CHA CHA CHA NEL …  COMMESSO SPACCIATORE   [DA CRONACA A RACCONTO;   Comune:  ROMA]

CHA CHA CHA NEL …  COMMESSO SPACCIATORE   [DA CRONACA A RACCONTO;   Comune:  ROMA]

CHA CHA CHA NEL …  COMMESSO SPACCIATORE   [DA CRONACA A RACCONTO;   Comune:  ROMA]

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DI WALTER GALASSO

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   Un romano store della Maison Chanel, sibaritico esercizio ubicato in una prestigiosa street della Città Eterna. Locale poliedrico, merce pregiata, da chicche di Haute Couture a utili strumenti di skincare, oltre ad accessori che costano un occhio della testa, sciccherie non per tutte le tasche. Chi non si può permettere questi beni, comunque, non gli porta rancore. Forse ogni tanto, prima o dopo i pasti, rosica, invidia i ricchi come un chicco d’uva vorrebbe stare al posto della vigna intera, ma finisce lì, nessuna parte della sua psiche gufa perché il brand tramonti. Quando un’azienda produce eleganza, infatti, si fa voler bene anche da chi in un suo negozio non sia mai entrato, per non sentirsi come uno sfigato pesce fuor d’acqua meravigliosa.
   In un tipo come Rocco Terra, appartenente a un ceto non particolarmente abbiente, lady Invidia, meschina regina di animi lacunosi, oggi albeggia, come un’ammorbata aurora che puzzi d’uovo marcio, contro un tizio, un certo Camperos Dos Bandoleros, iscritto sul libro paga della dottoressa Sabina Mele, la titolare dell’importante punto vendita.
   Rocco -che economicamente non se la passa bene, coartato a tirare la cinghia da una iella che gli pare l’esatto contrario di ‘bella’- sta passeggiando, in un’apparenza quasi serena, in Via del Babuino. Le suole delle sue scarpe aderiscono all’irregolare superficie di un marciapiede come carezze involontariamente irruente. Guarda le vetrine, ma senza un preciso scopo mercantile, come in una fotografia di un giornale un suo utente mai stato negli USA possa contemplare la Duchessa Isabella Eugénie Boyer nella Statua della Libertà in quel di New York, provando un’emozione che grosso modo può equivalere a ‘non metto in dubbio che illumini il mondo, ma a me non ne arriva manco un watt’. Rocco vede meraviglie e sa che non può toccarle a lungo, spia qualche status symbol e se ne sente respinto in un’alterità -fra gli schei che occorrono per acquistarlo e quelli di cui lui dispone- che più di tanto non gli pesa.
   Perché? Per un paradosso: quando l’irraggiungibilità di un bene, o di un qualsiasi altro valore, è particolarmente intensa, irreversibile e di livello 10 su 10, pari dunque a un’utopia, la frustrazione dell’indigente è minore, poco drammatica. Se ne fa facilmente una ragione, perché la distanza psicologica fra il suo Io e la rassegnazione è breve, anzi brevissima. Il povero nemmeno prova a impossessarsene nella fantasia, tentando di fregare l’agognato ‘non plus ultra’ in un’illegalità visionaria, perché sa che, se ci provasse, il principio di realtà gli urlerebbe, con ferocia stronza, “posa l’osso, pezzente!”, come Sam Canepastore con un velleitario Ralph il Lupo, mentre tenti di rubargli una pecora in “Don’t Give Up the Sheep”. Se, invece, il terremoto interiore della frustrazione -un’amara crisi che mette a soqquadro la stabilità delle emozioni- è di minore magnitudo, non essendo pari a chilometri la distanza tra ‘volere’ e ‘potere’, aumenta la probabilità che la prassi s’informi al verbo ‘invidiare’.
   Ecco perché quando Rocco si trova davanti alla boutique Chanel, e si ferma per gettare uno sguardo oltre le frontiere, off limits, della bottega, laico tempio di moda à la page, resta tutto sommato indifferente rispetto all’alto valore pecuniario della mercanzia, prendendo con filosofia il fatto che il suo portafogli non sia all’altezza del listino prezzi, mentre, percependo all’interno la presenza di un dipendente, il suindicato Camperos, per un attimo lo odia di gusto, anelando, con urticante rammarco, ad essere al suo posto.
