*
COVER
*
DI WALTER GALASSO
Saluto con lo sguardo il gigante elegante, il Viadotto della bella Desenzano del Garda, creatura in certo senso sorella del Canale di Suez, perché a monte d’entrambe v’è la brava mente di Luigi (Alois) Negrelli, ingegnere di fama internazionale. Abbisogna d’un nome proprio, lo merita, e provvedo a dargli, come neonato nome di battesimo, una specie di acronimo, Videga, come un’informatica App che converte video in GIF, come un team che importa vini, come… Non importa, lui, al netto di omonimie superficiali, è unico, amico di originalità, campione silente, poche chiacchiere e molti fatti monumentali.
Non parla, è muto, ma solo a livello linguistico, perché sono tanti gli altri modi di comunicare, e lui ne conosce e padroneggia diversi. Si esprime, sia pur a modo suo, e ascolta benissimo, meglio di chi fa finta di essere interessato a ciò che dico e scrivo, ma sotto sotto poco se ne importa. Lui è l’esatto contrario: sembra che non sia calamitato da questo scritto, e invece no, anzi ho la sensazione che stia, con composta e austera letizia, sorridendo compiaciuto.
Ciao, protagonista di questo articolo, voglio cantare il tuo suggestivo valore, a maggior ragione perché bolle in pentola, nella kitchen del Progresso, una bella iniziativa, di cui parlerò -ora nulla spoilerando- in seguito, dopo aver trasmesso al mio pubblico qualche lode della tua immota e vivacissima valentia.
Videga, campione ferroviario, sulla linea Milano-Venezia -non so se mi spiego-, e vicino di casa dell’incantevole Lago di Garda, duetta con aulenti e idilliache colline moreniche. Loro sprizzano segreti da tutti i vegetali e lui li raccoglie al volo, e poi, in un metafisico feedback, li rimanda indietro dopo averli affinati, in una nuova veste, così migliorata che le colline non ci possono credere e si sentono, nel ritorno, cresciute, più alte, non a livello di metri ma nella profondità della loro sublime cultura.
Il signor Videga albeggia nell’esatta metà dell’Ottocento. Tanto fluido e invisibile tempo è transitato sotto le sue diciassette arcate monstre, a sesto acuto e affascinanti come eroi cristallizzati in un eterno fermo-immagine. Secondi minuti ore giorni ebdomade… insieme a domande e sguardi di viaggiatori concentrati nel portargli rispetto, vicino a ubertosi campi, pieni di potenziali e provvidenziali derrate, con rii desiderosi di avere più meandri per essere più monelli sulle cartine geografiche. Lui domina lassù, a 33 metri di altitudine -solo una volta un poeta, per scherzare con i suoi dati tecnici, gli ha detto “dica trentatré”, e Videga ha sorriso-.
Nulla in lui è casuale, ché il suo demiurgo, bravo di suo, proprietario d’insight da manuale, si consulta, essendo l’opera pubblica in fieri, con un think tank di bravissima gente del posto. Persone in gamba, i signori e padroni di questo incantevole spicchio di Lombardia, secondi a nessuno nel conoscere a menadito l’animo di questo luogo. E questi magistrali autoctoni inducono chi di dovere a insufflare nella forma del ponte un non so che di gotico. Uno yuppie fighetto, un pistola venuto da lontano e cresciuto a conformismo & teoria, sostiene, tentando di osteggiare questa morfologia architettonica, che l’analogia con cattedrali gotiche mal si attaglia alla sua mastodontica possanza, e aggiunge altresì… Fortunatamente gli abitanti di Desenzano gl’impediscono di seguitare in questa raffica di fanfaluche, suggeriscono al bauscia d’indossare una griffata museruola quand’è in vena di esternare fregnacce. Vince, nell’erezione, il suddetto stile. Meglio così, esso avendo, eccome, il suo perché: consente, soprattutto a chi provenga da Lonato, di gustare un po’ il lago.
