PER UN CHIRURGO IL TRAN TRAN È UN PANURGO, MEGLIO UN VAN   [Da cronaca a racconto;  Comune:  BOLOGNA]

PER UN CHIRURGO IL TRAN TRAN È UN PANURGO, MEGLIO UN VAN   [Da cronaca a racconto;  Comune:  BOLOGNA]

PER UN CHIRURGO IL TRAN TRAN È UN PANURGO, MEGLIO UN VAN   [Da cronaca a racconto;  Comune:  BOLOGNA]

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DI WALTER GALASSO

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   Rino Maltoni, nato a San Marino, cresce in quel di Bologna. Evoluzione costellata di mancati appuntamenti con una stranezza che si possa definire, dentro e fuori i furori scientifici di un vocabolario, ‘Originalità’.
   Il suo tempo fluisce in mezzo ad alti e bassi della sua soddisfazione. Umore come un otto volante, ma nel complesso egli non fa parte della categoria degli infelici. L’impegno, come studente, per molti anni scarseggia, si può dire che nella sua verdissima soggettività l’ozio sia caro al suo Io più o meno come suo zio Pietro, grande sponsor della sua attitudine a spassarsela senza meritare una medaglia (per contributi al progresso della Patria). Gli va di giocare più che di studiare, suole pure fare scherzi da prete ad amici un po’ pirla, ma i bersagli di questo becero umorismo in genere non se la prendono, lo perdonano e lo assolvono dai suoi peccati. Ottimo spirito di sopportazione, anche se forse contribuisce a far diventare quasi seriale il suo nocivo hobby.
   Rino, comunque, non stinco di santo, neppur bandolero in erba si può e deve definire. È zuzzurullone, in fondo non è cattivo, c’è di peggio nella eterogenea gamma dei suoi coetanei. In mezzo ai suoi difetti standard, alcuni dei quali occulti come un dossier dei servizi segreti italiani, albergano pure pimpanti, e forse irreversibili, virtù, radicate in pulsioni che affondano le radici -in un peregrino caso di fondamenta etiche a più livelli- nell’imo del suo DNA -scritto fra parentesi: egli, che frequenta un oratorio, milita, nel dilettantistico e semestrale campionato organizzato dal parroco, in una squadra denominata proprio “DNA”, acronimo di “Dinamo Nell’ Ardore”-.
   Finalmente, con qualche anno in più, diventa ricco di stupore costruttivo ed è alieno da qualsiasi forma di conformismo funzionale. Quando si reca al luna park -fosse per lui in ogni città ci sarebbero più giostre che panifici-, non si limita a usare con immaturo edonismo i giochi del parco, ma si guarda intorno, è attirato dal tourbillon di colori, dal ludico caleidoscopio delle attrazioni, dal variopinto caos, che brulica intorno al suo apparato sensoriale come un intrigante e nuovo continente da scoprire con la cara caravella della curiosità. Talvolta, su un cavallo che gira ossessivamente su una piattaforma, Rino, alquanto perplesso per il fatto che questo scultoreo destriero nel fare la stessa cosa, come un passivo robot, sia un meccanico schiavo e nemmeno si ribelli, si guarda intorno. Ha capito che l’horse per modo di dire è tale, e non si permetterà mai d’impennarsi o di fare un salto del montone, né di mettersi all’improvviso a correre come un pazzo sovversivo, dunque no problem, egli si può distrarre senza correre rischi. Guarda e ammira le luci, spia dettagli che in qualche modo gli appaiano strani, per combattere, con gli strumenti cognitivi insiti in una percezione reiterata, il loro tasso di basso mistero. Talvolta sembra imbambolato, o in una effimera forma di sterile ipnosi, e invece l’inquietante monotonia del suo sguardo include, paradossalmente, un’intensificazione duplice: dell’attenzione verso l’immagine nel mirino della sua contemplazione, e della sua interpretazione a livello di contestuale riflessione.
   Un giorno, cambiando il settore delle sue mille forme di curiosità, si reca, in compagnia di suo fratello Giorgio, in una stazione, per ricevere una loro cugina, Mirta, che arriva da Alessandria. Nell’attesa del treno, su una banchina, mentre Giò parla -e sparla- al telefono, lui è attirato dagli atomi di monnezza sparpagliati fra le rotaie. Una triste cicca, o una lattina di Coca, vuota e ammaccata come se le abbia prese nel fare a botte, gli sembrano rifiuti interessanti, sia pur in una rilevanza perversa e inferiore, per certi versi infernale. Per il piccolo sammarinese, divenuto scherzando scherzando un soggetto felsineo dal cuore rossoblù, il verbo ‘buttare’ è spesso un buffo tabù, perché ‘sto stravagante personaggio quando vede un rifiuto ha sempre la sensazione che in qualche modo abbia un senso e si possa riciclare.
