![UN FIABESCO GIOIELLO VICINO ALLE POPOLARISSIME: “LA NUOVA CORTE DI VIA RIMESSE” [Comune: BOLOGNA] UN FIABESCO GIOIELLO VICINO ALLE POPOLARISSIME: “LA NUOVA CORTE DI VIA RIMESSE” [Comune: BOLOGNA]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/01/20250127215659.jpg)
![UN FIABESCO GIOIELLO VICINO ALLE POPOLARISSIME: “LA NUOVA CORTE DI VIA RIMESSE” [Comune: BOLOGNA] UN FIABESCO GIOIELLO VICINO ALLE POPOLARISSIME: “LA NUOVA CORTE DI VIA RIMESSE” [Comune: BOLOGNA]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/01/20250127215659.jpg)
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DI WALTER GALASSO

Falansteri pieni di pulsioni, mazzi di palazzi che, in quel di Bologna, si ribellano al rischio di anonima opacità già nel nome di queste pittoresche case Ater: Popolarissime. Iperbole vivida, brio cristallizzato in questi templi di coesistenza semplice, solidale, colorita e mai snob.
C’è chi ne liquida la quintessenza, sociale e architettonica, con il termine ‘casermoni’, e aggiunge sermoni per predicare il bisogno di riqualificare queste zone. Il problema sussiste, inutile glissare e girarci intorno, nascondere la polvere metropolitana sotto un tappeto underground. Per anni il quartiere versa in un gap di qualità strutturale, in preda all’elitaria superiorità qualitativa di zone più in.
Questi stabili nacquero segnati da uno stigma d’ingiustizia. Nella fase embrionale della loro concezione si pensò di erigere solo in loco, per forza lungi dal centro, residenze destinate a ospitare poveri iloti provenienti dal cosiddetto ‘Baraccato’, nonché le sfortunate e maltrattate persone che furono espulse, con le cattive maniere, dai borghi centrali sottoposti a coercitivo e selvaggio sventramento.
Sono struggenti certi resoconti di questo eteronomo moto migratorio, di fatto imposto a questi sventurati membri di un’umanità che merita di più, facenti parte dei ceti più svantaggiati della comunità felsinea. Gente allontanata, con crassa prepotenza, dal nido, coartata a fare le valigie, in malinconica tristezza, e a trasferirsi in un esodo non privo di un denominatore comune con un pogrom in senso lato. Molti di loro fecero il trasloco pedibus calcantibus, caricandosi sulle spalle, in una fatica atlantica e umiliante, i mobili più cari e/o più utili, e già l’immaginazione della dinamica scena è sufficiente, in una immedesimazione per empatia, a suscitare in chi la elabora una reazione di sodale dispiacere. Mentre quei poveri diavoli, miserrime ultime ruote di un carro assai poco equanime, erano intenti a effettuare questa traversata -che probabilmente gli parve lunghissima nel loro tempo interiore, quantunque effettuata, a livello geografico, nella stessa città-, si materializzò nei loro paraggi la figura di venditori ambulanti assai stronzi, sciacalli pronti ad acquistare parte della loro povera roba a prezzi stracciati, non certo rispettando le quotazioni di mercato. Sciacalli e pure parenti di avvoltoi, bastardi pronti ad approfittare della debolezza altrui per portare a casa un mezzo affare. Aneddoti come questo la dicono lunga sul background in cui affonda le radici l’identità delle Popolarissime.
Un’etichetta forse ironica, beffarda, vagamente protesa a edulcorare la dolente sostanza di questo debole microcosmo con una simpatica e depistante tag, anche ambigua nella sua larvata allusione a realtà positive. Popolarissime sono dive della Decima Musa, o primedonne del piccolo schermo, o protagoniste del jet-set internazionale, o comodissime mogli di paperoni nel gotha della finanza mondiale. Entità abbastanza diverse da queste abitazioni, e possiamo ben dire che nel nome curiosamente in comune gli estremi si tocchino.
