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DI WALTER GALASSO

Un accattivante brano di musica rap e pop, op là, rimbalza nell’aria dopo essersi tuffato da una finestra al primo piano di un edificio così vecchio da essere un gioiello antico. Le sette note danzano nell’atmosfera come monelle tarantolate, il tormentone impazza nella stretta street, e del resto è pure virale, come un’ossessione tra bullo boom e strana malattia, su alcuni social network.
Il suo autore, un impertinente guaglione, “Hip Hip Hop Hurrà!”, privo di spintarelle, se nell’era precedente all’avvento di Internet avesse chiesto a una casa discografica la sua pubblicazione, forse si sarebbe buscato, da un dittatorello stronzetto boomer, un brutto due di picche, il capataz dicendogli “la tua faccia non funziona, tu non hai talento, il tuo pezzo, a mio insindacabile giudizio, è pari a monnezza sul pentagramma, ti boccio senza rimandatura, senza se e senza ma, ti riduco, a furia di no, a senzatetto”. Oppure, più semplicemente, il boss non lo avrebbe neppure ricevuto, forse perché impegnato a pomiciare, su un divanetto del suo ufficietto, con una cantantessa ambigua -ugola di latta ed erotica ancella a letto-. Ma adesso l’arbitrario potere di questi imperatori da operetta versa in un crepuscolo che i Giusti amano, un tramonto meravigliosamente donato al mondo dallo splendore, teoretico ed etico, della Rete, e Hip…, beato lui, va forte e se la gode.
La musica esce a tutto volume dagli altoparlanti, a tanti watt, di uno stereo gagliardo. Anzi, per la precisione la sua proprietaria, la popolana Floriana, è riuscita a trovare un escamotage per oltrepassare il livello più alto del volume -30-, arrivando a 32, ergo il casino -alias ‘inquinamento acustico’- è ancora più pazzesco.
Una vicina, Amelia, forse affetta dalla tipologia di stress denominata burnout -sindrome assai urticante a livello psicologico- tollera il dionisiaco baccano solo per un paio di minuti. Poi sclera e sbotta, spalanca una finestra e cazzia la barbara, “Non stai in aperta campagna, abbassa quell’inferno, ho mal di testa con quel bum bum nel cervello. Rozza eri e rozza sei, vergogna!, non sei degna di stare in mezzo ai cristiani civili, zulu!!”.
Zulu a chi? Floriana interpreta come uno sgarro questo offensivo sermone. “M’hai rotto i coglioni che non ho. Pensa a quell’eunuco di tuo figlio -il giovanotto abita proprio nel palazzo di Flo-, che sta ristrutturando da un’eternità la sua casa di merda, fa lavorare gli operai anche alle nove di sera, e io non ne posso più, santa sono a non aver chiamato i vigili”.
Eunuco a chi? Amelia, con la chiostra dei denti che ringhia più o meno in corrispondenza della loggia, si vendica oralmente con gli interessi, “non ti permettere più, mettiti un tappo in bocca, sciacquati la bocca prima di parlare del mio Marco, ‘sta zoccola fetente, disonore di tutta la via”.
Il cozzo è destinato a involversi e degenerare, in un violento effetto domino. Ne deriva, fra l’altro, una specie di faida tra i rispettivi pets, tutti esseri da favola, superdotati nel loro quoziente intellettuale. Il gatto di Floriana, Amleto, fa una spedizione punitiva, e va ad aggredire, nella casa della nemica, Samuele, un pappagallo arlecchino, che però viene difeso da Rocco, un mastino che è cresciuto con lui, e i due sono come fratelli. Rocco, accorgendosi del proditorio assalto del felino, in assetto mavorzio e intento ad arrampicarsi su un appendiabiti -l’uccello si è rifugiato sull’apice, destinato a ospitare cappelli-, di gran carriera corre verso il terrorista quadrupede, che, non sentendosi in grado di fronteggiare un avversario troppo più robusto di lui -a un Davide mica può andare sempre bene in uno squilibrato match contro il Golia di turno-, se ne torna, con le pive nel sacco e scappando a trecento chilometri all’ora, nel suo appartamento, inseguito dall’ostinato molosso, che gliela vuole far pagare a tutti i costi. Chi la fa, però, talvolta l’aspetti. La megalomane Floriana, infatti, ha pure, come animale domestico, un leopardo, Gengis Khan, rubato dal suo compagno -un pregiudicato, appartenente a un famigerato clan malavitoso- a un circo, in un momento di distrazione del guardiano preposto alla sorveglianza di questo esemplare. Quando il ceffo lo ha trafugato esso era un bebè, un cucciolo nato da qualche settimana. Ora è adulto, per Amleto è come uno zio, i due si vogliono un gran bene, e quando Gengis Khan vede suo nipote inseguito e minacciato da quel maramaldo, interviene, e il dog da predatore si ritrova preda, costretto a fuggire dalle fauci del mostro.
