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DI WALTER GALASSO
Capitale della Norvegia, Oslo, un centro (commerciale), Vulkan, due volte tale, essendo ubicato nel centro della città. Un babelico ambaradan, miliardi di pulsioni eterogenee. Slanci di compulsivo consumismo, ossessioni & oniomania sotto un travestimento festivo, in una tempesta di libidico divertissement che può avere tratti in comune, sul fondale degli abissi dell’inconscio, con l’Urlo di Munch, capolavoro a casa sua in questa bella città.
Ogni eccesso può fare danni ed essere un boomerang. Montagne, senza vegetazione, di relax con moscia azione, e comprare comprare comprare, e la mente pilotata da un superficiale edonismo come con un relè apri e chiudi un cancello elettronico. Il mestiere del Michelaccio: mangiare bere e andare a spasso, un mezzo rito che vale come un doppio mito in certe mentalità di maniera: sembra un valore, ma forse è anche un errore. Perché quando la Ragione, quella piena e bella, si appisola, si possono svegliare mostri. Nell’overdose di disimpegno si può annidare un invisibile vuoto, procugino dell’angoscia: un burrone falsamente riempito con giochi di Roba e frivoli usi e costumi. S.O.S. alla Cultura, che può trasformarlo in pienezza di senso.
Questo problema, ovviamente, riguarda solo una parte del clima in oggetto. In assenza di questa precisazione il presente cahier de doléances sarebbe moralistico, e non etico, e incompleto, e non teoretico. V’è anche tanta bellezza interiore nelle agitate e sorridenti onde di shopping effervescente, passeggiate a ruota libera, doni à gogo, chiacchiere per stare insieme, suggerimenti dati da… a…, pets portati al guinzaglio o in braccio. E poi un melting pot di tipologie esistenziali. Orde di giovani alla moda e matusa illuminati da sagge leggende sui fiordi, comitive di eccitati turisti, dolcemente spaesati nell’ignoranza di questa parte di Via Lattea, e tribù di baldanzosi indigeni, che beneficiano, nella loro manifesta disinvoltura, della tendenziale souplesse insita nell’appartenenza delle loro radici a questa metropoli.
Tira un’aria sbarazzina, nella sfavillante e chiassosa atmosfera ci sono tonnellate di commercio e grammi di poesia, la veloce efficienza dei forti e il larvato disagio di chi, debole diventato nell’empirica vicenda della sua crescita, deve fare i conti, soprattutto quand’è in mezzo a tanta gggente, con i lacci e lacciuoli di negativi condizionamenti psicologici.
Ma non fa niente: questo décalage quasi non si nota nella concitata e melodiosa baraonda generale, anche perché ognuno fa caso a tutti gli altri, ma tutti spesso nemmeno si accorgono di ‘ognuno’. Trionfano stili dispari, qua metaforiche fiammate di ostentazione trash, da parte di animi che stanno male se non flexano il fior fiore di sé; là la spirituale classe di geni schivi, magari formidabili nella loro segretissima interiorità, ma incapaci, nel pubblico e mondano caos, d’estrinsecare appieno, ai tanti occhi altrui, l’introverso valore che alberga nell’intimità del loro cervello.
Il fascio di queste incoerenze è solo l’apicale punta di un iceberg, ché ogni società, sia una che si chiami Unione Europea, sia un centro commerciale nel cuore d’una città norvegese, è un intricatissimo insieme di differenze che, prese in gruppo, profumano di sciolta intesa. Il tutto fila liscio, in un amalgama che, sospinto da un motore olistico, funziona alla grande, anche se un singolo possa sentirsi solissimo in mezzo a una moltitudine di altri esseri umani.