L’opera prosegue, avanza dall’adolescenza all’età più adulta, con una primizia dell’edilizia, a livello di materia, ossia quel cemento idraulico che in futuro si diffonderà come Portland. Ma nell”hardware’ del colosso vi sono anche, in questa prima puntata della sua storia, classici come il marmo di Rezzato e la pietra di Verona. Un gradevole pot-pourri, assemblato dalle sapienti mani di operai che, coraggiosamente, devono pure abbarbicarsi, senza vertigini, su altissime impalcature. No, questi uomini, con il loro stacanovismo -lavorano anche di notte-, la loro indefessa e proletaria fatica, non entrano nella Storia come l’ingegner Negrelli, ma si accasano nella memoria del viadotto, che si ricorda perfettamente del nome e cognome di tutti questi men at work, dei calli che nella valle del Rio Freddo lo hanno creato.
In precedenza purtroppo ho dovuto scrivere ‘prima puntata’. Durante la seconda guerra mondiale, infatti, viene devastato da bombardamenti, il 15 luglio 1944, e poi da tedeschi in ritirata. L’amore del suo popolo, che non si rassegna a non averlo più, fa sì che Videga rinasca dalle sue ceneri, paradigma di diacronica resilienza, in una versione bis a base di calcestruzzo armato. L’Associazione di Studi Storici “Carlo Brusa” ha trattato anche questa dolorosa pagina del suo passato nell’opera “Il viadotto ferroviario di Desenzano. Costruzione – bombardamento – ricostruzione”, di Giancarlo Ganzerla (liberedizioni). Solo un anno l’arco cronologico di questa impresa, poetica prima che materiale. Il pathos dell’affetto mette il turbo, in tutto, volere è potere, abbondano parole che possano fungere da mantra e wellerismi pro riscossa, ma mi astengo dall’esaustività di un inventario integrale, ché Videga, eloquentissimo simbolo di poche parole, preferisce il minimalismo di una descrizione carica di roba ma con semplicità: come lui. E gradisce la mia riservata, sintetica contemplazione del suo profilo record. Sibili corridori di un indecifrabile wind sfrecciano sotto di lui, mentre la mia mente ne osserva il frame ambientale con la sensazione che esso, nel quadro, sia un munifico centro, che condivide il suo appeal glamour con la periferica cornice.
È arrivato il momento di celebrare la suddetta svolta al suo orizzonte. Videga la conosce, lo hanno già informato, ma è un galantuomo, non la ostenta, né, se qualcuno finga di ignorarla in un’indifferenza causata dall’invidia, se ne duole: non se ne può fregare di meno, solenne e imperturbabile, superiore alla meschinità di ogni nullità che sia un numero uno solo nel livore. Bravo Videga, ti ammiro anche per questo, e comunque parlo io di questa novità, sono sicuro che apprezzerai il mio rispetto. Una startup sua conterranea, “Holidea Italia”, capitanata da talentuosi imprenditori di Brescia, ha deciso di fargli un regalo: un restyling denominato “Under The Bridge”.
Cogliendo l’occasione d’una messa in sicurezza, con la realizzazione di adeguate e aggiornate misure anti-sismiche, Matia Merli, Founding Partner and Chief Designer, e Luca Bignotti, Founding Partner, project manager and BIM Coordinator, vogliono abbellirlo, all’insegna di un’architettura 5.0, trasformandolo in un attrattivo parco polifunzionale sullo splendido Lago. L’équipe è competente e ha entusiasmo culturale. Sara Zamboni, Arielle Carvalho, Letizia Cabrini, Damiano Corradini, Jean Louis Ghys, Lorenzo Guicciardi e Ludovico Maria Merli cooperano con performante know-how nel perseguimento del comune obiettivo. Un grande lavoro di squadra, da porre in essere mediante un sinergico network, e abbinato con un preciso e turistico info-point. Tante le funzioni nella nuova identità, da aree di coworking a orti urbani, con la chicca geometrica rappresentata da spazi esagonali, adibiti a varie funzioni. Ovvio imperativo categorico d’ogni intervento: un’ecologica sostenibilità.
Il Ponte ha da diventare un ‘landmark bresciano’ paragonabile a una “Tour Eiffel sdraiata”, in orizzontale. Caro Videga, faccio un salto a Parigi, per informare la Torre. Sono convinto che, quando le dirò che tu sei onorato di somigliarle, lei mi dirà “C’est réciproque!”.
Walter Galasso