QUA ACQUA E PUREZZA, LÀ PURE   [DA PAINTING A RACCONTO;  MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA, JAN BRUEGHEL IL VECCHIO DEI VELLUTI,  “ALLEGORIA DELL’ ACQUA”;  1  VIDEO]

QUA ACQUA E PUREZZA, LÀ PURE   [DA PAINTING A RACCONTO;  MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA, JAN BRUEGHEL IL VECCHIO DEI VELLUTI,  “ALLEGORIA DELL’ ACQUA”;  1  VIDEO]

QUA ACQUA E PUREZZA, LÀ PURE   [DA PAINTING A RACCONTO;  MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA, JAN BRUEGHEL IL VECCHIO DEI VELLUTI,  “ALLEGORIA DELL’ ACQUA”;  1  VIDEO]

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ALLEGORIA DELL’ACQUA – JAN BRUEGHEL IL VECCHIO DEI VELLUTI – Pinacoteca Ambrosiana – 8 apr 2020

DI WALTER GALASSO

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   Binari vegetali, implicita ferrovia in verticale, nell’ombelico d’una situazione eterogenea. Tronchi non monchi, coronati da una chioma che ne rappresenta una prolunga, non un’antitesi, una protesi che ne spiega il senso e la funzione meglio d’una tesi. Ho voglia di viaggiare su quella centralissima pista lignea, partendo da una mera percezione e arrivando dietro la sua fenomenologia, nel caveau che custodisce i suoi segreti semantici, gli sviluppi dei suoi semi, il non plus ultra della teoretica lucidità.
   Abbarbicarsi su lattice e schegge, scalare come un sogno felino la scabra, nervosa, irregolare superficie della corteccia, appannaggio di pulitissimi eroi, ché la feccia della perdonata mediocrità scivola e precipita quando il rock climbing si fa duro come un diamante.
   In mezzo ai precipui binari un terzo ramo, tree come tre, e l’élan dell’albero intero migliora nella solidarietà, diventa slancio coeso e imbattibile. I possenti coni, fatti di fisso legno, di certezze a prova di accetta, di solidità collaudata nella storia del loro tempo, sorreggono una prosperosa sintesi forestale, una indoma chioma di diligenti foglie che, nel loro armonico insieme, salgono verso il tetto del quadro globale. Corteggiano con green acquiescenza la volta celeste, aspirano a spazzolarla, quando ne sia il caso, e anche, nei momenti in cui sprofondi in un letargico standby ogni sporcizia del mondo, a giocare con rispetto, facendo il solletico e nel contempo chiedendo scusa. Anelo a questa mitica arrampicata, più celere di un ascensore, con piedi tranquilli come quelli di un provetto alpinista su una scala con steps zeppi di comfort, ben sapendo che anche oltre la cornice non si potrà vedere lo scalo d’arrivo.
   Fatica e savio orientamento, zero vertigini, gaiezza per un clima ottimale. A sud, alle pendici dell’albero, monumentale come la pesantissima e ieratica statua di un eroe a cui la civiltà debba molto, c’è un’acqua, catartica e operaia, provvidenziale per detergere l’equipaggio dell’onirico voyage. Proprio mentre sono in procinto di scriverle un messaggio, per dire grazie al suo flusso che non dorme mai e aiuta ogni argonauta nell’universo, mi accorgo di una stupefacente stranezza, non incredibile, perché le credo magnificamente, ma rara come una superlativa Eccezione, che dia filo da torcere a saccenti professori intenti a scrivere un’enciclopedia che gli faccia comodo. Dal nord, da un settentrione -in mezzo al verde- che fa parte della stessa periferia che nel dipinto ospita il suddetto cielo, scende H2O. Una frizzante, naturalissima cascatella che, in una bucolica armonia degli elementi, suona un mix di fruscio, note notevoli e un silenzio parziale. Guardo meglio, rivedo e strabuzzo gli occhi, ho l’impressione che la waterfall sia, a livello ottico, quasi sorella dei due tronchi. Fra essi e l’equoreo flusso è stata creata, dal demiurgo della scena, una specie d’inclinata simmetria, e il semifinale risultato forse è una foggia di V, come la lettera, come un indice e un medio che in una gioiosa mano si divarichino per simboleggiare una vittoria.
