RAPPER  SFERA EBBASTA,  “FRAGILE”  -ALBUM  “X2VR”   [COMMENTO DI VERSI;  NELLA COVER:  MILANO,  STADIO SAN SIRO]

RAPPER  SFERA EBBASTA,  “FRAGILE”  -ALBUM  “X2VR”   [COMMENTO DI VERSI;  NELLA COVER:  MILANO,  STADIO SAN SIRO]

RAPPER  SFERA EBBASTA,  “FRAGILE”  -ALBUM  “X2VR”   [COMMENTO DI VERSI;  NELLA COVER:  MILANO,  STADIO SAN SIRO]

*

*

Sfera Ebbasta,  “Fragile”  (“X2VR”)

DI WALTER GALASSO

Avatar wp_16251317

“La gente molto spesso mi odia, mi critica, ma fondamentalmente penso che non abbia capito il mio… il mio modo di vivere”   (Sfera Ebbasta, “Fragile”)

   Vadano a scuola gli odiatori con cuori grrr -più adirati di tori davanti ai colori rossi, più incazzati di cani a cui vengano sottratti ossi cari-, ma con cervelli che non studiano prima di biasimare.
   La boria è una scoria tossica, fa prendere lucciole per lanterne, fischi per fiaschi, granchi al posto della verità. Quelli che vanno a simpatia, emettendo sentenze sotto la pressione di pregiudizi radicati nel proprio carattere, dilettanti allo sbaraglio nella professione -senza Albo- denominata “Intelligenza”, vedono qualcuno e di primo acchito già pensano di conoscerlo come le proprie tasche. In questa presunzione vomitano, con voce baritonale, il “dagli all’untore!”, scaraventano quintali di fango contro la reputazione del prossimo che gli sta sui coglioni.
   Galoppa l’antagonismo becero, il pregiudizio viene assoldato da un produttore cinematografico, come attore protagonista di un film B-movie che trionferà ai botteghini. Il detrattore seriale, collega di “Bufale un tanto al chilo”, sputa boutades, aggredisce e sforna particelle di soggettivistico vilipendio, stroncature al vetriolo, ‘parole versus’ che sono infette come pus.
   Accidenti ai deficienti che non pensano prima di sentenziare, percepiscono uno sconosciuto che gli risulta antipatico e avvertono l’esigenza di biasimarlo ma non quella di saperne di più, sospendendo provvisoriamente il giudizio, prima di bocciare.
   Esortazione bis:  vadano in un’École des hautes études, a fare praticantato nell’arte delle valutazioni, a imparare l’abbiccì della docenza e della decenza, ad apprendere la cosiddetta cognizione di causa prima di arietare qualcuno.
   Nella gnoseologia “capire” è fase propedeutica a “giudicare”: chi salti la prima, e si tuffi precipitevolissimevolmente nella seconda, rischia di dire un paralogismo -accezione più papale papale: fregnacce-.

“Sognano luce dai riflettori, riflettono solo due secondi”   (Sfera Ebbasta,  “Fragile”)

   Miche di senso, suppliche a vanvera, amiche di un’ambizione a doppio taglio: pregano i riflettori che emanino luce di un trionfo tronfio, un successo che può degradare un animo imperialista a un cesso, o destabilizzare, in una stonatura clamorosa, una serenata fatta alla serenità da un cuore di lei innamorato.
   Un daydream: op là, un salto sul proscenio, un demonio affarista è pronto a comprare l’anima in cambio di un aiutino, paga bene, ma forse rifila una sola, alias pene morali e un successo che include qualcosa di negativo, come un uovo di Pasqua contiene un piccolo regalo e una bambola matrioska ingloba una bambolina.
   ‘Sogno’, termine tendenzialmente carino, super coccolato da parnaso e dintorni, ma nell’overdose dei suoi impieghi  -linguistici e, più in genere, esistenziali-  qualcosa non quadra in un’eccezione che, prima di confermare la regola, fa danni e lascia un’orma sulla scena di un incipiente delitto: i facilissimi aneliti a una gloria fine a se stessa, purchessia, di riffa o di raffa, feriscono la voglia di riflettere.
   Sogni come risorse sciupate, una corsa (verso un eldorado di possibilità) che può tradursi, strada facendo, in una morsa, se nel menu con cui si ciba l’ambizione manchi la giusta dose d’un gustoso ragionamento.
   Non bastano, nella sacertà della Meditazione, due secondi: troppo pochi, buchi a macchia di leopardo nel dovere, come i caratteristici crateri nell’Emmental. Due, lue se il numero giusto sia come minimo centomila volte superiore. “Solo” 0.033333 minuti: una drammatica forma di cognitiva povertà.
   Oh là là!, stupore e amarezza, magna sorpresa e didattica solidarietà, ma l’errore non deve finire dietro la lavagna, e chi lo commette ceni pure prima di andare a letto. Si cresce anche, anzi di più, nell’armonia di un’autocritica che fiorisca dolcemente nel cuore, con la stessa sublime gradualità nella quale un’alba prende il posto della buia notte nel cielo, tetto dei nostri animi.
   La riflessione diventi hobby, sport, passatempo, per fregare il vizio e indurre un tizio a scegliere lei, e non quest’ultimo, come indirizzo del verbo ‘desiderare’.