Il cane si rifugia in una polverosa bottega -di un artigiano-, braccato dal leopardo, mentre le due donne, che nel frattempo sono state protagoniste di un’escalation di antagonismo, iniziano a fare a botte. Volano schiaffi, calci e pugni, ogni tanto si tirano i capelli, e ai bordi del ring on the road un curioso frate inizia a filmare la tenzone, invece di dividere le duellanti. Pure lui è un peccatore social, anche perché avverte tanto il bisogno di un maggior protagonismo nella società, e non vede l’ora di inserire il film -ancora ignora se sarà solo un cortometraggio o arriverà a costituire addirittura un lungometraggio- in una piattaforma dove questo genere di post tende ad avere molto successo. La povera strada è messa a ferro e fuoco da queste intrecciate battaglie. Le due belligeranti comari se le danno di santa ragione, il cameraman cistercense gira il video, e da un balcone viene criticato da un bacchettone, “che tempi!, che tempi!, ma tu vedi quel frate, che cattivo esempio che dà!”, e il cane Rocco si nasconde alla vista del leopardo, fermo e minaccioso sull’uscio della bottega, per intuire quale possa essere sui suoi metri quadrati il nascondiglio del suo nemico.
E il titolare del locale, mastro Reppetto? È ambiguo, nel senso che da un lato è terrorizzato dal felino, e fa attenzione pure a non respirare in modo troppo sonoro, per diminuire, nella misura del possibile, il rischio che quel mostro se la prenda con lui; dall’altro non riesce a ingoiare la catilinaria che desidera toto corde scagliare contro quelle megere, ree, secondo lui, di non aver educato come si deve i loro animali domestici. Mastro Reppetto comincia a sbraitare, “donnicciuole, ma perché fate crescere allo stato brado ‘ste bestiacce?, mandatele almeno alla scuola dell’obbligo, altrimenti questi sono i risultati”, alludendo alla selvaggia fauna che sta mettendo a soqquadro l’atmosfera del suo regno lavorativo.
Meno male, in tutto ‘sto quarantotto, che, per un’incredibile coincidenza, all’improvviso si materializza la carismatica figura dell’autore della canzone che costituisce il casus belli di tutto l’ambaradan in corso. Hip Hip Hop Hurrà!, pseudonimo di Gennaro Pichelin, ignaro del perché e del percome siffatto casotto sia nato e divampato, riporta in men che non si dica la calma. Accarezza il leopardo e lo ammansisce; il frate, vedendo questo prodigio, si ricorda di San Francesco e si dà una regolata, smettendo di filmare una violenza che, dal suo canto, scema per due semplicissimi motivi. Floriana, grandissima fan di Gennaro, quando lo vede prova l’impulso di baciargli i piedi. Non lo fa, però smette di combattere e va a chiedere un autografo al divo. Amelia lo ignora come artista, non se ne può fregare di meno, ma prova un’attrazione erotica verso il giovane, e gli chiede un selfie. Ha in mente di farne un poster, sottotitolandolo “Io e un adone”. Il cane Rocco, notato il neonato pacifismo del persecutore, esce allo scoperto e, attirato dalla puzza di piedi di mastro Reppetto, va ad annusarli, e l’uomo pensa che l’animale gli stia facendo coccole: s’intenerisce e lo accarezza.
Il signor Pichelin, sentendosi al centro della scena, pensa di fare una foto di gruppo. Chiama un pizzardone di passaggio e gli chiede la cortesia, dandogli il suo smartphone, di fare un clic al loro gruppo: lui circondato da Floriana e il suo gatto sopra zio leopardo; Amelia e il suo pappagallo sopra il cane; l’artigiano, accovacciato sotto il protagonista, e alle spalle dell’artista il frate cistercense, altissimo, come un vatusso. Una surreale photo opportunity…
Walter Galasso
Non ho smesso di ridere dall’inizio alla fine! Un umorismo delizioso in una narrazione coinvolgente che ti inchioda in un crescendo di colpi di scena