Purtroppo il fatto che l’area delle Popolarissime non si possa definire il non plus ultra del comfort indoor, in ognuno dei singoli alloggi -per lumeggiare con un eufemismo il problematico livello di questi moduli abitativi-, è una crisi secondaria. Quella primaria, va da sé, è drammaticamente rappresentata dall’alto tasso di degrado inerente al milieu di questo spicchio della “Dotta”. L’erezione di questi edifici è stata seguita, strada facendo, da una graduale escalation di tensione sociale, sfociando in fenomeni di disagio, in focolai d’inconsulta devianza, nell’eterna probabilità che in zone non baciate da lusso e da sfarzosa ricchezza la negatività della complessiva situazione economica si traduca nell’urbana violenza di una criminalità ansiogena. Minoranza, è bene precisarlo, rispetto alla stragrande maggioranza di persone tranquille, ma la violenza, si sa, condiziona negativamente un ambiente anche se sia perpetrata solo da un facinoroso.
Il quartiere diventa un tipico esempio della parola ‘degrado’. Molte aree sono in balia di guappi, più o meno di cartone. Impazzano teddy boys, avvezzi a mettere a ferro e fuoco la pace di soggetti perbene, si assiste alla morbosa proliferazione di atti di bullismo, si registrano scorribande di gang rotte al vandalismo, alla sopraffazione, a inquinare la cosa pubblica con un’aggressività, non priva d’un gratuito sadismo, che attenta alla serenità dell’atmosfera globale. Non mancano reati veri e propri, a partire dalla maledetta piaga dello spaccio di sostanze stupefacenti. Purtroppo nulla di nuovo sotto il cielo, ché questo tipo di kasba è presente a ogni latitudine e longitudine, tratto distintivo di tanti tessuti urbani del nostro Paese.
Il Palazzo di Bologna se ne accorge, e la vicesindaca scende in campo, dopo aver denunciato la lue dello spaccio, della microcriminalità, il degrado urbanistico e sociologico, una diffusa sensazione d’insicurezza nei residenti, perennemente esposti al pericolo di subire le conseguenze, dirette e indirette, di una malavita che, organizzata e non, arreca un grave nocumento alla routine di persone ammodo. Una siringa buttata in un parco, squallido emblema del tremendo pianeta droga, è una sinistra spia d’una sconfitta della civiltà. Essa cozza, in un contrasto stridente, con la calma e festosa atmosfera di famiglie che in un giardino pubblico si recano per trascorrere un relax un po’ bucolico, per far giocare serenamente la prole, per il rito d’un ameno scambio di chiacchiere tra compagne di rione. L’Amministrazione capisce che urge un’inversione a U nel clima di questa zona; su un prato devono esserci solo fili d’erba, non siringhe già usate da tossicodipendenti; una donna la sera deve poter rincasare senza sobbalzare di paura a ogni rumore o fruscio sospetto. Il Comune si rimbocca le maniche ed eroga impegno per ristrutturare e riqualificare l’area con telecamere, nuovi impianti sportivi, rifacimento di tratti dell’impianto fognario, e altri provvedimenti del genere.
Ma l’apogeo di questo rinascimento è merito, senza nulla togliere agli amministratori, soprattutto dei residenti, che estraggono molto di più d’un coniglio dal loro cilindro magico. Essi amano il loro quartiere come se esso sia una seconda casa, lo conoscono come le proprie tasche, anelano a vederlo bello, pari a un paradigma di grazia estetica. L’ultimo residente di una strada può fare il suo bene più del primo professore di un prestigioso Ateneo, o dell’amministratore maggiormente premiato sulla faccia della Terra. È in questo affetto, indigeno e genio, che sboccia “La nuova Corte di Via Rimesse”, un giardino, tra fiaba narrativa e oasi ambientale, vicino alle Popolarissime.
Biglietto da visita: uno scaffale-libreria, pro BookCrossing. Carnascialesche maschere, variopinte e allegoriche, e vivaci cuori oscillano, come frutti di fantasia, dai rami di alberi carismatici, articolati intorno alla centralità del loro boss, uno splendido gelso. Panchine dedicate agli innamorati il 14 febbraio. Luci sempre accese, più fantasmagoriche di quelle psichedeliche al chiuso d’una discoteca. Staccionate bellamente colorate, da un’ex parrucchiera che prima dell”ex’ cambiava la tonalità cromatica di chiome tricologiche.
L’elenco di effetti speciali è ancora lungo, quasi quanto il viaggio che da un’altra e lontana Regione del Bel Paese qualche connazionale di questi talenti bolognesi può decidere di fare per dare uno sguardo a questo fatato gioiello. Le loro autrici e i loro autori accoglieranno a braccia aperte ogni graditissimo ospite.
Walter Galasso