a sé e alle stelle più prestigiose, la capacità di aggiornarsi fino a una parziale trasfigurazione della propria collaudata identità.
Ovviamente spera che questa speciale vacanza sia baciata, kiss e smack, dalla dea bendata, ma ci tiene a precisare, quando rilascia l’ultima intervista ai mass media prima della partenza ufficiale, che l’auspicio di fortuna in lui si coniuga e abbina con la responsabile e mitica voglia di meritare l’eventuale attingimento di buoni risultati. Fortunato sì, ma non senza propiziare con il suo valore la buona sorte.
Finalmente Nome dà il la alla sua avventura. Non fa caso a quale sia di fatto il suo budget, e contestualmente evita di fissare un plafond nella previsione delle spese. La sua Mission è romantica, è bene che non sia sporcata da nevrotici patemi di dozzinale pecunia.
Piuttosto, pochi minuti dopo essersi messo in cammino, si chiede come debba essere la zona in cui il suo giro toccherà, a livello qualitativo, il diapason. Una domanda a cui la sua robusta e poetica immaginazione vuole rispondere, senza cavarsela con una rimozione codarda. Lui brama l’arrivo in un posto particolarmente in, con un non so che di straordinario, un eldorado ma in senso lato, pieno di fascino davvero glamour, non di comfort o di leccornie gratis o di occasioni, à gogo, per soddisfare con scatenato edonismo alcune delle sue ricorrenti passioni materiali. Nome, forse con un pizzico di civetteria snob, preferisce che l’highlight più rilevante in questa esotica holiday sia ambientato spazialmente in una dimensione originale, scevra di déjà vu, paragonabile a un teatro così peregrino nella sua bellezza inconsueta che in una pièce tutti gli attori, dall’istrione della compagnia a una schiappa, siano ignorati dal pubblico, intento ad ammirare il design del proscenio e di ogni altra parte dell’immobile. Un sito, dunque, davvero wonderful, segnalato come tale finanche da Google Maps.
Il temerario viaggiatore, beandosi segretamente dell’inizio di questa sua empirica espansione, nelle prime fasi attraversa un melting pot di particelle culturali. Overdose di caos, l’acustica violenza di rumori continui, un miliardo di eterogenee voci, facenti parte d’una babele difficile da decifrare.
Si avvale di diversi mezzi di trasporto. S’immerge come un urbano sub nelle viscere underground di città -normali Comuni e megalopoli equivalenti a piccoli Stati-, talvolta disegnando, in attesa di vagoni della Metro, le monotone geometrie di binari futuristici. Poi un poker di treni TAV, in prima classe per sentirsi alquanto vip. Non disdegna il trasporto su gomma, imbucandosi come un utente clandestino su un torpedone di ricercatori accademici, diretti a uno dei due Poli per effettuare esperimenti scientifici. Meno male che il controllore, ferito da un inaspettato tradimento della sua signora, ha la testa fra le nuvole e non controlla nulla eccetto la sua gelosia da Otello, punto nel cervello da un proditorio affronto. Il voyager, sceso al momento opportuno dal pullman di baccellieri, e avendo già percorso migliaia di chilometri via terra, adesso abbisogna di un aereo, perché deve andare dall’altra parte dell’Oceano Atlantico: un’eternità su una nave non gli talenta, a nuoto ovviamente non se ne parla, è meglio che salga a bordo di un jumbo.
Per recarsi nel più vicino aeroporto fa l’autostop, ma nessuno gli dà retta, perché a queste latitudine e longitudine i più diffidano di un globe-trotter sognatore. Che fare? Rimettersi su un treno dell’altissima velocità? Preferisce acquistare una bicicletta e pedalare per tot giorni, fino allo scalo.