   Il suo lavoro, presumibilmente una ghiotta greppia, gli farebbe tanto comodo, ché lo scalognato Rocco, tre mesi fa licenziato, sbarca il lunario con un lavoretto in nero, e/ma è in cerca d’una nuova assunzione come si deve. Ah, lo stipendio di Camperos com’è succulento!, del resto si vede dal beato sorriso con cui quel fortunato commesso adesso sta praticando, a livello indoor, lo sport ‘pacchia’. Il viandante desidera tanto il comfort della sua occupazione, e al tempo stesso lo invidia, perché, appunto, esso è alla sua portata. Quel mezzo dandy, che mentre indossa una mera divisa dello staff crede d’essere ammantato di chissà quale uniforme imperiale, viene visto dal signor Terra come un signore banale e normodotato; per esercitare il suo mestiere non occorre uno sbarco sulla luna, segnato all’attivo nel curriculum. A maggior ragione Roc rosica, e prosegue la sua camminata masticando, insieme a un chewing gum, l’assenzio di chi include in un sospiro un sos alla Fortuna. E invece…
   Invece Camperos è più infelice di lui. Il suo reddito gli va stretto, come una taglia L a una persona che indossi la XL. Il tasso di prestigio pure, anzi di più, perché non gli si confà come la taglia S a chi porti la XXL. Si sente oppresso dalla sua condizione, nel negozio ha l’impressione che ci sia sì il cielo in una stanza, come nella famosa canzone, ma uno sky senza Sole e interamente eclissato da uno scuro battaglione di nuvole, foriere di un nuovo diluvio universale. Le due C del logo somigliano quasi, nella traviata tonalità emotiva di questo lavoratore, all’intersezione di due anelli d’una catena liberticida. L’uomo sogna, a occhi aperti, di emanciparsi da questa larvata cattività, per poi rallegrarsi facendo danze di gioia, come cubani affrancati dalla schiavitù si misero a ballare il cha cha cha.
   Sul gap di reputazione, almeno per il momento, non può fare nulla, quella che ha -presente-  avrà  -futuro, non è dato di sapere per quale suo arco cronologico-. A livello finanziario, invece, un pensierino gli frulla nel cervello.
   La titolare gli ha demandato incarichi relativi a un prosperoso magazzino, pieno di roba salatissima, per esempio un po’ po’ di borse da cinquemila euro o giù di lì. Lui vi si reca in solitudine, Sabina si fida, e se qualcuno sottragga a quella messe qualche articolo mica la signora se ne accorge subito. No, non posso tradire… Sì invece, un ammanco le fa un baffo, sta bene, quella, non va certo in bancarotta. Una vocina interiore “Camperos no”, una vociona, più o meno come quella di un tenore, “fregatene, ché se avrai più denaro vinceraiii… 🎶, vinceraiii… 🎶”,  fino a un do di petto che rincoglionisce ogni suo senso di colpa.
   Il commesso, che sta scivolando nel miserrimo girone delle merde infedeli, e nemmeno mette un accento sull’ignobile retrocessione, architetta il piano e, macchinando il tradimento con la stessa concentrazione con cui lo chef Gianni Bertone prepara il Vitello Tonnato Laqua in un ristorante di Antonino Cannavacciuolo, elabora il piano del colpo. Opera in combutta con un collega, Spurio Smalto, che lavora in una gioielleria vicina al suo negozio, e con la padrona di quell’esercizio, Lena Moussakà. Trafuga, in un giorno spartiacque nella sua esistenza, la bellezza di 109 pezzi -quasi settantamila euro il valore della merce-. Consegna il bottino a Spurio, il quale, a nome di Lena, ne porta il pezzo forte, un lotto di bellissime borse, a una parmigiana Fiera dell’Antiquariato. Le gabella per prodotti vintage, e tenta di venderle a un prezzo leggermente inferiore alla quotazione di mercato.
   Nel frattempo la signora Mele, in lacrime in un angolo del suo living room per il furto, riceve un’anonima telefonata. Una persona, con una falsa voce, clonata mediante l’intelligenza artificiale, le regala una provvidenziale soffiata, suggerendole di navigare su una pagina social della gioielleria. La donna, asciugandosi le lacrime con un foulard  -Chanel, ovviamente-  per vedere meglio, riconosce, nella Fiera, una sua bag. Ma quale vintage d’Egitto! Quella è sua, perdindirindina! Invia a Parma un suo corteggiatore, Gastone -lo tiene sulla corda da anni, il cicisbeo per lei farebbe follie- e Gastone, come un razzo umano, compra e le porta il gioiello a tempo di record.
   Adesso per Sabina la strada è in discesa. Si rivolge alle forze dell’ordine e, nel giro di pochi giorni, Lena, Spurio e Camperos, all’inizio d’una strada così in salita che pare una parete, finiscono nella rete della Giustizia, lei imputata di ricettazione, i due uomini di concorso in furto.
   Sul principale reo di questa storiaccia, Camperos, infedele commesso spacciatore, lo spettro del gabbio. Dove vedrà a scacchi un brutto cielo a pecorelle, e sarà molto difficile ballare il cha cha cha.

Walter Galasso