“‘Sto successo… il cuore, lo renderà fragile, fragile”   (Sfera Ebbasta,  “Fragile”)

   Alcuni critici del rapper Sfera Ebbasta pensano che flexi i suoi frutti per impancarsi a figo. Una persona vuole il suo posto il suo polso il suo conto, “eh, (Yeah)”, e forse farebbe meglio ad ascoltare con vero rispetto le sue pupille -“Non parlo io, parlano i miei occhi”-. Capirebbe che, il suo nome nella bocca di tanti, con molte persone che chiedono alla sua fama di benedire i figli, lui, pur in questa apoteosi, non si è dimenticato della fame esistenziale di chi è in un ghetto, così nullatenente da non avere nemmeno lacrime  -“Per quelli come me qui non restano manco più lacrime”-.
   Dicono che lui ostenti i suoi risultati: Gionata Boschetti, il nome e cognome dell’uomo nell’artista, giura -sul fatto che lo pseudonimo Sfera Ebbasta sia stato un escamotage per non rivelare la sua intera e vera identità a un social network-  che non è vero. Giura di voler “motivare quei ragazzi che come me non hanno mai avuto niente”.
   Ostenta? No, combatte stenti, altrui, dopo aver messo kappaò i suoi e avere oggi il “culo sopra un seimila benzina”. Però né teme di cascare dal pero nel senso di perdere la sua attuale forza sociale, né deve cascare dal pero nel senso che sia uno montato e debba scendere dal piedistallo. Lui, uno che scrive e canta “Rido con gli altri, piango da solo”, in questo brano riflette sul successo soprattutto per fare mente locale sull’eventuale fragilità che esso possa paradossalmente cagionare. Quindi nella sua sensibilità il dispiacere per chi non ce l’ha si coniuga con la consapevolezza che in sé esso, abbondantemente presente, può constare anche di ombre, non solo di luci; può costare indebolimento di qualche aspetto dell’interiorità.
   Una lucidità a cui è un disdicevole contraltare l’atteggiamento del vip che perde il contatto con la realtà, pallone gonfiato, egoista, dimentico della sua interiore identità, ormai gasato prigioniero del suo ruolo, e troppo spesso indifferente ai guai di chi ha avuto meno fortuna di lui. Costui, un essere che forse, anzi probabilmente, sta dov’è perché deve dire a qualcuno, che lo ha aiutato all’inizio della carriera, un grazie grande quanto la sua meschinità, è capace di non rispondere nemmeno al ragazzo che gli scriva una e-mail per lanciargli un S.O.S., o solo per avere la soddisfazione di conoscere una persona celebre. Inarrivabile, off limits per membri del povero popolo, e, di fronte a tanta gente con mille problemi, bravissimo a fregarsene allegramente.
   Il successo è una gran bella cosa, però in esso bisogna far funzionare al meglio il cervello, senza iattanza, lungi da un’aggressiva volontà di potenza, nel rispetto dell’intelligenza altrui. E con la consapevolezza, appunto, che nel suo sfavillante ambito -in cui qualche arrogante si sente come un re in un abito unico al mondo- si può annidare il paradosso di un indebolimento di qualche parte di sé.
   Sfera Ebbasta ne è così tanto conscio che mette nero su bianco, con note sul pentagramma, il pericolo che questo successo inserisca di straforo nel suo cuore dei semi di gracilità. E per rendere meglio il concetto scrive ‘fragile’ due volte:  una sola non basta.

Walter Galasso