   Anche la possibilità morale della sottrazione, al posto dei triti e ritriti inni all’addizione, lo interessa, ma fino a un certo punto. Sussiste una specie di plafond, per così dire, in un suo anelito, abbastanza esaltato, alla bontà. A un certo punto, siccome ha molte volte sentito lodi verso San Francesco, s’informa sui motivi di questa ottima reputazione e tenta, in un classico slancio di goffa emulazione, di imitare il suo spirito di sacrificio. Decide di regalare balocchi a qualche bambino povero, ma fa il furbo: sacrifica solo tre dei suoi tantissimi giocattoli, e, peggiorando il quadro, sceglie quelli a cui è meno legato -mezzo mondo è al corrente del fatto che fra lui e i suddetti oggetti, fra cui conta un pupazzo che suona quando è schiacciato, esiste un unilaterale rapporto di profonda, infantile e inguaribile idiosincrasia-. Glielo fanno notare, chi ridendo chi con sermoni barbosi, e l’aspirante santo si scoccia di esserlo, fa apostasia dall’aurorale abnegazione. Però almeno l’interesse per il gusto delle privazioni, munifiche e filantropiche, lo ha permeato per qualche giorno, mentre nella stragrande maggioranza dei suoi amici trionfa h24, prima e dopo i pasti, la banale brama di arricchirsi viepiù.
   Rino cresce e, man mano che la sua statura aumenta -e migliora il suo posto nella gerarchia delle classi scolastiche-, l’originalità del personaggio sembra regredire, per la gioia di chi lo vuole tale e quale a un savio yuppie in carriera.
   Possibile, ci si può chiedere, che il suddetto background sia sprofondato negli abissi del Nulla? Apparentemente sì. L’enfant prodige della curiosità, a tratti capace di volersi privare di averi per fare felici altri pargoli, sembra diventato, dall’adolescenza in poi, un normalissimo uomo, come tanti, conformista in un’omologazione mista a pigra brama di sensato comfort. Fra i suoi 254 amici solo uno, rara avis, Giulio Vigile, pensa che le (virtuose) stranezze di un tempo non si siano estinte, essendo in lui ancora presenti, quantunque in letargo. Gli altri contraddicono questo bastian contrario, e non ammettono obiezioni dialettiche.
   Se la maggioranza ha sempre ragione Rino è ormai un assennato ometto in carriera, attentissimo, ma solo verso i salti in avanti della sua reputazione. Nulla di grave, per carità, anzi un atteggiamento foriero di bei risultati nella società. E questi frutti arrivano. Il signor Maltoni si laurea in Medicina, diventa chirurgo ortopedico, il bianco del suo camice tutela le tasche dal rischio del colore verde, la sua identità è ammantata d’una gratificante affermazione professionale, ec… No, non è un mozzato starnuto: ‘ec’ è l’interruzione di ‘eccetera’, dovuta a un’improvvisa rivoluzione nell’esistenza del chirurgo. A quanto pare, la maggioranza forse non ha sempre ragione.
   La sua antica curiosità esce dallo stato letargico e l’equilibrio interiore del medico diventa inferiore e va quasi in tilt. Il suo ruolo gli va stretto, la sua psiche, come lui confida a una coppia di giornalisti, Anna e Luca -moglie e marito-, si sente prigioniera d’una matriosca, in una vaga atmosfera di claustrofobia. Anna gli fa i complimenti, il coniuge annuisce, e anzi sembra stimarlo in modo ancor più enfatico.
   Rino, contento pure per la loro stima, molla baracca e burattini e, mettendo in stand-by la sua bella professione, compra un campervan ed evade da quel brutto senso di trappola, alla volta di un parziale giro del mondo on the road. Avventure à gogo, freschezza e audacia universale, tante effervescenti emozioni, il Sole che sembra sorridergli con più sincerità rispetto a prima, e ogni tanto pure la soddisfazione, in qualche ricordo, di aver sedotto -con la sua curiosità quasi filosofica verso un ‘altrove’ esotico, caro al suo es- due menti del giornalismo.
   Non sa che in parte si sbaglia. Anna, infatti, lo ha lodato per fare la splendida, ma in cuor suo lo ha reputato un mezzo matto, tant’è che da quella intervista ha iniziato a tenere discretamente sotto controllo il marito.
   È terrorizzata dalla possibilità che pure a lui, un brutto giorno, possa venire in mente la masochistica idea di abbandonare una professione, florida, per diventare un decimo di un eroe e nove decimi di un errore.

Walter Galasso