UN PICCOLO POZZO DI SCIENZA  IN UN GRANDE POZZO LUCE DI LIBRI   [Comune:  PONTEDERA  (PISA);  BIBLIOTECA  GIOVANNI GRONCHI;  “CORRIERE DELLA SERA”]

UN PICCOLO POZZO DI SCIENZA  IN UN GRANDE POZZO LUCE DI LIBRI   [Comune:  PONTEDERA  (PISA);  BIBLIOTECA  GIOVANNI GRONCHI;  “CORRIERE DELLA SERA”]

UN PICCOLO POZZO DI SCIENZA  IN UN GRANDE POZZO LUCE DI LIBRI   [Comune:  PONTEDERA  (PISA);  BIBLIOTECA  GIOVANNI GRONCHI;  “CORRIERE DELLA SERA”]

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DI WALTER GALASSO

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   Il “Corriere della Sera” lo chiama Yusuf, nome di fantasia, e gli dedica un articolo, onore nella realtà. L’uomo condivide il protagonismo, nello scritto, con i libri della biblioteca di Pontedera, e pure con i libri tout court, perché la biblioteca “Giovanni Gronchi”, dove questa persona senza fissa dimora si rifugia alla ricerca di un riparo e di un impegno, in questa storia sta per l’importanza esistenziale di ogni luogo di cultura.
   Preferisco trasformare per la seconda volta il vero nome di questo figlio del Marocco, e lo voglio chiamare Yus. Egli è stato, forse fu (dipende da come il suo cervello si ricorda del proprio passato) un uomo normalmente inserito nella società. Faticava altrove, segnatamente a Civitanova Marche, nel settore dei calzaturifici. Esistenza così così, né gloria né naufragio, né felicità né il suo contrario, stipendio al di sopra di un salario che si debba definire al di sotto della media. Pochi schei, una quantità scarsa è comunque una cornucopia rispetto alla desertica aridità di un portafogli zero virgola. Forse il maggior problema di quella sua situazione era, più che emolumenti non floridi, l’indole tendenzialmente avventizia di quell’impiego, facente parte della buia dimensione, assai vasta, denominata ‘precarietà’. Un ‘non dramma’ borderline, prossimo a sfociare e regredire nella scalognata evaporazione del ‘non’. Però, dentro la provvidenziale capacità di vedere, con pragmatica resilienza, il calice mezzo pieno, quel reddito era comunque un balsamo per questo immigrato, lontano dalle radici, vicinissimo al pericolo di foglie cadute dai rami per raffiche di vento involontario.
   Tran tran, forse in lui spicchi di ideologie al di là del bene e del male, perché, a ben pensarci, sofisticate meditazioni sui principi dell’etica possono essere un lusso non per tutti. Chi sbarchi il lunario a malapena, chi debba scervellarsi quotidianamente per mettere insieme, nel perimetro cronologico di un dì, il pranzo e la cena, ha minori possibilità di dedicarsi a riflessioni generali. Il bene, nella sua visione del mondo, si riduce alla possibilità di un lavoro per la pagnotta e alla conseguente idoneità a fondare una famiglia; il male è l’implosione o l’esplosione di questo minimo sindacale della soddisfazione politica. Yus, pur non potendo fare i salti di gioia per i risultati professionali del suo impegno, grazie al suddetto mestiere può coronare il sogno di convolare a imenei con la sua lei.
   È tanto, il suo cuore se ne bea, e non recita il mea culpa nel constatare che alla sua donna non offre il migliore dei tenori di vita possibili, perché pensa che no problem, perché il suo ottimismo dà per scontato che sull’idillio con la sua fata non ci sia alcuna data di scadenza. Finché dura, finché il patatrac di un divorzio è la disavventura di altri, un amore è, fino a prova contraria, eterno, e se pure insorga maretta nel ménage, se anche, puta caso, nasca qualche acida problematica, essa è ciclicamente transeunte come ogni anno un inverno è seguito dal roseo duo ‘primavera-estate’, e ogni bisticcio viene amabilmente risucchiato dal concetto di ‘litigarello amore bello’.
