IL TORRENTE AGOGNA… DI DIVENTARE  FIUME   [Bozzetto  24;  Comuni:  VIGEVANO,  MEZZANA BIGLI,  LOMELLO  (PAVIA)]

IL TORRENTE AGOGNA… DI DIVENTARE  FIUME   [Bozzetto  24;  Comuni:  VIGEVANO,  MEZZANA BIGLI,  LOMELLO  (PAVIA)]

IL TORRENTE AGOGNA… DI DIVENTARE  FIUME   [Bozzetto  24;  Comuni:  VIGEVANO,  MEZZANA BIGLI,  LOMELLO  (PAVIA)]

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DI WALTER GALASSO

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   Ambrogio Zorzole, se lo conosci davvero forse lo eviti, o forse ti è simpatico, e pure molto. Il dubbio dipende da te, non da lui, che più o meno è sempre lo stesso. In questo momento sta duellando, oralmente, con un travet in un ufficio della sua città, Vigevano. “Lei mi mette in croce, non ne posso più, smammi, ché ho già dato!”, strilla, garrulo, Rocco, un impiegato inquadrato negli schemi. E Ogio, vendicandosi dello sgarro con l’assenza di qualsivoglia forma di saluto quando se ne va, borbotta in cuor suo. Ma, non domato dai quintali di dissenso che stanno caratterizzando la sua Mission attuale, si prefigge di ritornare alla carica, non rassegnandosi all’aborto del suo progetto. Un anelito carino e assurdo al tempo stesso, un’istanza che a qualcuno può apparire fuori luogo, e invece secondo lui è proprio nell’ombelico di questo luogo. Il trentenne vuole cambiare il suo nome, mettere, al posto di quello originale -che è legato al principale patrono-, Matteo, che appartiene al patrono secondario. Un ennesimo modo, nel suo percorso culturale, di ostentare il suo tifo per chi non stravince, per tutti quelli che vengono dopo un numero uno, per gli zeri -possibilmente tali al cento per cento, sfigati che tali restino e non diventino, a furia di strumentalizzare il loro appoggio ai deboli, miliardari famosissimi e pieni di fan-.
   L’aspetto più curioso dell’attuale aspirazione è che non ha nulla in comune con una insipida questione di principio, con una lotta ibrida, forte nella propaganda ideale ma affettata a livello di concreta libido. Il giovanotto ci tiene davvero, tant’è che in un successivo round del suo braccio di ferro, nello stesso bureau ma avendo, dietro uno sportello front office, un altro nemico, Mario, arriva addirittura a perdere di brutto la pazienza. Sclera, una mosca, anzi un moscone, gli salta al naso, e Ambrogio sbotta in esternazioni al vetriolo. Sbatte un pugno su una sedia, spalanca gli occhi come se siano gli orifizi finali di due fucili pronti a fare fuoco, alza la voce e, all’apogeo della sua sceneggiata, “pezzo di merda, incartapecorito burocrate, puzzi di naftalina, sei “. “Senti, barlafus, dacci un taglio con questo raglio, altrimenti chiamo le forze dell’ordine e vai dritto dritto nella buiosa”.
   Barlafus a chi? Il cittadino, offeso per il poco lusinghiero epiteto, minaccia, con la tremenda cera del suo volto, violente ritorsioni, l’impiegato, dal suo canto, ci tiene a ostentare l’assenza in lui d’ogni emozione che si possa confondere con la cosiddetta paura. L’atmosfera globale dell’immobile, già densa di elettrica tensione, è esacerbata dall’escalation del vicendevole livore. Aleggia la probabilità che a breve i due passino dalla fase del bau bau a quella dei morsi, dalle parole alle mani e alle zanne, mentre Mario, con l’indice destro che colpisce la propria tempia come un picchio -per dire “‘sto personaggio ha qualche rotella fuori posto”-, si guarda intorno, a caccia d’una scontata solidarietà degli astanti. I quali lo osservano con aria complice, sinceramente d’accordo sul fatto che questo facinoroso ha qualche problema, egli volendo cambiare il proprio nome di battesimo e incazzandosi perché il Potere non asseconda il suo puerile capriccio. E meno male che nessuno, oltre il diretto interessato, sa la motivazione del suo desiderio, altrimenti penserebbero che è un matto da legare.
   Eppure questo surreale protagonista, che nella presente circostanza non si mette nei guai solo per la mediazione di un funzionario -“stia tranquillo, le do la mia parola, farò il possibile per venirle incontro”-, riesce, sia pur dopo qualche mese, a centrare il suo obiettivo, rampollato da un criterio assai soggettivo, ma non per questo folle, destituito d’ogni fondamento.
