*
*
DI WALTER GALASSO
La notizia del Lago Gerundo e del suo tremendo mostro, il drago Tarantasio, scatena in molti soggetti forme di autentico panico. Interi strati della popolazione sono in fibrillazione, divampa in migliaia di animi un convulso turbamento. Quell’animale è un colosso pericolosissimo, e pure cattivo, attacca e non solo per fame, la sua crudeltà non fa sconti, e chi non sia un eroe alla pari di un mandrake si sente male alla sola idea ch’esso possa essere ancora in mezzo ai lombardi.
La fifa è così tanta che solo pochi si chiedono, con curiosità anche scientifica, come possa essere accaduta la riemersione dell’antico Lago, insieme al suo truce protagonista. Poco importa, adesso quel che conta, negativamente, è questo mefitico ritorno d’una situazione che quasi tutti pensavano ormai inghiottita dal nulla ontologico del passato remotissimo.
Il passaparola, all’inizio inerente alla dimensione popolare ma non ufficializzato, sfocia ben presto nella sfera mediatica e pure in quella istituzionale. Il definitivo passaggio dal livello di diceria a quello di documentata certezza è sancito dalla messa in onda, su un’emittente privata, di un video amatoriale -prestato alla tivvù da un privato- in cui si vede lo specchio d’acqua. Tarantasio no, ma dalla notte dei tempi è risaputo che dove sta il primo può esserci il secondo.
Il video, che ovviamente nella Rete diventa virale in un amen, non è chiarissimo, ma Gerundo, sia pur nella serotina oscurità, e con una definizione non in 8K, e nemmeno in 4, si vede. Il suddetto aggettivo ‘virale’ in questo caso è anfibologico, nel senso che significa pure che equivale a un virus psicologico, capace di iniettare una patologica alterazione nell’Io di molte persone. E se quel bastardo sbuca all’improvviso, si materializza come un titanico tempio d’infernale pravità e se ne va in giro sul territorio della Lombardia?
La signora Amelia, residente a Lodi, in un appartamento al secondo piano di un palazzo alto come la metà della Torre Zucchetti, ha paura che da un momento all’altro, dopo aver sentito un’oscillazione del pavimento paragonabile a una scossa di terremoto di discreta magnitudo -IV grado della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg-, veda all’improvviso, oltre una finestra del suo salotto, i due occhi della belva, ognuno grande come l’oblò della sua lavatrice in bagno, o forse più. E comincia a strillare, è in preda a una crisi isterica, il marito, il placido Gino, pure lui preoccupato ma senza passare la guadagnata, fatica a sedare questa esplosione d’inconsulta ansia. Amelia sclera, mentre s’incazza con il coniuge -“te l’avevo detto ch’era meglio acquistare un appartamento a un piano più alto!!”-, ed è in buona compagnia nella città. I centralini del Comune sono tempestati di telefonate, impregnate di ambascia.
Le autorità devono sbrigarsi, darsi una mossa, prima che sia troppo tardi, e un amministratore, pensando di muoversi nel solco d’una canonica e ortodossa legalità, pensa di lanciare un S.O.S. al Ministro competente, così… “Ma ti sei per caso fumato il cervello!?”. Un potente collaboratore del Governatore tronca sul nascere la loffia cazzata, e come lui la pensano tante parti della cittadinanza. L’alto papavero nazionale, infatti, è un politico all’antica, un satrapo che non vuole bene alla Lombardia, la conosce poco e niente e, come se non bastasse questo handicap della sua etica, ha il vizietto di circondarsi di un cerchio magico di amichetti -molti suoi compaesani-, in gran parte imbecilli da lui portati in alto perché sono nelle sue grazie, mentre, in una vera meritocrazia, dovrebbero essere sostituiti, dal primo all’ultimo, con personale più qualificato. In questo momento di massima allerta, si mormora in molti posti, se tu chiami quel pirla, lui, ammesso e non concesso che ti risponda, comincia a dare il peggio di sé nel solito rito ‘magna magna’: nomina su due piedi un think tank di presunti esperti, in realtà suoi leccaculo, per foraggiarli con laute consulenze, per dargli qualche altisonante incarico, come “Commissario Straordinario”, e fanfaluche varie. La solita solfa. Clan, pioggia di favori e schei, in un’elefantiaca burocrazia che non porta a niente, se non a procacciare un gagne-pain per membri del suo elettorato, e intanto Tarantasio ha già fatto uno sfracello.
Un insigne personaggio in Regione, d’accordo con questa chiave di lettura, capendo che la soluzione va cercata in Lombardia e nella Cultura, dà il la a una prima reazione telefonando a un vero esperto, Arco Cerea, un professore, collaboratore di una testata bergamasca e di una Casa editrice milanese, che ha recentemente presentato, nel Museo Civico Cremasco, un’opera saggistica proprio su Gerundo e il suo drago. A monte della bella conferenza la regia del Touring Club Italiano, segnatamente del suo nucleo cremasco, nel contesto del “Sabato del Museo”. L’intellettuale è veramente ferrato nell’argomento, ne sa di tutto di più, mescolando, nella sua sapienza, cognizioni scientifiche e importanti perle di saggezza popolare. Di quelle acque e di quell’ibrida fiera sa molto anche perché ha imparato da chi, fra i lombardi, gli ha potuto partecipare preziosi segreti, dritte per capirne la quintessenza.
Tanto breve quanto provvidenziale la prima call fra il politico, che domanda, e la testa d’uovo, che risponde. Il dottor Cerea, infatti, che ha dovuto interrompere in fretta e furia la sua cena per parlare al telefono con l’amministratore e così mettersi subito a disposizione della comunità, dice ben presto all’interlocutore di mandare qualcuno a ispezionare il Duomo, per verificare se ci sia ancora, a destra e in basso rispetto al precipuo portone, il bassorilievo che rappresenta Tarantasio. E nell’esortazione il tono della sua voce diventa molto preoccupato: “Speriamo bene”. “Professore, mando subito un mio collaboratore, appena ritorna la richiamo”. Il politico non fa domande, è un tipo operativo e pragmatico, non mena mai il can per l’aia, va al dunque -anche nell’accezione pratica di questa espressione- con l’accelerazione e la velocità di una Lamborghini Aventador SVJ.
Il suo braccio destro va, vede e torna trafelato. È spaventato, perché la scultura non c’è più. Aveva dunque ragione il sesto senso di Ambrogio Fugalli. “Professore, mi è stato riferito che…”. “Nooo! Mannaggia!”. E l’uomo spiega all’altro l’amara verità, e sulla schiena dell’altro serpeggia un brivido di paura, come il simmetrico contrario di un massaggio Shiatsu. La sparizione del bassorilievo vuol dire che Tarantasio è ritornato, sta là, in quell’area, in mezzo a diverse province lombarde, ormai più inquietante del Triangolo delle Bermuda.
Meno male che il luminare, pur notificando la potenzialità di sciagura insita in quella metamorfosi della Cattedrale, insuffla idee chiare, tendenzialmente ‘terapeutiche’, nell’altra polarità della telefonata. “Mi stia a sentire, le dico le due condizioni indispensabili affinché la lotta contro quella bestia possa essere coronata da vittoria”. Il politico è tutt’orecchi.
Walter Galasso