   Questo pensava Yus, con serenità naïf, cullandosi nella sensazione che, quando si è una delle due polarità d’una liaison la prosecuzione dell’amalgama sembra il più probabile futuro, per positiva inerzia, della coppia. L’uomo ha poi imparato che in amore quel che pensa una singola persona può essere asfaltato da eventuali abiure dell’anima gemella. Un matrimonio non continua se si lacera l’idem sentire. E nel caso di questo signore l’idem è andato, a partire da un cariato giorno, in frantumi. La signora ha cambiato idee e sentimenti, non ha voluto continuare a stargli vicina, ha sollevato quel che pensava di quest’uomo, come la cinese Luo Shifang ha portato da sud a nord 241 kg alle Olimpiadi di Parigi 2024, e lo ha buttato in una nichilistica pattumiera, trasformando il precedente ‘Sì’ in un ‘Non più’.
   Yusuf vive molto male la crisi e la fine del suo matrimonio, si sente bassissimo e in alto mare, vorrebbe amare ancora e si ritrova protagonista di una solitudine che gli pesa come una scena di molesta alienazione. È deprivato prima del cinquanta per cento del necessario, con la débâcle del calore e dell’onore di un uomo che piaccia a una donna, e poi di un’altra consistente percentuale, quando le sue difficoltà economiche peggiorano e la sua iscrizione su un libro paga viene distrutta dallo tsunami della perdita del suo lavoro. Nell’umore dell’emigrante senza amore e senza entrate è notte fonda pure a mezzogiorno. Nel suo animo fa freddo anche a Ferragosto, e sintomatica di questa destabilizzazione appare la sua scelta di emigrare nell’emigrazione. Come se il suo Io annaspi in un tentativo random. Come se in un cambiamento per il cambiamento la sua personalità tradisca il brutto quarto d’ora in cui sul timone cala una nebbia fitta, che affitta (flebili) speranze e chiede in cambio uno spaesamento esponenziale.
   Il vento del Caso spinge Yus in Toscana, in quel di Pontedera. Un abbozzo di progetto, un corso di cucina, che però non è nemmeno una vittoria di Pirro. In questa sua navigazione una parte di Yusuf è aspirata da un mulinello, la disoccupazione fagocita abilità e banconote e sogni di diventare un cordon bleu, lo straniero, a cui resta solo un’esigua pensione sociale, è retrocesso nel calvario dei clochard. Dormitorio di Santa Croce, mensa della Misericordia di Pontedera, ozio nello scalo ferroviario di Pisa, dove il top della soddisfazione è il fatto che la Polfer, ormai conoscendolo, non lo scoccia più con la richiesta di un documento. Sembra un quadro di desolante sconfitta, una situazione dove di una vera azione resta ben poco, una waterloo degli aneliti d’un tempo.
   Eppure in mezzo a questo infernale buio Yus riesce a trovare un raggio di Sole. Il suo animo, in un sussulto di nobile dignità, segue un’implicita mappa di un tesoro psicologico e diventa habitué della bella Biblioteca di Pontedera. Gli piace stare in mezzo ai libri, nell’emeroteca;  nell’inerenza a questa sua personalissima oasi attinge un senso di rilevanza e vanto.
   Dichiara che i suoi compagni di sventura nel dormitorio non lo seguono lì, in quel tempio di cultura, perché o non sanno o non vogliono leggere, perché ci vuole “stoffa” per innamorarsi di quella montagna di pubblicazioni ed essere promosso alla carica di ‘topo di biblioteca’. Anzi, a dirla tutta, egli -la sua mente tiene molto a elaborare questa simpatica rampogna- svetta anche sugli studenti, che meno di lui, sgobbate pro esami a parte, sono disposti a leggere giornali di carta.
   La sua frequentazione di quell’ambiente gli ha regalato, e continuerà a regalargli finché egli non capirà come poter percepire l’italiana pensione sociale pure nella sua patria, il gusto dell’orgoglio, una reviviscenza del rigoglio in cui la sua dignità fu autostima con il turbo.
   Nella biblioteca Yus ha trovato un grande spiraglio per accedere a un’infinita colonna di senso. È entrato idealmente in un tunnel verticale, un cilindro che collega il cuore della Terra e i sorrisi del cielo, e in questo pozzo luce -fisico e metafisico-, che illumina anche i deboli, si sente, nel suo piccolo, un pozzo di scienza.

Walter Galasso