   Oggi, fresco di apoteosi, il neo Matteo, per così dire, passeggia, soddisfatto ma non sereno, perché in lui il tramonto dell’ormai ex esigenza è già stato sostituito dall’alba di un altro strampalato progetto. È fidanzato, da una decina di mesi, con una ragazza di Lomello, Ausilia, che vuole partecipare, insieme a lui, al cimento lomellino, un temerario tuffo, in pieno inverno, nel torrente Agogna, in zona “Al sabiòn dal siùr Sir”. L’evento si doveva celebrare a Capodanno, ma è stato procrastinato al giorno della Befana. Matteo, talvolta megalomane, ha deciso, per dedicare una prova d’amore alla sua fiamma, di recarsi pedibus calcantibus nel paese di Ausilia, partendo dal Ponte della Gerola, vicino a Mezzana Bigli e, soprattutto, al punto in cui l’Agogna sfocia nel Po. Una quindicina di chilometri: non proprio una promenade de santé, considerando, fra l’altro, la temperatura di gennaio.
   Lo fa per lei? Questo motivo, da lui addotto come ufficiale ragione della performance -e ovviamente recepito dalla dulcinea con una letizia mista a un’incipiente commozione- non è falso, ma neppure vero al cento per cento. Il suo cervello nutre un rispetto quasi mistico per lo strano corso d’acqua, che, denominato torrente, e umile affluente di sinistra del Po, è lungo la bellezza di centoquaranta chilometri, così risultando, di fatto, un top player tra i fiumi di Lombardia e Piemonte. Un paradosso che non poteva non trasformarlo in un irresistibile mito nella mentalità del ragazzo sognatore. Bistrattato dalle enciclopedie, non ammesso a far parte del gotha dei rivers, ma sostanzialmente più importante di molti fiumi. Un simbolo di povero forte, un pezzo d’Italia da rivalutare, o almeno da amare, come si prefigge di fare Matteo con la sua scarpinata, dal suo cuore equiparata a un rito affettuoso, per salutarlo e onorarlo. Un atteggiamento che, tanto per non cambiare, può essere frainteso dall’esterno, ma lui -che alla girlfriend non ha confidato questo background della sua imminente impresa per non correre il rischio d’ingenerare equivoci- sarebbe immune, se qualcuno lo prendesse in giro per la sua peregrina poesia, da ogni fastidio. Egli ci crede, questo basta e avanza perché  ‘sta fatica atlantica gli piaccia, in un romantico masochismo. Ha preparato con cura anche l’equipaggio. Addirittura si è preso la briga, dopo aver visitato il Museo Internazionale della Calzatura, nel Castello Sforzesco di Vigevano, e aver ammirato in particolar modo un paio di scarpe di Karl Lagerfeld, di trovare qualcosa di simile, e a buon mercato, per la sua impervia traversata.
   Mah, forse ha fatto bene a non spifferare nulla ad Ausilia, un tipo come lui, più unico che rarissimo, può veramente andare incontro, se si sbottoni e riveli troppo di sé, a giambiche prese per i fondelli, mentre il suo Io, che valuta questa passeggiata una risorsa più catartica e cool di un mantra, fra sé e sé sta benone, certo d’essere nel giusto.
   Un amico, Luca, lo accompagna, a bordo d’una moto, al Ponte sul Po, vicino a Balossa Bigli, una frazione di Mezzana Bigli, in provincia di Pavia, dove l’affluente si tuffa nel Maestro. Il signor Zorzole non sa che cosa lo aspetta. Ha studiato il percorso, crede che la pista consti di segmenti di due Strade Provinciali, e non s’è minimamente chiesto se e come un pedone possa transitare ai lati delle vie. Da ottimo idealista, non si perita di alzare l’asticella a dismisura, nel contemplare il Fine, ma non analizza, con pragmatismo terra terra, gli eventuali problemi insiti nei mezzi.
   Transeat, in fondo in quel che sta facendo l’intenzione è ciò che più conta. Sarà un bel rispetto per il torrente la dura prova che il giovanotto gli vuole dedicare. Male che vada, se proprio dovesse telefonare a Luca, per chiedergli di ritornare e dargli un profano passaggio su due ruote, avrà comunque fatto un bel gesto verso il corso d’acqua, a maggior ragione perché, mentre guarda, un po’ soprappensiero, una delle otto campate del Ponte della Gerola, ha una folgorazione, pro torrente. Nei suoi pensieri si accende una torcia. ‘Ehi, ma… un momento… ora che ci penso… Ma certo!’. A dir poco balenga, penserebbe un soggetto banale, la sua intuizione. Ambrogio Matteo ha capito che c’è un senso, purtroppo negativo, nel nome di quel flusso. Esso si chiama così perché, frustrato torrente, agogna, agogna di diventare, nelle classi sociali della geografia, FIUME.
   ‘Devo fare qualcosa, iniziare una battaglia legale per…’. Guai in vista per i lavoratori di qualche altro ufficio…

Walter Galasso