Gioca un tipico e topico ruolo in questo concento norvegese, coccolato dalla vicinanza del fiume Akerselva, la pluralità di funzioni sociali, tant’è che talvolta Vulkan viene definito ‘città nella città’. Negozi, certo, ma tanta altra sostanza, da intellettuali uffici -e fin qui nulla di nuovo sotto il Sole- a -attenzione!, qui subentra un motivo di superlativa sorpresa!- pozzi geologici che sprofondano nelle viscere della city fino a trecento metri sotto la superficie. Tanto business, ma creativo, mica banale; un centro di spericolato Climbing; pareti affrescate con graffiti che calamitano l’attenzione come acqua in un pozzo sia pescata dall’alto mediante un secchio d’antan; spirituali luoghi di culto; possibilità di aiutare lo smalto dei muscoli con viaggi in canoa; tanti modi, in uno scenario ecologico e sostenibile, di tuffarsi in esperienze di Cultura e, durante l’immersione, contribuire, come in un happening all’avanguardia, alla maiuscola del meraviglioso termine, in un osmotico intreccio fra dare e avere, fra insegnare e imparare. Ma -giunta è qui l’ora di un epocale chiarimento- pure i classici, mercantili negozi, che in questo centro commerciale -come in qualsiasi altro- restano pur sempre i detentori del principale protagonismo, sono una parte della dimensione culturale, non un’antitesi alla sua importanza.
E in uno di questi negozi, Smak av Italia, lavora Martina: Martina Voce, fiorentina, anni ventuno, anche studentessa. La sua intelligenza, inerente con grazia intellettuale a questo composito microcosmo, partecipa al quadro d’insieme con un impegno, serio e qualificato, che si abbina armonicamente con il globale clima festivo. Martina, general manager a livello professionale, in privato è una ragazza single. Da poco. Già fidanzata con un giovane informatico, di 24 anni, Mohit Kumar, un norvegese oriundo dell’India, ha interrotto la relazione un paio di mesi fa, dopo due anni e mezzo di fidanzamento. Un desiderio unilaterale, non ricambiato, ma in amore unilaterale è equivalente a ‘totale’, perché l’unione si regge sulla volontà di ambedue le polarità, e deve calare il sipario sulla storia sia nel caso in cui entrambe le polarità vogliano il “The End” sia se una lasci l’altra e l’altra aneli alla continuazione.
Discorso ovvio, e sembra che il ragazzo lo capisca e lo accetti. Sembra, ma purtroppo l’apparenza inganna. Costui prima la molesta con atti di stalking su social network, e la vittima è chiara: “o ci dai un taglio o ti denuncio”. Poi si presenta nell’esercizio dove la ex sta lavorando.
È armato di un coltello, e lo usa, contro la povera e inerme donna, con abominevole e vigliacca malvagità. Tanti colpi, anche uno alla carotide. Trenta pugnalate in tutto. Provvidenziale il coraggioso intervento -Martina a terra e in gravissime condizioni- di un collega della ragazza, Oliver, insieme a un altro compagno di lavoro. L’eroe evita il peggio. Nasce una colluttazione e, nello scontro, Oliver è costretto a colpire il mostro con la sua stessa arma.
Apro una parentesi: all’inizio arrestato, ché il suo colpo ha causato ferite al bruto, viene poco dopo liberato, perché le forze dell’ordine e la magistratura, con buon senso e una maxi ragione, comprendono che un salvatore di vita altrui, che ha cagionato nocumento a un orco solo per impedirgli di diventare un assassino, va lodato, non assurdamente trattato come un criminale. Egli avrebbe ricevuto un simile trattamento in qualsiasi altro Paese del pianeta Terra?…
Martina, fortunatamente difesa da un uomo che non si è girato dall’altra parte, versa purtroppo in gravissime condizioni. Ha già subito molte operazioni, il 26 dicembre la quinta. L’ultima, alla mano sinistra, la parte più lesa, è durata sei ore. Molto complicata la ricostruzione di tendini e legamenti. Prima di entrare in sala operatoria, con il tubo della tracheotomia, ha visto il padre, Carlo, che le ha trasmesso coraggio con il suo amore e lei, dopo avergli inviato un bacio, con un cenno eloquente gli ha comunicato, campionessa d’una grande forza d’animo, “Tutto o.k.”.
La donna è l’ennesimo bersaglio d’una ferina, selvaggia prepotenza di un uomo che non si rassegna, con incivile mancanza di rispetto, alla fine di una relazione. L’ha aggredita proditoriamente, l’ha colpita alla gola, evidentemente intenzionato a ucciderla. Un orrore, un comportamento sintomatico di una cattiveria mostruosa. La vittima è stata sottratta all’omicidio dall’intervento di due brave persone e dalla sua forza interiore.
In queste ore i medici la stanno gradatamente risvegliando. L’avvocato Carlo Voce ha detto “la cucciola è forte”. Forza Martina, ti auguriamo ogni bene.
Walter Galasso