Ha un grande mal di testa, l’altra faccia della soddisfazione di aver esperito già molti elementi nuovi. Tutto bello, tutto interessante, ma il tourbillon di persone e animali non umani, espressione d’una rumorosa e armonica pienezza, ha stressato il suo ipersensibile animo. Pazienza, paga volentieri questo costo, il fine morale giustifica la piccola spesa patologica, egli ha incrementato il proprio bagaglio culturale: che sarà mai una passeggera bua nella parte pensante di sé!
Il jet decolla, le sue tecnologiche ali salgono sopra le nuvole, e Nome, con posto vicino al finestrino, si gode il panorama oltre il piccolo, vastissimo oblò, un televisore con vista su un vertiginoso sogno. Il volo è diretto in Nevada, segnatamente a Las Vegas. Nome non vede l’ora di giocare come un gaio pazzo in un casinò hors ligne, un grandissmo locale, presentato in un Baedeker come teatro di sciccherie stranissime. Purtroppo, però, a causa di un incredibile problema -insufficiente dose di carburante-, il velivolo è costretto a un precoce atterraggio, non in un ufficiale scalo ma in una vastissima aia, non lontana da una stazione ferroviaria ben collegata con il resto dello Stato. Il pilota, in accordo con il boss della Compagnia, lancia un S.O.S. ad autorità locali, spiegando il problema e chiedendo che vengano inviate navette, per accompagnare i passeggeri nella stazione.
Arrivati questi autobus, in Nome succede qualcosa di strano. Invece di salire a bordo di uno di questi veicoli, preferisce, seguendo una strana indicazione del suo istinto, proseguire il viaggio a piedi, e dirigersi dove lo spinga il caso. E il caso lo indirizza in una fetta di anecumene: il deserto Black Rock. Il giovane, all’inizio spaventato, si rende ben presto conto che non tutti i mali hanno il potere di nuocere. In mezzo a questa fantasmagorica dimensione, l’esatto contrario del casino ch’egli ha attraversato sin dall’inizio della partenza, comincia a conoscere l’altra faccia della civiltà. C’è un silenzio assoluto, intorno a lui, sopra, sotto, da est e da ovest, dappertutto. Nessuno ha bisogno, da queste parti, d’intimare “Sst!”. Regna l’assenza di voci, strumenti, movimenti. Nemmeno il sibilo d’una lucertola che strisci a zig-zag sul meridionale suolo.
Mancano gli spettacoli orchestrali, i discorsi importanti e le chiacchiere frivole, il traffico di auto che inquinano mentre sono dinamicamente utili, i minacciosi versi di animali feroci, le fregnacce di chi fa propaganda, i decibel di sudati men at work, le moltitudini di viaggiatori stipati come sardine su mezzi pubblici, le marmitte delle moto di idioti teddy boys, gli iloti che chiedono l’elemosina pregando i passanti, le auto blu di Presidenti con perenne precedenza e… L’elenco è lunghissimo, si fa prima a dire che cosa c’è: sabbia + Vuoto, silente quiete, un miliardo di simboli del Nulla.
Nome, di primo acchito tanto esterrefatto quanto turbato, psicologicamente aggredito dalla carenza di sollecitazioni esterne, ha un’illuminazione. Dopo aver esclamato “Ho i brividi!”, solo soletto in questo Deserto del Nevada -simile, nella sua etichetta, a una band di heavy metal, ma agli antipodi del baccanale fatto sul palco dai Guns N’ Roses-, capisce che l’assenza di stimoli esogeni fa paradossalmente il paio con l’endogena emersione del centro della sua identità. Egli ha la sensazione, in questo connubio di vuoto e silenzio, di percepire con meravigliosa chiarezza l’essenza della sua personalità. E mentre ha l’impressione di sentirla, cioè di conoscersi meglio, prova un altro brivido, di felicità.
Sta realizzando appieno la Mission del suo viaggio, in un posto esattamente antitetico al modo in cui aveva immaginato, durante la partenza, il luogo ideale per fare un’esperienza alternativa. Pensa ‘o.k.’, mentre si guarda intorno e contempla il sublime Black Rock.
Walter Galasso