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DI WALTER GALASSO
Il parere del dottor Obiettivo è già un potere. Il suo peso in Regione è tale che nessuno, lui avendo deciso che Tarantasio sarà sfidato da writers, può osteggiare la sua delibera. Ci sono molti suoi colleghi che provano una profonda animadversione verso l’Urban Art, nei loro cuori e nei loro cervelli albergando un mix di stigmatizzazione morale e disistima teoretica, un antagonismo che adesso li spinge a dissentire dall’illuminato amministratore e a desiderare di mettergli il bastone fra le ruote. Vorrebbero tanto, ma non possono, perché di Mirco, nell’ambiente di certi salotti politici e intellettuali, si dice -come boatos in camera caritatis- “in Regione non si muove foglia che lui non voglia”.
È vero, anche perché questo personaggio, di larghe vedute, avanti, corifeo di una linea aggiornata, veramente al passo con i tempi, alle ultime elezioni ha riscosso un’autentica apoteosi, scriviamo pure un plebiscito a suo favore. Il vicepresidente della Regione è sulla cresta dell’onda perché gode dell’appoggio popolare, tant’è che, su alcuni mass media, è stato ribattezzato “Mister Preferenze”.
Lo stesso Governatore, ufficiale numero uno, avendo avuto meno voti di lui deve tenerne conto, e di fatto ascolta ogni suo suggerimento con lo stesso atteggiamento che ha quando ottempera a una Legge. E poi il dottor Obiettivo è un’arca di scienza. Molto colto, come minimo cinque volte di più del suo formale Capo, il quale, conscio della sua inferiorità, tendenzialmente non si permette mai di confutarlo dialetticamente con giudizi tranchant come “ma che c…. dici!”. Lo rispetta molto. Quando l’altro, in discorsi pubblici o conversazioni private, vola alto -il che succede molto spesso-, lui alza idealmente la testa per imparare dalle sue ali. Fra loro sussiste una bella intesa, pur essendoci talvolta qualche divergenza d’opinioni.
E poi la leadership di Mirco ha un asso nella manica per certi versi ancora più determinante nel suo carisma: nato e cresciuto a Milano, la conosce come le proprie tasche, ha addentellati con tanti suoi ambienti particolarmente glamour, ne ama la bellezza culturale e metropolitana, in osmosi con il suo milieu, e, nell’esercizio delle proprie funzioni, avverte sempre il dovere di non chiudersi in una torre d’avorio, fine a se stessa. Politico serio, 5.0, lui vuole tuffarsi empiricamente nella sua caleidoscopica concretezza, perlustrarla in lungo e in largo, per studiare ciclicamente il territorio, avere scientificamente il polso della situazione, percepire de visu la condizione di ogni quartiere, e parlare, tanto e amichevolmente, con la gente, mai dimenticandosi che in una vera democrazia -tale fin nel DNA del leviatano, non solo in una fumosa e ipocrita teoria-, il potere si deve radicare nella sovranità popolare.
Si è mai vista una quercia in cui la chioma apicale si monti la testa e snobbi le radici? No!, e mai si vedrà. Perché la foglia più in alto è quella che viene vista prima e di più da un elicottero o da un drone, perché il largo tronco è l’irregolare cilindro che una persona, arrivata nelle adiacenze del portentoso vegetale, può subito abbracciare, magari avvertendo la rispettosa sensazione che tutto quel legno sia un metaforico boss da riverire con adulazione, ma… Ma tronco possente, rami come mille braccia di un titano, l’ubertoso e verdissimo insieme delle ballerine foglie, scatenate nella loro passiva danza in mezzo al ritmo del vento, e corteccia dove un moroso può incidere e dedicare alla sua fiamma “Ti amo”, e tutte le propaggini del tree, che ne aumentano la consistenza ambientale in un ‘imperialismo’ dendroide, sono poco e niente senza le radici.
Esse allignano nel suolo come ogni atto è idealmente preceduto dalla sua ontologica possibilità. Sono la base della base, magnanime nell’essere importantissime pur al di qua della manifesta apparenza. Le radici, nella politica della cosa pubblica, sono il Popolo, e Mirco non solo lo sa teoricamente, ma lo sente nella mente, onora come si deve gli ‘altri’ e non somiglia affatto a quei suoi colleghi che fanno qualcosa solo per un’esigua parte dell’infinita categoria chiamata ‘altri’: i propri amici, l’inner circle, i loro pupilli, ch’essi riempiono di privilegi, i loro raccomandati, e compagnia bella.
Il dottor Obiettivo è diverso, tributa la dovuta considerazione a chiunque, anche a una persona che, in qualche suo sistematico tour metropolitano, egli veda per la prima volta. E quando esplora la Città, Milano soprattutto, ma il suo metodo si estende ed applica -ovviamente, dato il suo ruolo- anche a livello regionale, ha lo stesso atteggiamento nel suo studio degli eventi, dei dettagli, delle cose, d’ogni sfumatura urbana. Monitora l’ambiente a trecentosessanta gradi, con una rete (d’attenzione) a maglie strette, per raccogliere il maggior numero possibile di dati, con una stima, squisita, per tutto ciò che possa essere reputato degno di considerazione.
Così facendo innesta viepiù il suo nome nell’opinione pubblica, qual punto di riferimento di trasversali classi di aficionados, e conosce davvero, con serietà gnoseologica, quel che succede e ha rilievo in città.
È per questa sua apertura mentale che non gli sfugge l’importanza della street art, e dei suoi autori. I graffiti trionfano ovunque, in ogni città del mondo. Sono belli, originali, tecnicamente pregiati, hanno un non so che di speciale, grondano di senso, spesso all’insegna di un grande engagement, all’uopo vengono creati nel solco di una costruttiva controcultura, anche perché partoriti da persone non zavorrate da una banale ambizione. Meritano di essere reputati icone dell’atmosfera urbana, simboleggiano, in modo altamente caratteristico, il senso e il significato di molte sue componenti. Secondo Mirco, affascinato dal loro variegato fulgore, hanno un ulteriore e strepitoso punto di forza: sintetizzano, senza alcuna forzatura, il futuro del futuro e l’antico classicismo.
Un’équipe di scienziati dell’Australia e dell’Indonesia ha scoperto, in quest’ultimo Paese, precisamente nella spelonca ‘Leang Tedongnge’ -Isola di Sulawesi-, il “Cinghiale dalle verruche di Celebes” -spesso viene definito semplicemente “di Sulawesi”-, un’antichissima pittura figurativa. L’ungulato -a grandezza naturale, lungo 136 centimetri, alto 54- ha visto la luce addirittura più di 45.500 anni or sono. Nell’insieme del murale esso è vicino alla suggestiva, arcana, intensissima impronta di un paio di umane mani, dipinte -chiosano gli esperti- con tecnica ‘stencil’. I writers, nel loro alternativo slancio verso il progresso pittorico della città, hanno virtù in comune con i predecessori che crearono questa pittura rupestre, in un’epoca così remota che, rispetto ad essa, ai tempi in cui Berta filava, secoli fa, la gente, alquanto orgogliosa, si sentiva una modernissima avanguardia.
Walter Galasso