   Già avvinghiato all’austero e bino tronco, con il motore della mia curiosità da poco acceso per intraprendere l’exploit e lasciarmi alle spalle la bassa normalità di passeggiate senza volo, istintivamente mi guardo intorno, mentre dolci versi di promiscui animali gareggiano con un’orchestra nella qualità della loro laconica sinfonia. E m’accorgo d’un dettaglio che, nella foga dell’abbrivo, mi era sfuggito. Alla base del vegetale interagiscono le dispari polarità di un duo. Domina, seduto, l’essere che è nato prima -probabilmente una divinità in Terra-, augusto come un Prof che insegni qualcosa, canuto e allergico ai barbieri. In piedi il più giovane, con un abbigliamento rosso come un simbolo esibizionista, un ragazzo che nell’intuito di quarantanove spettatori su cinquanta, se tanto gli dia tanto, recita il ruolo di allievo. Data la rispettiva posizione, essi per parlarsi devono fare -soprattutto il primo- un terzo di acrobazia. Il Maestro si gira, in una stoica scomodità della sua inerzia, e il discente ha da inclinarsi. A parte la postura, sono diversissimi, salvo che in un denominatore comune su cui desidero mettere un accento -con delicatezza, altrimenti rischio di ledere il fragile trait d’union-. Sia chi ne sa di più che il deuteragonista hanno una patente conchiglia da cui esce acqua. Evidentemente fra insegnare e imparare v’è meno differenza di quanto possa pensare un pigro alfiere della tradizione. I luoghi comuni, nella traduzione fatta dall’arte, possono rivelarsi dei falsi amici.
   Ma il meglio di questa decodificazione deve ancora arrivare, almeno io credo. Perché il fiume-laghetto in cui si versa il (limitato) contenuto dei due maxi gusci -quello del decano, va da sé, è il più grande, ‘primus inter pares’- è alimentato, anche e Soprattutto, dalla cascata. Morale della liquida favola:  professore e scolaro, in questa “ALLEGORIA DELL’ ACQUA”,  la versano, nella base dell’immagine, nella misura del possibile -una quantità che può essere definita “un dignitoso poco”-, ma il Valore che fluisce nel limite meridionale dell’opera è nutrito ancor di più da un affluente superno, che emana dall’alto, dovizioso, abbondante, necessario affinché giù, nello specchio d’acqua in fieri, possa esserci l’equivalente fluido, e metaforico, d’una cornucopia culturale. Tuttavia mi corre l’obbligo, io testimone oculare di questo tripudio situazionale, di aggiungere che i due soggetti non escono umiliati da questo spaccato di Natura -una tranche de vie a galattici livelli di pregnanza d’ogni dettaglio-. Perché il più consistente agglomerato di fiori è nei loro paraggi. Un privilegio gli appartiene, al netto della superiorità dell’aiuto che cade da un’esogena, e forse eteronoma, fonte.
   Mi soffermo a contemplare il sottostante river, affascinato da un piccolo, e leggermente anomalo, Bioparco. Tanti animali, una società di esistenze, fra cui pesci che, pur abbondantemente sopra il pelo del liquido, dunque non del tutto nel loro elemento, paiono sereni, se non addirittura felici. A distanza il dialogico gioco di bambini e un angelo che… È lui o non è lui? Pare Cupido, pacificamente armato della fertile freccia. Forse la sua presenza è un postulato in una rappresentazione della purezza, nella quale non può non apparire l’Amore motore del nostro universo, oppure, Eros a parte, quel monello, quasi in bilico su un poggio mignon, vivacizza, garbato ariete contro rischi di monotonia, il senso generale.
   Visto che i binari, su cui dovrebbe viaggiare il mio anelito a una perenne evoluzione, sono tali e quali alla cascata, che sfocia nel fiume in una corsa di ritorno dalla mia meta, cambio biglietto e seguo il corso, che, di passaggio in passaggio, si riversa in un mare apertissimo: l’apoteosi delle gocce, tant’è che sopra un golfo si distendono i simbolici colori di un densissimo arcobaleno. Lo analizzo e corro nella lettura. La vincente quiete dopo un’antipatica tempesta, l’armonia dell’universo, i limiti umani che si beano di un metafisico processo di perfezionamento, e… L’iride s’interrompe in una cesura, comincio a preoccuparmi, ma non è il caso, perché un pesce volante sotto la sua cromatica curva ribadisce, a suo modo -nel suo ibrido paradosso di creatura del mare che vola nel cielo- che andare su, verso l’apice dell’atmosfera, e intuire quella vetta giù, nella purissima acqua, sono due processi simili. L’essenziale è non tradire l’acqua, come fa chi, vedendo in lontananza un porto e i suoi pecuniari traffici, non veda l’ora di ghermirli in un’apostasia dall’acqua. Essi sono o.k., per carità, ma sulla terraferma le navi non possono certo galleggiare e viaggiare. È un’ottima idea fare affari su quei natanti, ma bisogna capire che, trionfando l’acqua e la sua purezza qua, nel centro del dipinto, essa, oceano di Cultura, merita priorità pure là.

Walter Galasso